Arriva notizia dell’Università del Michigan di una sorprendente scoperta relativa al rapporto tra stress ossidativo e longevità. Lo stress ossidativo (rottura dell’equilibrio nell’organismo tra produzione di ossidanti ed eliminazione da parte dei sistemi di difesa antiossidanti) è uno dei meccanismi che stanno alla base dell’invecchiamento, ma ora la ricerca firmata da Ursula Jakob e Daphne Bazopoulou insieme ad altri collaboratori, pubblicata su Nature lo scorso 4 dicembre, afferma che in un tipo di verme chiamato Caenorhabditis elegans, un minuscolo esserino lungo circa un millimetro, molto usato come organismo modello per gli studi in biologia, uno stress ossidativo sperimentato nella fase giovanile di sviluppo avrebbe un effetto positivo sulla longevità.
Gli scienziati hanno anche in parte individuato il meccanismo che sta alla base di questo aumento della longevità, hanno scoperto che una grande produzione di ROS (reactive oxygen species) degli agenti ossidanti composti dell’ossigeno (ovviamente nell’esperimento provocata da loro stessi) nella fase di sviluppo influisce sui modificatori degli istoni, cioè degli enzimi che agiscono sugli istoni che sono delle proteine basiche della struttura della cromatina.
OK, l’ultimo paragrafo era per dovere, ma capisco che per chi non ha profonda dimestichezza con biologia e medicina ha poco significato, quello che invece mi interessa chiarire è perché si usa questo verme per certi studi e il significato della scoperta, che se confermata va ben oltre il rapporto tra stress ossidativo e longevità.
Il Caenorhabditis elegans è un ermafrodita, a dire la verità non è completamente vero, lo 0,05% della popolazione è composto da individui maschi che garantiscono la variabilità genetica, ma ai ricercatori interessano proprio gli individui ermafroditi. Perché? Perché riproducendosi da soli creano individui identici geneticamente.
Per spiegare perché in questo studio servissero individui dall’identico patrimonio genetico va ricordato che finora noi avevamo certezza solo di due fattori che influenzano la longevità, quello genetico (se siete figli di persone che hanno vissuto o vivranno a lungo avete buone probabilità di farlo pure voi) e quello ambientale (quindi ovviamente due per modo di dire, abbiamo riunito in un fattore unico una molteplicità di fattori), ma se noi osserviamo una popolazione di individui ermafroditi, con identico patrimonio genetico, che vivono sullo stesso vetrino del microscopio (stesso fattore ambientale) eppure mostrano una varietà nella longevità che va dai tre ai venti giorni, questo vuol dire che altri fattori incidono.
Ecco perché questa scoperta va oltre il rapporto tra stress ossidativo e longevità, la conferma che uno stress ossidativo sperimentato durante lo sviluppo influenza la longevità sarebbe anche la prima conferma che non sono solo la genetica e i fattori ambientali ad influenzarla.
Roberto Todini