Strage nazifascista di Marzabotto: resistenza per memoria e verità

Strage nazifascista di Marzabotto

Il 29 settembre 1944 è una pagina oscura della storia italiana. Oggi si ricorda l’orrenda strage nazifascista di Marzabotto, un episodio poco conosciuto. Le truppe tedesche e i repubblichini – i sostenitori fascisti della Repubblica di Salò – si macchiarono di una lunga serie di rastrellamenti in molti comuni della provincia bolognese e della Lunigiana che raggiunsero il culmine proprio tra il 29 settembre e il 5 ottobre di settantanove anni fa. 

L’occupazione nazifascista e la resistenza partigiana

L’eccidio di Marzabotto del 1944 è uno dei più gravi crimini di cui le truppe nazifasciste si sono macchiate, durante la Seconda Guerra Mondiale . La strage nazifascista di Marzabotto – dal nome del comune più grande tra tutti i colpiti – è in realtà il risultato di numerosi eccidi che colpirono molte zone del bolognese come Grizzana Morandi, Monzuno e Sant’Anna di Stazzema. Da un punto di vista storiografico, è infatti più corretto definirla come la strage di Monte Sole. Le esecuzioni e le violenze avvenute in quella parte della penisola italiana iniziarono nell’agosto del 1944 e, dopo lunghe e insidiose tregue, raggiunsero il culmine tra il 29 settembre e il 5 ottobre dello stesso anno. Il totale dei morti, molti dei quali non furono mai rintracciati né identificati, è di circa 1.830 persone. 

Il responsabile dei rastrellamenti e della guerra contro i partigiani durante l’occupazione nazifascista in Italia fu il maresciallo Albert Kesselring. La zona del bolognese era, ai suoi occhi, molto pericolosa perché le squadre delle SS avevano scoperto che operava la brigata di resistenza della Stella Rossa. È proprio dalla resistenza armata dei partigiani e delle partigiane italiane che, nella lettura storica e critica, bisogna ripartire per comprendere il complicato percorso che c’è stato per arrivare alla Repubblica italiana. 

Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto e la provincia bolognese

Nell’estate del 1944, il 12 agosto, uno dei reparti armati delle SS ha assalito centinaia di persone tra partigiani e civili residenti a Sant’Anna di Stazzema. La popolazione di Sant’Anna era piuttosto densa poiché zona bianca, cioè un luogo di sicurezza in cui le persone potevano rifugiarsi dalla guerra. 

La strage nazifascista di Marzabotto arrivò, ad un mese di distanza, quasi come un fulmine a ciel sereno. In quel periodo infatti, pochi furono i massacri sulla linea gotica. Il confine difensivo dei nazifascisti ha diviso dal 1944 l’Italia occupata dalle avanzate di liberazione degli alleati. Gli eccidi infatti sono stati parte della Campagna d’Italia, il progetto di occupazione e violenza militare del colonnello Kesserling e delle sue squadre d’assalto naziste.

Rappresaglie, attacchi e sabotaggi erano all’ordine del giorno. La zona infatti era in continua osservazione e sempre sotto attacco perché i tedeschi conoscevano bene le montagne e la resistenza che ivi si nascondeva. Durante l’eccidio di Monte Sole, che si verificò tra il 29 settembre e il 5 ottobre, tutti gli abitanti subirono violenze e trovarono le morte più trucida, a colpi di pistole e mitragliatrici. I carnefici non facevano differenze: uccidevano indipendentemente dall’età, dal genere o dall’appartenenza politica. 

Il massacro, durato ininterrottamente per sei giorni, è sempre stato mascherato. Non si è mai parlato di eccidio nazifascista ma, al contrario, si tentava di allontanare il più possibile la colpevolezza italo-tedesca per non infangare la memoria mussoliniana. 

Strage nazifascista di Marzabotto: mandanti, braccia armate e vittime

Le operazioni militari di rappresaglie facevano parte del particolare programma politico della Campagna d’Italia. La zona del bolognese era particolarmente resistente all’occupazione e ciò destava preoccupazioni. Gli episodi tra il 29 settembre e il 5 ottobre furono infatti minimizzati o giustificati. Lo stesso Benito Mussolini dichiarò più volte che in quella zona tutti erano pericolosi fuorilegge che meritavano di morire. Anche la stampa negava ogni forma di repressione e violenza, come l’articolo pubblicato sulla testata de Il Resto del Carlino. 

