Suicidi giovanili in Italia: quando il mondo non è all’altezza dei sogni

suicidi giovanili in Italia

Ragazzi e ragazze con l’idea di spaccare il mondo, si trovano fin troppo spesso a vedere esso distruggere la loro vita. Sogni, ambizioni, amori, tutto cancellato da un futuro incerto e da una vita crudele per delle fragili anime alla ricerca di un po’ di bene.

Uno al giorno. È questo lo sconcertante dato rivelato dall’Osservatorio Suicidi della Fondazione BRF – Istituto per la Ricerca in Psichiatria e Neuroscienze, circa il numero di tentati suicidi giovanili in Italia.

Per l’esattezza vi è un tentato suicidio ogni 16 ore, e un suicidio ogni 14, dati che anno dopo anno, sogno distrutto dopo sogno distrutto, continuano a peggiorare.

Infatti, dal 2020 al 2022 il tasso di suicidi giovanili in Italia è aumentato del 75%, un numero esorbitante, scoraggiante, al quale ha purtroppo contribuito la pandemia da Covid-19.

Ogni poche ore, la vita di un’adolescente, o anche preadolescente, viene spazzata da onde alimentate da indifferenza, ignoranza, solitudine e incomprensione.

La situazione dei suicidi giovanili in Italia durante la pandemia

Durante la prima fase della pandemia, i dati riguardanti i suicidi giovanili in Italia sono aumentati drasticamente.

Infatti possiamo notare come nel 2018-2019, il solo ospedale pediatrico romano “Bambino Gesù“, ha visto i casi di ideazione suicidaria, tentativo di suicidio e autolesionismo aumentare dai 464 dell’anno citato, ai 752 del binomio 2020-2021.

Tutto questo registrato in un singolo ospedale, quindi è naturale dedurre che se prendessimo un campione più alto di ospedali, i dati riguardanti i suicidi giovanili in Italia sarebbero purtroppo ben più alti e devastanti.

A causare ciò furono anche le restrizioni obbligatorie utilizzate per prevenire il contagio da Covid-19, come il distanziamento e i lockdown.

Tali provvedimenti allontanando seppur per una giusta causa i rapporti interpersonali ravvicinati, ha permesso a demoni come la solitudine e l’angoscia di insidiarsi all’interno della mente dei più fragili, facendo sì senza volerlo, che i dati riguardanti il tasso di suicidi giovanili in Italia aumentasse.

Ma nonostante ciò, a portare davvero le giovani vittime a porre fine alla propria esistenza, è proprio la cattiveria di un mondo egoista e superficiale, che provoca nelle anime di cristallo adolescenziali cupi fenomeni e paure autodistruttive.



Gli Hikikomori, la solitudine come difesa

Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte“, ed è proprio questa la scelta che gli oltre 100 mila ragazzi italiani hanno intrapreso nella loro vita, rompendo ogni legame sociale e talvolta familiare, finendo poi spesso in pasto all’aumento dei numeri riguardanti i suicidi giovanili in Italia.

Alla base di questo fenomeno vi è proprio un’ansia sociale, la difficoltà nel relazionarsi con i propri coetanei, in quanto spesso sono persone differenti dalla massa, con interessi più ampi e quindi  emarginati da tutti coloro che vogliono essere circondati solo da automi tutti uguali.

Si convincono di essere un peso, non meritevoli di compagnia se non quella taciturna di se stessi. Credono di essere sbagliati, che rimaner soli sia la migliore delle opzioni, e perciò si isolano, si allontanano da tutti coloro per evitare di essere visti come un’inutile problema.

E allora da lì inizia il caos. Si comincia con lo stare in casa un giorno, due giorni, poi ti arriva un altro messaggio carico d’odio. Sei ferito, ma abituato, perché ormai tante volte dal vivo ti è capitato di sentirti dire quelle parole. Ti soffermi a pensare. È già passato un mese, nessuno ti cerca ma è meglio così, tanto sei solo un peso.

