Entro 50 anni il Sud Italia perderà altri 5 milioni di abitanti

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Il rapporto Svimez pubblicato la scorsa settimana parla chiaro: al Nord crescono i posti di lavoro, mentre nel Sud Italia si registrano 27 mila occupati in meno. Nullo l’impatto del reddito di cittadinanza.

Nel 1972 il Corriere della Sera diceva che nel 2020 il divario tra Nord e Sud Italia sarebbe stato colmato. L’articolo citava un rapporto del ministero del Bilancio, che affermava come lo sviluppo del Sud fosse avvenuto in modo disordinato, sommando ai “vecchi motivi di arretratezza nuove cause di disorientamento”. Stroncava in modo netto anche l’imprenditorialità nel sud, che aveva costruito aziende come fossero “piramidi sulle sabbie mobili”, perché carenti della solidità necessaria. Ma era tutto sommato abbastanza ottimista, perché prevedeva che in mezzo secolo le differenze tra i due estremi del Paese si sarebbero appianate, con un Sud in grande rimonta.

Mancano 50 giorni al 2020 e pare proprio che la stima del Corriere sia stata eccessivamente rosea. Le regioni del Nord continuano a essere la locomotiva del paese, perché economicamente più sviluppate, mentre nel Sud lo sviluppo rimane un problema. In questi anni a rimanere alto è stato il divario territoriale con cui si è alzato il Pil. Nelle regioni del Sud, come ad esempio Calabria e Sicilia, la differenza di PIL rimane altra con forbici che arrivano a toccare i 44.2 punti di distanza.  Trentino-Alto Adige, Lombardia, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta presentano i valori più elevati, al di sopra dei 32 mila euro.

Il rapporto Svimez




La scorsa settimana è stato pubblicato il rapporto Svimez 2019. Si tratta di un documento redatto dall’omonima Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, che ha fotografato una situazione allarmante per il Sud Italia. La strada che quest’ultimo sembra dover percorrere per avvicinarsi ai livelli occupazionali del Nord è impervia. I primi sei mesi del 2019 hanno segnato una crescita occupazionale a Nord con un aumento di 137mila posti di lavoro, mentre al Sud la tendenza è in calo e sono stati registrati 27 mila occupati in meno. L’Italia sarà interessata sì da una debole ripresa economica, pari allo 0,6%, ma il Sud non riuscirà ad andare oltre lo 0,2%.

Nullo l’impatto del reddito di cittadinanza

Scarso se non nullo pare, finora, l’impatto del Reddito di Cittadinanza sul mercato del lavoro. Con l’entrata in vigore di questo nuovo strumento, ci si attendeva un aumento del tasso di partecipazione e del tasso di disoccupazione che nei cinque mesi trascorsi non si è palesato. Le persone in cerca di occupazione si sono ridotte dai circa 2,7 milioni del primo trimestre dell’anno a valori intorno i 2,4-2,5 milioni negli ultimi mesi.

Il dato demografico





Non ignorabili sono poi i dati demografici. Bisogna premettere che la crescita della popolazione italiana si è fermata nel 2015, ma dal 2000 oltre 2 milioni di abitanti hanno abbandonato il Meridione. La prospettiva di crescita del Paese per il prossimo anno sembra essere sempre meno consolante. Nel Centro-Nord, però, l’azione rigeneratrice delle immigrazioni (sia dal Sud sia dall’estero) consentirà di compensare parzialmente il processo di riduzione della popolazione attiva nei prossimi due decenni. Entro il 2040 si assisterà a una stabilizzazione della popolazione, mentre nei prossimi cinquant’anni l’Italia si troverà con una popolazione molto inferiore e, soprattutto, decisamente invecchiata. Per ora, infatti, siamo il Paese UE con la popolazione più anziana.

Sempre meno e sempre più vecchi 





Entro il 2070, il rapporto Svimez stima che il Sud perderà 5 milioni di residenti e, soprattutto, gran parte delle sue forze produttive. Le proiezioni prevedono un  -1,2 milioni di giovani e -5,3 milioni di persone in età da lavoro. Il Centro Nord dovrebbe invece riuscire a contenere le perdite a 1,5 milioni di residenti. Il contributo delle nuove nascite e delle
immigrazioni sarà pressoché ininfluente al Sud, perché è troppo significativa la cifra delle partenze.

Altri nodi: la scuola, la sanità, i consumi

Gli investimenti nell’istruzione in Italia, in aumento nei primi anni del nuovo secolo, si sono drasticamente ridotti  dall’inizio della crisi, passando da circa 60 miliardi del biennio 2007-2008 a circa 50 negli ultimi due anni (in euro costanti 2017). Tendenza confermata anche nel Sud. Qui si aggiunge anche la preoccupazione relativa al numero crescente di studenti che abbandonano precocemente i banchi di scuola. Campanello d’allarme anche per il settore sanità. Coloro che hanno bisogno di servizi sanitari e cure si rivolgono alle strutture del Nord. Stagnante anche il settore dei consumi, in cui il Sud registra dati negativi preoccupanti. Qui risultano infatti ancora in negativo, con una percentuale del -9%. Al Nord, invece, sembrano essersi recuperati i livelli precedenti alla crisi.

Il “doppio divario”

Il divario tra Nord e Sud si inserisce all’interno di un’Europa “sempre più diseguale e complessa”, come riportato nello stesso rapporto Svimez. Sono ben chiari i vincoli esterni e le opportunità che derivano dalla partecipazione comunitaria, ma bisogna fare i conti anche con le lacune delle politiche pubbliche nazionali che riflette prima un ritardo italiano rispetto a un ritardo meridionale. Il Sud, quindi, rispetto al Nord del Paese subisce quello che è il doppio divario: la lontananza dal Nord che arranca ma in qualche modo sopravvive e la distanza abissale con l’Europa.

Elisa Ghidini

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