Tirare dalla giacchetta la Magistratura, incensandola o denigrandola a seconda dell’esito delle sentenze a noi più o meno favorevole, è sempre fastidioso. Ed è ancora più intellettualmente irritante quando questo doppiopesismo nei confronti dei giudici viene applicato a questioni che riguardano temi etici.
“A Padova c’è un ambiente particolarmente ostile, negativo, un po’ bigotto” ha tuonato dai microfoni di Radio Cusano Campus Monica Cirinnà, senatrice del Partito Democratico, che ha messo nome e volto alla legge che ha introdotto in Italia le unioni civili. Già di per sé è alquanto anomalo che una parlamentare intervenga a gamba tesa su una sentenza della Magistratura, generalizzando poi il giudizio a un’intera realtà come quella di Padova. Ma a parte questo, la parlamentare democratica accosta alla vicenda del minore allontanato dalla madre dal Tribunale dei Minori di Padova, due situazioni che nulla hanno a che vedere con le motivazioni dei giudici: tanti bambini vivono circondati soltanto da figure femminili o maschili e che l’orientamento sessuale fa parte del nostro Dna e quindi è immodificabile.
La precisazione puntuale e decisa del presidente del consiglio nazionale degli assistenti sociali Gianmario Gazzi sulla vicenda, che dà più di una risposta alle affermazioni della Cirinnà che, se pronunciate da qualche altro parlamentare, avrebbero scatenato l’ira di tanti a Padova e dintorni. “Chi ha voluto utilizzare argomenti utili solo a condizionare l’opinione pubblica a pochi giorni dalle decisioni che a breve dovranno essere adottate dalla Magistratura – spiega Gazzi – ha stralciato e decontestualizzato intere parti del provvedimento del Tribunale dei Minorenni cercando di dimostrare, pur se falso, l’indimostrabile: il minore, infatti, non è stato affatto allontanato dalla famiglia perché mostrava atteggiamenti effeminati, ma in quanto nella famiglia erano venute a mancare le condizioni minime necessarie per la sua crescita equilibrata”. “Quanti sono chiamati quotidianamente a gestire il delicatissimo tema della tutela dei minori attraverso un approccio multidisciplinare in grado di valutare ed approfondire tutte le tematiche che sottendono alle situazioni di disagio nelle quali si può venire a trovare un minore – prosegue – conoscono bene le ardite campagne di stampa che da anni qualcuno, interessato, conduce facendo del dileggio, dell’insulto, dell’insinuazione e della intimidazione le sue armi preferite”.
Dunque nessuna Inquisizione, nessun dogma. I giudizi non sono andati a investigare nella sessualità del minore, né a giudicare sulle presenti o future scelte sessuali. Si sono espressi su una realtà, quella del contesto familiare in cui viveva, che non presentava condizioni ideali per garantire una crescita ottimale al ragazzo.
Basta aprire qualsiasi manuale di sociologia, non la Bibbia o il Catechismo, per leggere che l‘identità di genere si forma nel processo di socializzazione, con cui si costruisce la definizione che ciascuno dà di sé stesso come uomo o come donna: l’immagine che ciascuno/a coltiva, le aspettative che nutre per sé stesso/a rispetto alle sue capacità, ai suoi interessi e al modo in cui interagisce con gli altri.
Non c’è guerra di religione da fare ma semplicemente prendere atto che, per il Tribunale dei Minori di Padova e i servizi sociali, la socializzazione del ragazzo e quindi anche la sua identità sarebbero state viziate da un contesto segnato – scrivono i giudici e gli assistenti sociali che hanno seguito il caso – da “aspetti di dipendenza, soprattutto riferendosi a relazioni diadiche con conseguente difficoltà di identificazione sessuale”, da “problematiche relazionali profonde e segnali di disagio psichico”, dalla necessità del giovane di “avere uno spazio che gli consenta di incontrare i suoi pensieri ed i suoi desideri con conseguente percorso di revisione del suo mondo interno così come oggi lo percepisce”.
Ci sono temi, quelli relativi alla sfera sessuale e in generale alle scelte più intime delle persone, su cui urge più misura e buon senso da parte di tutti. L’onestà intellettuale di ammettere che sono questioni su cui è bene discutere, ma su cui tutti abbiamo interrogativi. Nessuno ha certezze definitive, né in un senso né in un altro. Che non ha senso contrapporre dogmi ad altri dogmi. Evitare di tirare per la giacchetta una Magistratura che, mentre nel recentissimo passato a colpi di sentenza ha aperto le porte in Italia a forme di eutanasia e all’adozione per coppie dello stesso sesso, questa volta ha scelto di vederci più chiaro. E ne ha tutto il diritto e il dovere.
Salvatore D’Elia