Il numero in crescita di studenti suicidi nelle università italiane è un sintomo da non sottovalutare. Ci dice che qualcosa all’interno del percorso formativo sta fallendo e che questo fallimento ha un prezzo tragico: la vita di molti ragazzi e ragazze. Come possiamo cambiare le cose?
Sono passati due giorni da quando una studentessa di 19 anni è stata trovata morta in un bagno dell’Università Iulm di Milano. Di lei non so nulla, nemmeno il nome, ma non riesco a smettere di pensarci. Perché quel nome che non conosco si aggiunge a quelli su una lista di studenti suicidi che sta diventando sempre più lunga. E che pesa come un macigno sulle nostre coscienze.
Quella studentessa sono io. Sono gli amici con cui ho studiato. Sono i ragazzi e le ragazze incrociati nei corridoi, nelle biblioteche, nelle pause pranzo.
Anch’io ci sono passata: anche se avevo ottimi voti, in certi momenti ho fatto fatica. Ho rischiato anche di non laurearmi affatto e in quel periodo, sì, a volte mi è sembrato che la mia vita non valesse niente. So che è successo anche a molti amici. Qualcuno era rimasto indietro con gli esami. Altri erano perfettamente nei tempi ma si sentivano comunque arrancare, già al di fuori di un cronometro che correva troppo in fretta.
Ricordo ancora quello che disse un ragazzo una sera a casa di amici, mentre si chiacchierava dopo cena. Io ero al terzo anno, lui era nel bel mezzo del corso di Dottorato. A un certo punto, ricordando gli esami di ammissione, sbottò in un amarissimo:
La verità è che non basta mai. Se ti laurei nei tempi, non va bene: dovevi laurearti in anticipo. Magari conseguendo nel mentre altre certificazioni, imparando un altro paio di lingue e cercando contatti utili con le aziende. Senza dimenticare di metterti sotto l’ala protettrice di un professore influente, che ti accompagni nel percorso. Chi ha tempo non perda tempo: occorre essere produttivi, proattvi, performanti, strategici. E il tempo per vivere, nel mentre? Ah no, quello è un lusso.
Credo che in quel momento parlassero soprattutto una grande stanchezza e un po’ di disillusione. Eppure, mi sembra che quel dottorando abbia centrato un aspetto cruciale del problema per quanto riguarda gli studenti suicidi. E cioè che in qualche momento del processo formativo il tempo per vivere – per divertirsi, ma anche per riconoscere le proprie fragilità e prendersene cura – sia diventato un optional.
In un contesto simile, perché non c’è il mio nome o quello dei miei amici tra quelli degli studenti suicidi? A ripensarci, a volte, onestamente mi sembra solo questione di fortuna.
Come patrona laica dell’Università e dell’istruzione abbiamo scelto la dea Minerva. E forse già questo è indicativo.
Da appassionata di mitologia classica, ai simboli che vi fanno riferimento mi capita di fare caso. E poi, non notare la presenza di Minerva in moltissimi atenei italiani è pressoché impossibile. Basti pensare all’Università La Sapienza. O alla Minerva che presidia Pavia in quanto città universitaria. O ancora alla statua neoclassica della dea che scruta severa chi entra nella sede torinese al principio di via Verdi. Lei è sempre lì: austera, generalmente armata, a ricordare che la formazione è una battaglia che può concludersi solo con la gloria o l’ignominia. E alla seconda, da leggersi tra le righe, è bene ricordare che preferibile sarebbe la morte.
Ora, forse sarebbe il caso di ricordare che Minerva, come la sua corrispettiva greca Atena, non è una divinità benevola. O meglio: lo è coi suoi prediletti. Gli astuti, i dotati, i colti – sì, anche quelli che non guardano in faccia a nessuno pur di conseguire il risultato. A chi arranca, così come a chi commette atti d’empietà, non concede sconti. Come ricorda il mito di Medusa, la cui testa la dea si porta fieramente sullo scudo, si tratta di una dea dall’ira terribile se scontentata.
Ecco, forse la crescita esponenziale del numero degli studenti suicidi in questi ultimi anni ci sta dicendo qualcosa di importante. Cioè che abbiamo reso la formazione, specialmente universitaria, un’immagine perfetta di Minerva. E no, non in senso buono.
Studenti suicidi: come possiamo invertire la tendenza?
Perché non si ripetano i casi terribili degli studenti suicidi cui abbiamo assistito, il primo passo consiste nell’iniziare ad attivare modelli e simboli alternativi. Perché l’educazione e la formazione d’eccellenza, checché se ne dica, non sono solo Minerva. Sono anche Socrate e Diotima di Mantinea, Aristotele, Epicuro, forse per certi versi perfino Gesù Cristo. Sono tutti quei personaggi, reali e immaginari, che nel nostro patrimonio culturale simboleggiano i valori della cura di sé e dell’altro e della ricerca condivisa. Quelli che, prima che sul raggiungimento del risultato e sul miglioramento della performance, s’interrogano sul significato della vita buona, della vita felice. Le vicende degli studenti suicidi, il dolore loro e dei loro cari, ci dicono oggi che sulla formazione occorre tornare a riflettere con urgenza.
Non per capire solo come farne uno strumento più idoneo a un futuro lavorativo soddisfacente, ma nel contesto del progetto di vita dall’ottica più ampia. L’educazione dovrebbe fornire strumenti per conservare le capacità di sperare e di vedere una luce in fondo al tunnel anche nelle avversità. Per progettarsi e ri-progettarsi continuamente, dal momento che il cambiamento è il dato più stabile con cui si avrà a che fare nella vita. La scuola e l’università, insomma, dovrebbero costituirsi come luoghi in cui l’errore è possibile ed è concesso. Perché è anche attraverso l’errore che si commette sperimentando e mettendosi alla prova che si ha l’occasione di scoprire chi si è. Per farlo, però, dovranno raccogliere una sfida epocale. Quella di aiutare chi si forma a pensarsi come persona nel senso più globale del termine.
I ragazzi e le ragazze meritano di essere più che lavoratori, professionisti competenti e competitivi, risorse per le aziende. Meritano di essere persone, con tutto il loro bagaglio. Difendere questo diritto e aiutarli a ricordarlo, specialmente oggi, è un dovere cui le istituzioni educative non possono più venire meno.