La rappresentazione di un animale sulle spalle dell’uomo è presente nella cultura occidentale fin dalla cultura greca.
L’antichità aveva profilato l’iconografia del moscoforo e del crioforo: un uomo con un vitello o una capra sulle spalle, rispettivamente, da donare alle divinità. Nel corso del tempo anche quest’ultime non furono esenti dalla tipologia figurativa venutasi a creare. L’Hermes crioforo risale alla leggenda della salvezza di una città dall’epidemia tramite la processione del dio con un ariete, simbolo di fecondità e di ricchezza; Eracle porta invece lo sconfitto cinghiale di Erimanto a Euristeo a riprova del suo successo. Dal dono di quanto veniva allevato a parte del cammino di elevazione spirituale di Eracle, la rappresentazione nelle sue diverse declinazioni comunque esemplifica in un punto di contatto il rapporto tra uomo e natura, tra uomo e selvaggio, con il controllo intellettuale e fisico del primo sul reale.
Sulle spalle dell’uomo, nella cristianità
L’iconografia cristiana riprese il tema nella rappresentazione del Buon Pastore: Dio si è fatto uomo per la salvezza del suo gregge; Gesù è nato tra gli uomini per occuparsi di ogni singola pecora. Nelle sue diverse raffigurazioni, il Buon Pastore è a stretto contatto con il mondo antico da cui proviene, in particolare dalle rappresentazioni bucoliche della cultura ellenistico-romano in cui si innestò la nuova religione; ma il mondo naturale si trasformò in qualcosa di diverso. Da quel momento in poi, in esso vivono le figurazioni della Creazione e della Venuta; la realtà venne declinata a simbolo del divino, della verità rivelata e storicamente compiutasi.
Sulle spalle, oggi
Camminando uno di questi giorni il mio sguardo è stato attirato dalla locandina di un film, “Io e Lulù”. I protagonisti sono un uomo e un cane che dovranno fare un viaggio insieme; di nuovo l’immagine pubblicitaria riprende una vicinanza antica dei protagonisti, nella persona che porta sulle spalle l’animale. La relazione fisica con quest’ultimo, con la natura, sembra avere a primo impatto un sottotono di protezione; un rapporto che era pur presente in una linea di rappresentazione antica, alternativo al contenuto sacrificale. Ma nel mondo di oggi sembra aver voluto parlare dell’equilibrio dei rapporti: il cane e l’uomo si sostengono a vicenda nella loro esperienza, si legano in una relazione di vicinanza corporea che proprio perché tale mette alla prova e rinforza amicizie e sentimenti. Coloro che condividono con l’uomo il mondo fisico sono portatori di valori positivi, di riappacificazione e comunione con la vita.
Il percorso iconografico
In questo breve percorso, si evidenzia come la rappresentazione in questione sia stata un modo per rappresentare una visione dell’uomo della natura, e un rapporto con essa e con gli altri viventi; le dinamiche che hanno interessato l’iconografia, quindi, sono state prima di tutto sintomo di un cambiamento degli equilibri nella visione del mondo che ci circonda. Il confluire di tale iconografia fino ai giorni nostri dimostra la forza e il radicamento di determinati schemi nella mentalità; inoltre evidenzia come oggi, anche in quel che sembra distante da una messa in discussione di tematiche ambientali, mai come prima il mondo nelle sue componenti particolari non venga visto come spazio rispecchiante altro, prima di tutto noi stessi, ma realtà in cui ci caliamo senza più ruolo predominante.
Giacomo Tiscione