Super Tuesday ci siamo: le primarie USA alla vigilia del giorno più importante

Super Tuesday

Joe Biden ha vinto nettamente le primarie del Partito Democratico in South Carolina. L’ex vice di Barak Obama si rilancia così nella corsa al ruolo di avversario di Donald Trump per le elezioni del prossimo Presidente degli Stati Uniti. E lo fa proprio alla vigilia della tappa più importante, il cosiddetto Super Tuesday. Martedì, infatti, gli Stati coinvolti nelle Primarie saranno ben tredici e i delegati assegnati 1.537 (su un totale di 3.979). In questo momento Sanders è sempre in testa, con 60 delegati, ma Biden ha quasi annullato lo svantaggio e segue con 54 delegati. Terzo era Buttigieg con 26, che si è però appena ritirato dalla competizione.

Cos’è il Super Tuesday

Il sistema delle primarie prevede che in ogni Stato si affrontino i vari candidati e, in base ai risultati ottenuti, ciascuno candidato ottenga un certo numero di delegati. I delegati si incontreranno poi alla convention finale, nella quale verrà proclamato il candidato presidente del partito.
Finora si è votato in Iowa, New Hampshire, Nevada e, appunto, South Carolina. Nel Super Tuesday si vota in altri tredici Stati, alcuni dei quali con un peso specifico molto alto (come la California), sia per il numero di delegati assegnati che per l’impatto sull’opinione pubblica e sulle tendenze di voto successive.




28 anni di Super Tuesday

Il primo martedì a guadagnarsi l’appellativo di Super Tuesday fu il 13 marzo 1984, in cui parteciparono alle primarie nove Stati. Da allora, per otto volte, diversi Stati hanno chiamato alle urne gli elettori, democratici e repubblicani, nello stesso martedì, dando vita a Super Tuesday più o meno affollati e combattuti.
Non è sempre decisivo il Super Tusday, ma spesso da indicazioni precise sugli schieramenti in campo. Per i candidati considerati “minori” è solitamente il punto di svolta: o si dimostrano pienamente in corsa per la nomination o possono ritirarsi dalla competizione. Per i favoriti è il banco di prova per capire la fondatezza delle loro ambizioni. Nel 2008, ad esempio, il voto premiò – anche se non di molto – Barak Obama, lanciandolo come principale avversario dell’allora favorita Hillary Clinton. Nel 2016 invece, in campo Repubblicano, il Super Tuesday confermò il consenso, inaspettato per gli analisti politici, di Donald Trump: da lì in poi, per l’attuale Presidente Usa, fu quasi un plebiscito.

Il Super Tuesday del 3 marzo

A questo punto – anche se siamo solo all’inizio – il quadro delle primarie in campo democratico, sembra essersi ricondotto alle previsioni iniziali: uno scontro tra il candidato più moderato Joe Biden e il più radicale Bernie Sanders, che ha trionfato in New Hampshire ed è in testa. Il primo è più forte tra gli afroamericani, il secondo raccoglie più consensi tra gli ispanici. Ma sul Super Tuesday incombono alcune incognite. La prima è Pete Buttigieg. Finora, tra gli outsider, era quello andato meglio, ma le previsioni per lui non erano positive. Rispetto ai favoriti, disponeva di molte meno risorse finanziarie e il risultato negativo in North Carolina lo ha spinto al ritiro. Solo uno stupefacente Super Tuesday avrebbe potuto mantenerlo seriamente in corsa. L’ex sindaco di South Bend aveva un’agenda riformista, ma con toni più moderati di Sanders. E raccoglieva il voto delle nuove generazioni, vista la sua età (38 anni) e i suoi modi di fare brillanti. Per ora non ha dato il suo endorsement a nessun altro candidato: sarà importante vedere se sei esprimerà nelle prossime ore o su chi convergeranno i suoi sostenitori. La seconda incognita è il voto degli “altri”. Verosimilmente Elizabeth Warren e Amy Klobuchar sono vicine al capolinea: per loro vale quanto detto per Buttigieg e a maggior ragione, visto il minor numero di delegati raccolti finora, benché ufficialmente siano ancora in corsa. Perciò bisogna chiedersi: i loro sostenitori proveranno fino all’ultimo a rilanciarne la corsa, o si dirigeranno fin da martedì su altri candidati affini? E chi, eventualmente, ne beneficerebbe di più?

Ecco Mike Bloomberg

La terza incognita è Mike Bloomberg, finora convitato di pietra. Ha disertato le prime votazioni per concentrarsi proprio sul Super Tuesday. Al momento della sua candidatura aveva affermato di volersi inserire nella corsa perché nessuno dei candidati sarebbe poi stato in grado di sconfiggere Trump. In quel momento Biden sembrava in difficoltà e lo spazio tra i moderati che non voterebbero per Sanders era la collocazione naturale per uno come Bloomberg. Ora che però l’ex vicepresidente sembra essersi rimesso in sella e aver di nuovo indossato i panni del favorito, che ne sarà del tycoon televisivo? È questo l’interrogativo maggiore riguardo a martedì. I sogni di Bloomberg potrebbero affondare già al primo appuntamento elettorale, oppure l’ex sindaco di New York potrebbe entrare prepotentemente nella corsa alla nomination. Gli analisti non sembrano dargli molte possibilità, a dire il vero. Soprattutto dopo il difficile debutto televisivo del 19 febbraio, in cui tutti gli altri candidato lo hanno duramente attaccato. Ma pesare un candidato come Bloomberg che, per di più, non è ancora passato dal test delle urne non è affatto facile e potrebbero esserci sorprese.

Che succederà?

Difficilmente, dunque, quello di martedì sarà un Super Tuesday decisivo, anche se potrebbe essere ricco di sorprese. In campo democratico, comunque, si dice siano abbastanza preoccupati: se, da un lato, la competizione mobilità l’elettorato, dall’altro la mancanza di un candidato in grado di raccogliere i consensi di tutti e, soprattutto, una spaccatura tra i più moderati, potrebbero favorire la rielezione di Trump. Mercoledì mattina il quadro della situazione potrebbe essere più chiaro. O decisamente più complicato.

Simone Sciutteri

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