La strage nel Mediterraneo procede senza tregua, nel silenzio generale

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Centinaia di innocenti continuano a morire nella strage nel Mediterraneo centrale. La settimana scorsa c’è stato il primo naufragio del 2021 al largo della Libia. Il Mediterraneo centrale è un territorio di guerra che vede pochissime imbarcazioni andare a salvare i migranti. Le ONG restano, infatti, in gran parte bloccate nei porti e l’orrore viene ancora una volta taciuto, questa volta da un governo di centro-sinistra.

La strage nel Mediterraneo continua da anni. Il 3 ottobre 2013 a poche centinaia di metri da Lampedusa 366 persone hanno perso la vita. Il 18 aprile 2015 la cosiddetta tragedia nel Canale di Sicilia ha registrato circa 1000 vittime. Insomma, le date d’inizio che conosciamo sono molte, ma ancora non se ne vede la fine.

Le ultime notizie sulla strage nel Mediterraneo centrale

Solo ieri moltissime imbarcazioni sono partite dalla Libia: ognuna con esiti diversi. La nave Asso Trenta ha soccorso 70 persone. Altre 45 sono, invece, arrivate in autonomia a Lampedusa.

Sempre ieri, 373 persone sono state soccorse dalla nave Ocean Viking, di queste, molte sono donne e bambini. Dei bambini, 21 sono neonati o hanno meno di quattro anni. Il più piccolo è un neonato di un mese.

La conta più tremenda resta quella delle 82 persone che, intercettate dalla Guardia costiera libica, sono state riportate nel Paese. Le persone rimpatriate raccontavano di un naufragio in cui erano morte altre 17 persone.

Dall’inizio dell’anno, sono almeno 80 le persone che hanno perso la vita.

Yusuf, l’ultima notizia di cronaca

Purtroppo, della strage in atto nel Mediterraneo non si parla. In generale, non si parla dei migranti (né di quelli della rotta balcanica né di quelli della rotta atlantica). L’ultimo segnale di vita delle maggiori testate italiane è stato il naufragio che ha portato alla tragica morte di Yusuf, un bimbo di soli sei mesi. Una morte che ha destato scalpore perché se solo i soccorsi con l’attrezzatura medica fossero stati più vicini, forse si sarebbe potuta evitare.

In quei giorni però morirono più di 100 persone, di cui si parlò poco.

Per nulla si parla, invece, delle condizioni delle navi ONG: imbarcazione bloccate nei porti italiani da mesi. La Guardia costiera italiana sottopone le navi a continui controlli di routine per verificare i livelli di adeguatezza della nave o dell’attrezzatura. I funzionari rifiutano di autorizzarne le partenze e, per la strage nel Mediterraneo, resta Open Arms Italia, che sicuramente non può agire da sola.



Cosa (non) è cambiato dall’era Salvini

Dall’era Salvini, c’è stata la riforma, anche se molto faticosa, dei famosissimi decreti sicurezza. Il cambiamento resta, però, insufficiente.

Bisogna, infatti, considerare quella che è una realtà nei fatti estremamente legale, ma che viola ripetutamente i diritti umani: i lager libici. Rimpatriare i migranti al largo delle nostre coste significa, infatti, rispedirli in luoghi di orrore. Nei lager libici uomini, ma soprattutto donne, sono vittime di violenze e torture. Le donne, inoltre, subiscono quasi sempre stupri ripetuti.

La condizione disumana di questi centri non permette alle persone di scegliere se partire o meno, se tornare o meno al loro Paese di origine, dal quale arrivano in Libia per poi imbarcarsi. Allora, chiunque, stremato e disperato, decide di mettersi in mano agli scafisti per provare a scappare. E la strage nel Mediterraneo viene perpetrata.

Si sta facendo qualcosa per fermare i rimpatri? No, anzi. La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha rinnovato il 2 febbraio 2020 il Memorandum d’intesa con la Libia. Il Memorandum permette di fermare le imbarcazioni e riportare le persone nei centri di detenzione in Libia. Il fatto che a firmare l’intesa rinnovata sia stata una ministra di una forza politica di sinistra dovrebbe far riflettere sul grado di silenzio che si mantiene sulla strage in atto.

Quindi, le persone che provano a scappare non solo si mettono in mano a degli scafisti perché non hanno altra scelta, ma la Guardia costiera italiana ha anche l’obbligo di riportarli dai loro aguzzini.

Che cosa si chiede al governo italiano?

In una lettera alla ministra Lamorgese, vari attivisti, politici, giornalisti e associazioni, tra cui, principale firmatario, il collettivo Josi e Loni Project, chiedono di:

Aprire urgentemente un canale legale e sicuro tra la Libia e l’Italia, ma anche di mettere in atto una svolta nella politica migratoria italiana e far sì che essa ispiri il resto d’Europa.

I problemi italiani sulla strage nel Mediterraneo, infatti, sono capillari e, per essere risolti, avrebbero bisogno di azioni multiple. In primis, si dovrebbero sbloccare i soccorsi delle navi ONG e permettere loro di aiutare i migranti, anche con la collaborazione della Guardia costiera italiana. Le ONG chiedono, inoltre, da molti anni di creare dei corridoi umanitari nei quali il transito delle persone possa avvenire in sicurezza. Ma nessuna garanzia dei corridoi umanitari può avvenire con efficacia se non si smantella la vetusta legge Bossi-Fini, ovvero il problema all’origine della strage nel Mediterraneo centrale.

Da sei mesi, comunque, il Ministero dell’Interno sta lavorando a cinque voli di evacuazione dalla Libia all’Italia. Una buona notizia, che, purtroppo, insieme alle svariate cattive notizie, continua a passare inosservata.

Antonia Ferri

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