Frughi nella tua solitudine ma non trovi altro che lacrime e un corpo abbandonato a se stesso. È passato un anno, hai già vissuto più di tanti altri ex portatori di sogni che hanno intrapreso lo stesso percorso.

Decidi che è abbastanza, il mondo ti ha prosciugato ogni goccia di cuore, e allora prendi una corda, e in un solo gesto il cui culmine è un calcio alla sedia sotto il tuo corpo appeso, hai terminato un cammino che aveva come meta mai raggiunta solo la scoperta di un po’ di bene.

Urla divise tra l’ascolto e l’indifferenza

Nel corso degli ultimi due anni il numero di consulenze neuropsichiatriche è aumentato di ben 11 volte, mentre le consulenze per idee suicidarie già pregresse e comportamenti autolesivi ha visto un aumento pari a 40 volte in più rispetto agli anni precedenti, con protagonisti ragazze e ragazzi dai 9 ai 17 anni.

In generale, la richiesta di aiuto ai psicologi sono aumentate del circa 40%, con un aumento del 50% di casi di depressione e ansia tra giovani e giovanissimi.

Ma per quante richieste di aiuto esplicite vengano fatte, vi è una enorme parte di richieste velate, mai capite, o volutamente inascoltate, che poi determinano come nessun’altro fattore, l’aumento dei suicidi giovanili in Italia.

Persone che chiedono con una flebile voce una mano, che tentano con un sorriso in meno di far capire agli altri che stanno male, che soffrono, che hanno bisogno di aiuto o magari anche solo di un abbraccio che possa far risanare loro almeno una piccola parte di cuore che il mondo e quella stessa indifferenza continuano a distruggere.

Un pasto in meno per chi ama mangiare, una chiacchierata in meno per chi ama parlare, una battuta in meno per chi ama scherzare, sono tutti piccoli ma immensi campanelli di allarme che possono esser sventati semplicemente parlando con quelle persone, capendole, accarezzandole, facendo veder loro che non sono sole.

Due parole possono donare una nuova vita

Nel corso degli anni siamo purtroppo stati spettatori di notizie riguardanti i suicidi giovanili in Italia, giovanissimi che scelgono di non esistere più, di spazzar via quella stessa vita che magari fino a poco prima amavano.

Ma per quanto la morte sia vista come un ostacolo insormontabile impossibile da aggirare, due semplici parole possono far sì che la distanza tra i fragili, e quello stesso ostacolo, possa aumentare sempre di più.

Per tutto ciò, basta un semplice “come stai?“.

8 lettere interrogative, possono esser la chiave per salvare molte più vite, togliendo dall’enorme baratro dei suicidi giovanili in Italia nuove vittime.

Andare a fondo, preoccuparsi davvero della salute mentale di chi ci è vicino, ma anche di chi magari vediamo per la prima volta, su una panchina, col capo chino e gli occhi fermi.

E soprattutto, dobbiamo fare in modo che mai più loro possano sentirsi diversi.

La discriminazione sessuale, razziale, religiosa, fisica, o di qualunque tipo, sono tutti fenomeni che insieme alla cattiveria nella sua forma più totale, genera in quei possessori di ali strappate pensieri sempre più intrusivi, nuove voci che suggeriscono loro di compiere il più terribile dei gesti contro se stessi.

Quindi, la prossima volta, non giriamoci dall’altra parte, non confondiamo malesseri mentali con una semplice tristezza, non usciamo dai discorsi con frasi di circostanza classificando come strane quelle anime.

Indaghiamo, aiutiamo, amiamo questi delicati cercatori di bene.

Contrastiamo i suicidi giovanili in Italia dando quell’abbraccio, includendo nella nostra vita chi ha sempre fatto parte degli ultimi, dando quell’affetto desiderato, e magari così facendo piuttosto che dire a una madre disperata ad un funerale premeditato “gli volevo bene”, potremmo dire a quella stessa persona, senza esser colpiti dai rimorsi, un caldo e meraviglioso, “ti voglio bene“.

Maurizio Incardona

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