Il 12 dicembre del 1969, esattamente 55 anni fa, una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano, entrando nella storia come la strage di Piazza Fontana, una strage di Stato. Un attentato che uccise 17 persone e ne ferì altre 90. Nella stessa giornata, fu trovato un altro ordigno, ancora inesploso, nella sede della Banca Commerciale Italiana. Due stragi, una attuata e una mancata, che furono imputate a due anarchici, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Il primo morirà nella notte tra il 15 e il 16, qualche giorno dopo l’accusa, poiché defenestrato dagli agenti della Questura di Milano.
La strage di Piazza Fontana non ha conosciuto verità fino al 2005, quando finalmente si decretò che i colpevoli erano rimasti impuniti per troppo tempo. Nonostante l’assoluzione degli imputati, il processo del 2005 diede alla luce finalmente la responsabilità fascista e di Stato della strage di Piazza Fontana, in particolare riconducibile all’organizzazione di estrema destra, Ordine Nuovo. Per quanto riguarda le accuse nei confronti dello Stato, due ufficiali del SID furono dichiarati coinvolti e responsabili di avvenuto depistaggio, ma mai condannati.
La strage di Piazza Fontana: la memoria di ieri
La strage di Piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre di 55 anni fa, deve essere ricordata come l’inizio di una nuova epoca, quella degli anni ’70 in Italia, fatta di movimenti e lotte operaie, di diritti e lotte sociali, ma anche di bombe, repressioni e terrore.
Giornalisticamente parlando, proprio come la coniò un giornalista dell’Observer, la strage di Piazza Fontana segna l’inizio della “strategia della tensione”, un periodo storico indicato per marcare un periodo di paura, tensione governativa e sociale, leggi autoritarie e una sempre più marcata presenza dei partiti di destra e dei nuovi movimenti risorti da fascismo. Una tensione che avrebbe avuto come obiettivo quello di destabilizzare l’establishment, fedele al centrosinistra, e capovolgere in maniera autoritaria il Governo e la democrazia italiana.
I principali protagonisti di questo lungo periodo, che durò per almeno un decennio, era orchestrato dai gruppi neofascisti della destra extraparlamentare che, aiutati dagli organi deviati dello Stato, colpivano obiettivi sociali e punti di riferimento collettivi per la popolazione, dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano fino alla Stazione di Bologna.
Il processo per la Strage di Piazza Fontana inizialmente si concentrò sulla galassia anarchica, quando avvenne l’arresto dell’anarchico Giuseppe Pinelli, che dopo poche ore nella Questura di Milano fu ucciso, cadendo da una finestra durante un interrogatorio. Sebbene non si affermò mai chiaramente il colpevole – anche se molti tra deputati e compagni di movimento lo sapevano -, Pinelli quella notte fu ucciso dal braccio armato dello Stato.
La Strage di Piazza Fontana cominciò a trovare verità solo successivamente, quando nelle indagini e nei processi si iniziò a scoprire interventi e coinvolgimenti di Ordine Nuovo, aiutato dalle coperture e dai depistaggi dei servizi segreti italiani e dei militari che cercavano di creare nel Paese un trampolino di lancio verso l’autoritarismo.
La tensione in Italia
Il 1969 è sicuramente identificabile come l’anno di inizio della strategia della tensione, cioè l’obiettivo dell’estrema destra di portare nell’Italia repubblicana terrore e paura, per ripristinare quell’ordine, quell’autorità e quella repressione che solo nel ventennio fascista si era sperimentato. Il sentimento dell’antidemocrazia era tangibile e fu ben presto materializzata dai molteplici episodi eversivi di piani che hanno conosciuto solo il fallimento, seppur per poco: dal Piano Solo al Golpe Borghese, fino alle attività della Loggia P2.
Aldilà di ogni ragionevole dubbio, tutte quelle epurazioni dal fascismo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, stavano dando prova del loro effettivo fallimento: l’obiettivo delle stragi e delle bombe fasciste era anche quello di reprimere un rumore che partiva dagli studenti, dalle lotte operaie, dal basso, verso la conquista di diritti, libertà, autonomie.
Erano anni in cui l’operaismo era sempre più forte, grazie alla nascita dei nuovi collettivi nelle fabbriche e un Partito Comunista sempre più forte. Erano gli anni del 1968, da poco passato, ma che aveva lasciato un fermento impossibile da evitare, tanto nelle scuole quanto nelle università. Il procedimento era quello che sembra stia accadendo proprio oggi in Italia – o forse quello che accade oggi è solo una ripetizione della storia. L’obiettivo della strategia della tensione era anche e sopratutto una mossa a livello mediatico, per far nascere un’insicurezza anche e sopratutto nei confronti delle masse progressiste, per i democratici, i socialisti e i comunisti.
Un panico mediatico, una guerra morale, una narrazione distorta e fuorviante nei confronti dei movimenti di piazza della sinistra, proprio per allontanare il partito che aveva la maggioranza da decenni, la Democrazia Cristiana, dal Partito Comunista Italiano.
E così, dopo la Strage di Piazza Fontana nel 1969 si aprì un lungo periodo per la Prima Repubblica, una delle pagine più oscure della storia italiana, che ha visto i primi legami che lo Stato ha cominciato a tessere con gli apparati, parlamentari ed extraparlamentari, post e neofascisti. Ciò che ha reso poi fattibile la strage del 1969, così come la strage di Peteano nel 1972, l’attentato al treno Italicus nel 1974, passando per Piazza della Loggia e per la stazione di Bologna nel 1980, è stata la mano dei servizi segreti, riconosciuti come i settori deviati dello Stato che avevano il compito di depistare qualsiasi indagine.
La strage di Piazza Fontana: la paura del domani
A distanza di 55 anni ci chiediamo cosa sia cambiato, se serve effettivamente studiare la storia come ci insegnano alle scuole elementari. Studiare la storia, come in questo caso, serve a comprendere e attualizzare i cicli sociali e politici, saper riconoscere quando temere e cosa temere. Nel 2024 ci ritroviamo con a capo un governo di un partito di destra, risorto dalle ceneri postfasciste del Movimento Sociale Italiano, che continua a minacciare la Costituzione e ledere, con delle leggi speciali ed emergenziali, i diritti di ognuno di noi.
Oltre alle numerose esternazioni nel corso degli anni, il Governo Meloni sta costruendo, un passo alla volta e nell’accettazione più totale degli italiani, uno Stato di Polizia, dove le parole d’ordine sono carcere, repressione e controllo. Da un testo che vietava e criminalizzava i rave party, ad uno che contrasta ideologicamente l’immigrazione, fino ad arrivare alla questione della sicurezza con il DDL 1660.
Un governo che soffoca ogni conflitto sociale, dalle occupazioni nelle scuole fino alle opposizioni degli scioperi, come il Ministro Matteo Salvini è solito fare. Un volto politico che si è sempre più smascherato, dopo il G8 di Genova nel 2001, quando ormai anche una vetrina valeva più di una vita umana.
E ancora, un accanimento politico nei confronti di chi vive nelle lotte dal basso, chi lotta per la casa, contro gli sfratti o per un lembo di terra, e chi semplicemente vive nelle periferie, abbandonato da ogni istituzione e assistenza sociale, medico-sanitaria o d’istruzione. Il disagio sociale e le richieste della popolazione vengono silenziate dalla repressione, le denunce per il genocidio in Palestina vengono eliminate con arresti e oblii. È anche per questo che bisogna ricordare cosa rappresenta la strage di Piazza Fontana e, sopratutto, la sua continuità con il presente, nel nome e nella difesa della democrazia.