Tutto ciò che ha anticipato e seguito la strage di Piazza Loggia si inserisce nel contesto di quelli che chiamiamo anni di piombo. Quella strategia della tensione che a cavallo degli anni ’70 ha infiammato l’Italia. Dalla bomba alla sede nazionale della Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre del 1969, all’attentato della stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Passando per il sequestro Moro nel maggio 1978. La stessa strage di Piazza Loggia rientra in questo clima. Con la peculiarità che il bersaglio in quell’occasione non furono vittime casuali, che si trovavano per caso in banca o alla stazione. Quella di Piazza Loggia era una folla che si trovava lì per un motivo ben preciso: manifestare contro il fascismo.
Il contesto
Nel periodo precedente una serie di azioni violente si erano susseguite sul territorio bresciano. Aggressioni dirette a sindacalisti e partigiani. Ordigni lanciati contro luoghi simbolo, come il monumento dei caduti di Desenzano. Incendi e devastazioni di circoli partigiani e sedi di partiti e sindacati. Bombe ovunque: su un pullman, in chiesa, contro la vetrina della Coop di viale Venezia, successivamente colpita anche da una raffica di mitra. I due neofascisti Kim Borromeo e Giorgio Spedini furono fermati mentre trasportano in auto decine di chili di tritolo. Nel maggio 1974 un fattorino notò una borsa sospetta davanti alla sede bresciana della CISL. Il contenuto avrebbe potuto uccidere decine di persone: otto candelotti di dinamite e trecento grammi di tritolo. Infine, nella notte tra il 18 e il 19 maggio, un giovane neofascista morì dilaniato dalla bomba che trasportava sul suo motorino.
La manifestazione antifascista
“Lavate quella piazza!”
Quello che successe da quel momento in poi può essere classificato come una delle pagine più vergognose della storia della Repubblica. Ci sono voluti più di quarant’anni per arrivare a una sentenza di condanna. Perché se da un lato era piuttosto chiara la direzione da prendere per trovare gli autori della strage, ben altro discorso era farlo per davvero. I protagonisti di questi eventi, infatti, non erano solo quei membri della galassia neofascista extraparlamentare deputati all’azione. Accanto (o sopra) a loro c’erano i servizi segreti e gli apparati deviati dello stato che si occupavano di coprire l’operato dei primi, depistando qualsiasi indagine. Basti pensare che quella stessa mattina dalla Questura di Brescia partì l’ordine per i vigili del fuoco di lavare l’intera piazza con gli idranti. Quasi tutte le prove materiali furono così spazzate via.
I vicoli ciechi delle indagini
La prima di una lunga serie di sentenza arrivò il 2 giugno 1979. La Corte d’Assise di Brescia individuò in Ermanno Buzzi e Angelo Papa i responsabili della strage di Piazza Loggia. Il primo venne condannato all’ergastolo, il secondo a dieci anni. Molti dei sedici co-imputati vennero assolti o condannati per reati minori e non connessi alla strage. Inoltre, la Corte chiese alla Procura di procedere anche contro Ugo Bonati per il reato di strage. Nel frattempo, però, Bonati era sparito. Nell’aprile 1981 Buzzi venne strangolato in carcere dai neofascisti Mario Tuti e Pierluigi Concutelli. L’anno successivo, il 2 marzo 1982 il processo di appello scagionò tutti gli imputati. Tuttavia, la corte di Cassazione annullò la sentenza per un difetto di motivazione. Gli atti furono inviati alla Corte di Assise di Appello di Venezia, che assolse di nuovo tutti quanti. Il 25 settembre 1987 la Cassazione confermò.
Nuove piste, solite assoluzioni
Intanto, una nuova istruttoria era stata avviata dalle dichiarazioni di alcuni pentiti. Al suo centro c’era Cesare Ferri, coinvolto in passato nelle indagini ed escluso grazie a un alibi. Ferri venne rinviato a giudizio insieme ad Alessandro Stepanoff, che gli aveva fornito l’alibi, e Sergio Latini. Erano accusati di essere gli esecutori materiali della strage. La Corte d’Assise di Brescia li assolse per non aver commesso il fatto. La Cassazione confermò. Nel 1993 una terza indagine collegò la strage di Piazza Loggia a quella di Piazza Fontana. Nel 2008 si aprì in un nuovo processo che vedeva imputati anche alcuni esponenti delle cellule venete di Ordine Nuovo. Il 16 novembre 2010 la Corte d’Assise di Brescia assolse Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, Giovanni Maifredi e il generale dei carabinieri Francesco Delfino. L’appello di due anni dopo confermò e condannò le parti civili al pagamento delle spese.
La svolta
Tuttavia, il 21 febbraio 2014 La Cassazione annullò le assoluzioni dell’esponente di Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi e del collaboratore dei servizi segreti Maurizio Tramonte. Il 22 luglio dell’anno successivo il processo d’appello si concluse con una doppia condanna all’ergastolo. I due vennero considerati i mandanti della strage di Piazza Loggia e il 21 giugno 2017 la Corte di Cassazione confermò le condanne. Tre mesi dopo i giudici depositarono le motivazioni della sentenza. Finalmente è stata messa la parola “fine” a una vicenda processuale che andava avanti da quarant’anni. Quarant’anni e tredici processi. Soprattutto, finalmente sono stati individuati gli assassini di Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi in Milani, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Vittorio Zambarda.
Michela Alfano