Strage in Yemen causata dalle bombe italiane: dopo il fallimento alla magistratura italiana, si passa alla Corte europea

Strage in Yemen

Ad ottobre 2016 un raid saudita in Yemen uccide sei persone e ne ferisce una settima. É stato confermato, dai detriti ritrovati sul luogo dell’esplosione, l’utilizzo di bombe prodotte in Italia, ma nonostante ciò la magistratura italiana scagiona l’azienda e i funzionari statali. Le vittime fanno quindi ricorso contro l’Italia alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

Strage in Yemen

La strage in Yemen, avvenuta l’8 ottobre del 2016 ha rivelato un legame sconcertante: le bombe utilizzate nel raid aereo erano di fabbricazione italiana, provenienti dall’azienda produttrice RWM S.p.a. Tuttavia, nonostante questa drammatica scoperta, la magistratura di Roma sembra non riconoscere le colpe dell’azienda. La situazione ha spinto un coraggioso sopravvissuto al raid aereo e i familiari delle vittime a intraprendere un’azione legale decisiva: hanno presentato una denuncia contro l’Italia presso la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Con il desiderio di ottenere giustizia per le vittime e di mettere in luce il coinvolgimento dell’azienda italiana nella strage, questa denuncia rappresenta un importante passo avanti nella ricerca della verità e della responsabilità.

L’attacco aereo è stato guidato dai Sauditi contro il villaggio yemenita di Deir-Al-Hajari, che da anni svolgono questo tipo di aggressioni nel paese, per via di una sanguinosa guerra iniziata nove anni fa; le armi, tuttavia, in questo caso, sono state fornite da un’azienda italiana, la RWM Italia S.p.a. L’azienda, che ha stabilimenti a Ghedi in Lombardia e a Domusnovas in Sardegna, è controllata dalla tedesca Rheinmetall, una delle maggiori aziende produttrici di armamenti nel paese d’oltralpe. I tre accusanti ritengono che la magistratura italiana non abbia fatto valere l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che protegge il diritto alla vita di ogni persona, contro il produttore di armi italiano e gli alti funzionari dell’Autorità nazionale per l’esportazione di armamenti (UAMA).

L’attacco aereo ha ucciso sei persone e ferito una settima; i resti delle bombe ritrovati sul luogo dell’aggressione hanno confermato che le bombe utilizzate nell’attacco aereo illegale sono state prodotte da RWM Italia, che, con le successive esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ha, inoltre, configurato una violazione del Trattato sul commercio delle armi (ATT).

La denuncia penale in Italia

Prima di arrivare alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, i tre ricorrenti, nel 2018, sostenuti dalle organizzazioni umanitarie Mwatana for Human Rights, Rete Pace e Disarmo e dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (ECCHR), hanno sporto una denuncia penale contro i funzionari statali e i vertici di RWM Italia accusati per il loro ruolo strage in Yemen. L’accusa è stata presentata al tribunale di Roma che però, l’anno scorso, ha predisposto l’archiviazione del caso perché a suo giudizio i funzionari statali hanno «rispettato le procedure formali del processo di autorizzazione all’esportazione di armi» e pertanto considerandosi come rispettata la procedura, i morti sotto le bombe sono giuridicamente irrilevanti, perché classificati come semplici conseguenze.

Le tre associazioni che accompagnano le vittime di questa strage nei vari ricorsi, sostengono che per quanto riguarda quello avvenuto in Italia nel 2018, i vertici di RWM e i funzionari italiani sarebbero responsabili di non aver rispettato il  trattato dell’Onu sul commercio delle armi. Il trattato è stato ratificato dall’Italia nel 2013, e renderebbe illegale la vendita di armi, da parte degli stati firmatari, se questi sono a conoscenza della possibilità che le armi vengano usate per commettere crimini di guerra o contro obiettivi civili.

Proprio a seguito di queste ragioni, quindi,  i tre ricorrenti, sempre insieme alle tre Organizzazioni umanitarie, hanno deciso di tentare il ricorso alla Corte europea. Radhya Al-Mutawakel, presidente e cofondatrice di Mwatana for Human Rights afferma:

“Il fatto che non sia stata aperta un’indagine su un caso di omicidio colposo, mentre sono stati commessi migliaia di crimini di guerra contro la popolazione dello Yemen, è scioccante», aggiungendo poi «In assenza di giustizia, che valore hanno norme giuridiche come il diritto penale internazionale e il diritto umanitario internazionale? Quando le norme nazionali e internazionali sul commercio di armi non vengono applicate, a cosa serve averle se i trasgressori non sono chiamati a risponderne?”.

La guerra in Yemen dura ormai da nove anni e vede contrapporsi le forze governative yemenite, sostenute dalla coalizione internazionale Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, al movimento di Ansar Allah. Il paese è allo stremo a causa delle continue carestie ed epidemie che attraversano il paese. Le Nazioni Unite parlano di 377mila morti e 23 milioni di feriti. Da inizio 2015 la Coalizione Arabia saudita- Emirati ha condotto attacchi aerei che hanno ucciso oltre 9.000 civili, anche a causa della fornitura d’armi di paesi come l’Italia.

Il fatto che i sopravvissuti e i parenti delle vittime della strage in Yemen siano costretti a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per cercare giustizia è indicativo dello stato in cui versa la giustizia italiana. Questo caso solleva diverse questioni morali ed etiche riguardanti il commercio di armi e la responsabilità delle aziende che le producono e le vendono; tuttavia potrebbe offrire un’opportunità alla Corte europea di dimostrare una volta per tutte che la responsabilità è tanto di chi le armi le produce e ne garantisce l’accesso, quanto di chi ne fa uso scatenando guerre.

L’Italia si posiziona tra i principali produttori di armi al mondo, con due aziende italiane, Leonardo e Fincantieri, che figurano nella top 100 mondiale dei maggiori produttori. Il loro fatturato, riguardante solo le armi da guerra, ammonta a 13,8 miliardi di euro, rappresentando il 2,6% di tutto il fatturato delle top 100 aziende.

Questi dati suscitano una riflessione inevitabile: sarà mai possibile porre fine alle guerre? L’industria degli armamenti è un settore controverso poiché la sua esistenza è strettamente legata alla presenza dei conflitti.  In un contesto in cui l’Italia e molte altre nazioni producono e vendono armi, è essenziale affrontare questa domanda con una prospettiva critica e riconoscere che solo un reale impegno a livello globale può garantire la fine di guerre e conflitti armati. 

Clara Gagliardone

 

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