Il connubio tra caldo torrido, carenze di personale e strutture ospedaliere inadatte potrebbe essere fatale nell’estate 2023. Aumentano i ricoveri per i malori dovuti alle alte temperature, medici ed infermieri fanno gli straordinari, tuttavia non è sufficiente a colmare l’assenza di personale negli ospedali. Il rischio di tornare indietro al 2022, quando è stato registrato il numero più alto di decessi dovuti al caldo, circa 18.000, appare più reale che mai.
Quelle dell’estate 2023 sono state le temperature più alte mai registrate da quando sono partite le rilevazioni nel 1850. Tendenza che è destinata a ripetersi, negli ultimi anni varcata la soglia della bella stagione inizia l’allarme caldo. Il clima torrido ha reso sempre più difficile viaggiare, lavorare o anche solo godersi le ferie. La colonnina di mercurio dei termometri delle grandi città italiane ha toccato i 40 gradi, arrivando a sfiorare i 43-45° in alcune zone delle isole e mettendo a dura prova le nostre strutture ospedaliere. Una situazione che si estende anche al resto dei Paesi membri che si affacciano sul mediterraneo come Croazia e Grecia, alle prese con dei terribili incendi proprio negli ultimi giorni.
Le tremende e ricorrenti ondate di calore portano con sé problematiche altrettanto pericolose, dalle calamità naturali come incendi e siccità, fino all’aumento dei malori dovuti al caldo. Problemi come disidratazione, edemi, insolazioni, svenimenti, congestioni, crampi, colpi di calore sono le conseguenze riportate dalla Società Italiana di Medicina Ambientale, che già l’anno scorso diffondeva un vademecum per fronteggiare la lista dei problemi riscontrati. Il timore è che l’Italia ripeterà nuovamente il numero di vittime del 2022, circa 18 mila persone, il dato più alto in tutta Europa.
Caldo e mancanza di posti letto mettono in difficoltà le strutture ospedaliere e i medici
I soggetti più a rischio sono bambini, anziani e malati, eppure non sono le uniche persone sotto pressione per il caldo, medici e personale ospedaliero sono in prima linea e soffrono la carenza di personale e gli eccessivi straordinari che hanno effetti nocivi anche sulla loro salute. Per i medici italiani nel periodo estivo aumenta il carico di lavoro fino all’insostenibile e in quasi la metà dei casi per sopperire alle carenze di organico, tanti fanno molte ore di straordinario per coprire i turni di notte e il 56,8% salta i riposi settimanali.
Tuttavia il loro impegno non è sufficiente a riempire questo vuoto di personale, le attività ambulatoriali diminuiscono nel 52,7% dei casi e chiudono del tutto nel 15,1% degli ospedali. La qualità stessa della nostra assistenza sanitaria è compromessa nel 56% dei casi in modo grave. Questi dati emergono dai report forniti dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri, raccolti in ben 206 Unità operative di medicina interna localizzate in tutte le regioni italiane.
Le mancanze dovute al connubio tra ferie, diritto imprescindibile dei lavoratori della sanità, e assenza del giusto numero di personale tocca il picco tra giugno e settembre, fatti che sono destinati a ripetersi riempiendo le prima pagine durante il periodo estivo. I sanitari non bastano ed anche i posti letti per i ricoveri sono inadeguati ed insufficienti. A tutto ciò si sommano i cosiddetti “bed blockers”, ossia dei pazienti che non possono essere dimessi per la mancanza di una adeguata assistenza domiciliare. Il numero di questa tipologia di pazienti si aggira sul 20% dei ricoverati nei reparti di Medicina interna del nostro Paese.
Le cause delle carenze delle strutture ospedaliere sono destinate drammaticamente ad aumentare
I sindacati dei medici dirigenti prevedevano già l’anno scorso 40mila specialisti in meno tra il 2022 e il 2024, i motivi principali sono tre: pensionamento, licenziamento e nuove attività previste. L’Anaao Assomed, sindacato maggiore del settore, ha segnalato un possibile numero di pensionamenti in questo lasso di tempo pari a 10.000 unità. Cifra significativa a cui si aggiungono i licenziamenti volontari presentati dai medici con lo scopo di lavorare all’estero o semplicemente perché esauriti da turni eccessivamente stancanti e dalle strutture in degrado.
Si stima che neanche stabilizzando tutto il personale precario formatosi durante la pandemia (9.409 professionisti) e stipulando contratti con la platea di 15mila specializzandi presenti in Italia, per poi inserirli nelle nostre strutture ospedaliere, sarà possibile tornare ad una situazione di stabilità. I sindacati ritengono necessarie nuove assunzioni, anche in presenza di queste forze che potranno nel frattempo essere impiegate per aiutare nelle attività ospedaliere.
I lavoratori della sanità sono stanchi di turni massacranti e demoralizzati dall’inesistenza di grandi prospettive di carriera. Le loro sono carriere impossibili per via dei continui tagli, ben 30mila posti letto in dieci anni e migliaia di posti da primario cancellati. I medici in Italia sono sottoposti ad enormi stress e condizioni umilianti percependo anche il salario più basso d’Europa. I camici bianchi però non rivendicano soltanto aumenti salariali, ma anche condizioni migliori di lavoro. Ognuno di loro accumula in media 300 ore di straordinario che non vengono pagate né recuperate. Sono 5mila i medici ospedalieri che negli ultimi sei mesi hanno lasciato la sanità pubblica. Una parte di loro si rivolge al privato lavorando in studio, mentre altri chiedono il pensionamento anticipato o si dirigono all’estero.
Non solo medici: tutte le figure professionali in fuga dai nostri ospedali
Le difficoltà maggiori emergono proprio nella medicina interna e di emergenza. Nelle sale operatorie scarseggiano gli anestesisti, e in generale, tutte quelle specialità mediche che lavorano quasi esclusivamente per il pubblico. I giovani, ormai quasi tutti dotati di un inglese fluente, fuggono dalle nostre strutture ospedaliere per andare all’estero. Basti pensare che persino nel privato rimane scoperto il 0,4% dei posti nella dermatologia, molto richiesta in studio.
Altrettanto avviene nella chirurgia plastica, dove appena il 2,32% delle borse di studio viene assegnata, perché non competitive con quelle di altri Stati europei. Fino ad arrivare alla tragica realtà delle borse di studio in medicina di emergenza e urgenza, di cui il 61% non vengono assegnate. D’altronde, perché un giovane dovrebbe sottoporsi a formarsi per un lavoro usurante e poco riconosciuto nel suo Paese sul piano economico. Quel 61% sarebbero le persone che aprono le porte dei pronto soccorso, nell’Italia di oggi paragonati, assieme a molti altri reparti, ad un inferno da cui scappare.
Tanto è stato scritto sui cervelli in fuga e i medici che prendono ferie senza responsabilità professionale, eppure la realtà è molto più complicata di come appare. La stabilità della sanità pubblica in Italia è in pericolo. Servono nuove politiche per il welfare, che si focalizzano su lavoro, ossia su quelle persone che quotidianamente assicurano a milioni di cittadini un diritto universale e costituzionale, com’è quello alla salute. In assenza di un aumento salariale e un’assunzione di massa l’Italia rimarrà presto scoperta e non sarà di certo colpa dei professionisti che ogni giorno sono pronti a curarci.
Francesca Calzà