Di quei 1.830 morti, molti non furono mai trovati né registrati. Solo dopo la liberazione, ci furono molti ritrovamenti di cadaveri sotterrati. Ancora oggi però mancano molte persone, mai registrate e date per disperse.  Il mistero e l’ignoranza che ancora regna sull’eccidio di Marzabotto non mistifica solamente le vittime, ma anche i carnefici. Oltre a Kesserling, ci furono diversi mandanti, tra cui il Reichsfurer Walter Reder, un maggiore delle SS che operò in Lunigiana e nel bolognese. Molti altri, di cui ancora ignota è l’identità, sono stati i collaboratori. Molte e onerose sono state infatti le rappresaglie, e proprio per questo era necessaria una squadra piuttosto larga. 

Le identità che la Magistratura Militare italiana riuscì a scoprire furono poi nascoste con l’obiettivo di insabbiare ogni crimine contro l’umanità. Gli unici due nomi scritti nei fascicoli e pubblicati furono quelli del sergente Albert Piepenschneider e il caporale Franz Stockinger. Nel 1948, dopo la fine della guerra, il Tribunale Militare di Bologna si occupò delle responsabilità di cui i nazifascisti si erano macchiati. Ma dopo indagini e processi, il tribunale decise di non procedere con conseguenze di materia penale. La strage nazifascista di Marzabotto è ancora oggi rimasta impunita e porta con sé più di duemila morti, poca memoria e nessuna giustizia. 

Una strage rimasta impunita e l’armadio della vergogna

Dopo la liberazione dell’Italia, Walter Reder era riuscito a fuggire ma fu arrestato dagli americani e condannato all’estradizione in Italia. Reder è stato uno dei simboli dell’eccidio nazista rimasto impunito poiché, nonostante il processo e l’estradizione, avvenute nel 1951, il Tribunale militare di Bari gli concesse nel 1980 la grazia. Reder morì in piena libertà nel 1991 in Austria, con la complicità dell’allora primo ministro Bettino Craxi. 

Solo nel 1994, la Corte Militare d’Appello di Roma scoprì quei documenti che erano stati insabbiati. L’archiviazione di tutti quei nomi di mandanti e collaborazionisti, tra nazisti e repubblichini, erano scritti nei 700 fascicoli rinchiusi nell’ “armadio della vergogna”. Nell’armadio della vergogna c’era un’intera raccolta che documentava la guerra dall’8 settembre 1943 alla Liberazione del 1945. In questo modo, si poterono reperire tutti i nomi, i mezzi e i numeri di ogni attacco, eccidio e battaglia. 

Un altro boia di Marzabotto rimasto impunito fu Wilhelm Kusterer. Sebbene processato e condannato all’ergastolo dalla Corte Militare d’Appello di Roma nel 2008, il generale nazista nel 2016 ha ricevuto una medaglia come “cittadino onorevole” nella cittadina tedesca in cui abitava. L’ex SS ha ricevuto poi l’assoluzione poiché, secondo la Corte di Stoccarda, l’azione penale era inammissibile per il suo precario stato di salute e stabilità mentale. 



L’importanza di comprendere la storia per riconoscere il revisionismo 

La pagina buia della strage nazifascista di Marzabotto è una parte della storia che rischia di rimanere, sopratutto oggi, nell’oscurità a causa dei numerosi governi di destra reazionaria in Europa e nel mondo. A un anno dall’insediamento del governo Meloni, è stato possibile raccogliere tutte le pericolose – ma soprattutto false –  esternazioni di Ignazio Larussa e Giorgia Meloni sulla resistenza partigiana e le vittime delle foibe. Pericoloso è anche il conto con il fascismo che l’Italia non mai riuscito a chiudere, sia da un punto di vista sociale sia penale – come le fallite epurazioni del post-guerra. 

In un periodo così grigio come quello in cui ci troviamo, in cui si alternano mostri vecchi e nuovi, tra neofascismi e populismi, è molto alto il rischio manipolare i fatti storici. Altrettanto insidiosa aiutante del revisionismo storico è la velleitaria retorica di celebrazione e memoria che molti partiti tengono ad ostentare. Dunque, oggi più di allora è il momento per negare la rivisitazione storica e fermare le propagande dei governi xenofobi e nazionalisti. 

Il 25 settembre del 1949, il Presidente dell’ormai Repubblica Italiana, Luigi Einaudi, conferì a Marzabotto la medaglia d’oro al valore militare per la liberazione, la resistenza all’eccidio e all’occupazione nazifascista. E come anche la medaglia riporta nell’incisione, bisogna ricordare ad uno ad uno i 1830 caduti per la resistenza, il simbolo dell’antifascismo. 

La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga

Cimitero di casaglia  

Lucrezia Agliani

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