Lo stupro di gruppo a Palermo, avvenuto lo scorso sette luglio, è un fatto che riguarda ciascuno di noi. Riguarda la società in cui siamo cresciuti, riguarda il linguaggio che adoperiamo, riguarda i media che seguiamo. Sette giovani uomini abusano di una diciannovenne, uno di loro filma la violenza. ‘Eravamo ti giuro 100 cani sopra una gatta’, queste le parole di Angelo Flores, il giovane che filma l’accaduto. Rifiutato in precedenza dalla vittima, l’uomo trova così la sua vendetta personale e collettiva, consumata col gruppo di amici. Rivendica il suo essere ‘uomo vero’, l’orgoglio maschile. Non parliamo di bestie, non parliamo di branco, parliamo di uomini. Dobbiamo gridare i loro nomi.
In questi giorni è reso noto l’atroce racconto della giovane donna vittima dello stupro di gruppo a Palermo, avvenuto il 7 luglio scorso. Si continua a parlare degli uomini come mostri, bestie. Si continua a parlare di donne che devono imparare a difendersi, di donne che non devono bere troppo e/o andare in giro da sole. Perché si parla ancora troppo poco dell’educazione e della retorica secolare che sta alla base di queste dinamiche, della mascolinità tossica che nutre gli uomini e li rende, normalmente, abituati a pensare di poter disporre del corpo femminile a loro piacimento? Perché è di normalità che stiamo parlando. Dei discorsi da caffè, del ‘chissà com’era vestita’, del ‘la carne è carne’. Lo stupro è solo la punta dell’iceberg.
Violenza di genere, un corpus codificato di norme patriarcali
La violenza di genere è sistematica e sistemica. La violenza di genere colpisce le donne a diversi livelli ed è perpetrata non soltanto da chi uccide o violenta una donna. La matrice comune dei comportamenti sessisti che sfociano in atti di violenza fisica è interna alla società. Parte dall’educazione che impartiamo ai nostri figli e circola nei media che ci fanno apparire un caso di violenza come qualcosa di inaudito, nelle conversazioni di ogni giorno che fanno ricadere l’attenzione sulla vittima e mai sugli aggressori.
«Ancora una volta alla gravità dell’accaduto si somma la gravità della narrazione che viene fatta. La ricerca morbosa dei particolari, lo stato di lucidità della vittima ripropone , anche in forma velata, una sorta di assoluzione. E ancora siamo contro la narrazione che condanna ‘il branco’ ma non gli individui, riproponendo il solito schema di deresponsabilizzazione. Nessun branco, questi sono uomini che affogano e si cibano della stessa cultura della prevaricazione »
Così la sezione di Palermo dell’associazione transfemminista Non una di meno mostra come il caso di stupro avvenuto nel capoluogo siciliano sia un triste promotore dell’ennesima mistificazione della violenza, che non ha nulla di nuovo ai nostri occhi. Giovani uomini, non bestie che agiscono per istinto, che non accettano un rifiuto perché a loro tutto è dovuto. Se non riescono ad ottenere ciò che desiderano, allora lo prendono con la forza, perché sono legittimati a farlo. E’ stato insegnato loro che i veri maschi ottengono sempre quello che vogliono, che l’obiettivo è l’atto sessuale, che quello stesso atto è dimostrazione di virilità.
Giovani donne a cui viene insegnato che non devono mostrarsi troppo, altrimenti potrebbero essere tacciate di essere delle poco di buono. A cui viene insegnato il perenne autocontrollo, a cui viene detto di non bere troppo, perché altrimenti qualcuno potrebbe fare loro del male. Quanto è disfunzionale tutto ciò? Com’è possibile che le donne debbano vivere con questo timore? Con quest’angoscia? Con la consapevolezza di non poter ‘abbassare la guardia’ perché il pericolo è sempre dietro l’angolo. Con la consapevolezza di essere carne da macello la cui voce, il cui ‘NO’ vale meno del proprio vestito e del proprio trucco. Perché questo noi siamo. Il nostro vestito e il nostro trucco, è quello che parla per noi.
Stupro di gruppo a Palermo, la rabbia di una comunità
In seguito alle dichiarazioni della giovane vittima è stato prontamente organizzata un’assemblea per dimostrare solidarietà e per manifestare il dissenso della comunità. Donne e uomini si sono riuniti alla Cala di Palermo, il porto turistico, a pochi passi dal luogo in cui è avvenuto lo stupro. ‘Lo stupratore non è malato, è figlio sano del patriarcato’, questo uno degli slogan della marcia che lo scorso 19 Agosto ha interessato la città di Palermo, segno che una parte della comunità è cosciente e reattiva. Questo anche grazie alla fervida rete di associazioni che ha sede e lavora nel territorio; la realtà di una città che non vuole e non rimane indifferente.
La rabbia ha un senso, il dissenso lo ha. Fin quando non agiremo alla radice, decostruendo il modello patriarcale che ci ha cresciuti e che ci nutre giorno per giorno, potremo fare ben poco. Riguarda tutti noi, uomini e donne, nessuno escluso.
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