È ormai cosa nota che un cervello allenato, grazie allo studio e alla lettura, goda di ottima salute e risulti protetto più a lungo dal declino cognitivo, ovvero dalla perdita della memoria e di altre facoltà cognitive come l’apprendimento, il linguaggio e l’attenzione.
Quindi studiare fa bene: non solo aiuta l’apertura mentale ma potenzia le regioni prefrontali, che finiscono così per avere una maggiore attività dei geni che hanno un ruolo nella neurotrasmissione e nell’immunità cerebrale.
Le ricerche sono state condotte sia su campioni in vita sia su campioni post mortem.
Ricerca su campioni in vita
La prima ricerca, guidata dalla University of Southern California, e pubblicata sul Journals of Gerontology, ha utilizzato un campione di circa 10.000 americani, la cui età media era 75 anni, valutandoli prima nel 2000 e poi nel 2010. In base al grado di istruzione, i soggetti sono stati divisi in quattro categorie:
– diploma elementare
– diploma di scuola superiore
– laureati
– persone con più lauree.
I risultati hanno confermato che l’aspettativa di vita senza demenza è aumentata in maniera maggiore per coloro che avevano il più alto grado di istruzione, infatti per i laureati si è accresciuta in media di 1,51 anni per gli uomini e 1,79 anni per le donne, al contrario chi aveva minore istruzione si è dovuto accontantare di un incremento pari a 0,66 anni per gli uomini e 0,27 anni per le donne.
Ricerca su campioni post mortem
Alcuni ricercatori dell’Università di Barcellona e del Deutsches Zentrum für Neurodegenerative Erkrankungen (Centro Tedesco per le Malattie Neurodegenerative) hanno invece studiato i campioni post mortem di circa 100 cervelli adulti non ancora intaccati da declino cognitivo: nei soggetti che avevano completato almeno 15 anni di istruzione, la corteccia prefrontale mediale, cioè la parte anteriore del lobo frontale del cervello, situata davanti alla corteccia motoria primaria e alla corteccia premotoria, la corteccia anteriore cingolata, quella situata nella regione superiore della superficie mediale dei lobi frontali, sopra il corpo calloso, e quella orbitofrontale, regione della corteccia prefrontale nei lobi frontali del cervello, risultavano più spesse ed erano associate a una maggiore attività di geni protettivi, che favorivano l’elaborazione delle informazioni e la ripulitura del cervello dalle tossine neurali associate all’insorgere di malattie neurodegenerative.
Oltre allo studio, esistono altri fattori che aiutano a prevenire il declino cognitivo: fare sesso, impegnarsi in attività sociali, ballare, camminare, in una parola muoversi, seguire un’alimentazione specifica, come la mind diet, e dire no agli stereotipi di genere.
Roberta Sanzeni