La strage di Natale del 1996 avvenne a largo di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa, in cui annegarono 283 persone migranti, provenienti dal Pakistan, India e Sri Lanka. La strage di Natale viene anche ricordata come il naufragio della F174, una vecchia barca di legno che, carica di persone, ha tentato di attraversare il Mediterraneo nella notte tra il 25 e il 26 dicembre. Una delle pagine più buie, uno dei naufragi più tragici e ad oggi a malapena ricordato. Solo il naufragio di Lampedusa, nel 2013, supererà la Strage di Natale.
Una tragedia senza precedenti
Nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 1996, il Mediterraneo fu teatro di una delle più gravi tragedie della sua storia recente. Un battello sovraccarico di migranti, provenienti principalmente da India, Pakistan e Sri Lanka, affondò a poche miglia da Portopalo di Capo Passero, la punta più meridionale della Sicilia. La strage, che oggi conosciamo come la strage di Natale, causò la morte di 283 persone, rappresentando il più grande naufragio nel Mediterraneo dalla Seconda Guerra Mondiale.
L’imbarcazione Yohan, comandata dal libanese Youssef El Hallal, era salpata dal Cairo con circa 500 migranti. Gli uomini e le donne a bordo avevano affrontato mesi di viaggio attraverso Kurdistan e Turchia, pagando migliaia di dollari ai trafficanti per raggiungere l’Italia. Dopo giorni di attesa nel porto egiziano, erano stati ammassati nella stiva della Yohan, in condizioni disumane, con scarso cibo e acqua.
Durante la traversata, il motore della nave si bloccò, costringendo i trafficanti a chiedere aiuto. A rispondere fu un’imbarcazione maltese, la F174, un vecchio battello risalente al 1944 in condizioni precarie e inadatto a trasportare un numero elevato di passeggeri.
La catena di eventi che portò al disastro
Quando la F174 arrivò, centinaia di migranti, esasperati dalla fame e dall’attesa, si trasferirono dalla Yohan alla nuova nave. La F174, lunga appena 18 metri e costruita per trasportare un massimo di 80 persone, fu sovraccaricata, causando una falla nello scafo. Nonostante ciò, la nave proseguì verso le coste siciliane con circa 300 persone a bordo. Le condizioni peggiorarono rapidamente: l’acqua cominciò a invadere la stiva, intrappolando i passeggeri sotto coperta.
La Yohan tornò indietro per soccorrere la F174, ma il mare agitato e l’imperizia dei trafficanti causarono una collisione. La F174 si spezzò e affondò in pochi minuti. Solo una trentina di persone sopravvissero, tra cui il comandante Sheik Thourab.
Il silenzio e l’occultamento della tragedia
Dopo il naufragio, i sopravvissuti furono trasportati in Grecia, dove vennero segregati e obbligati al silenzio. Alcuni riuscirono a fuggire e denunciarono l’accaduto alle autorità, ma furono ignorati o arrestati come clandestini. Nel frattempo, i corpi delle vittime cominciarono ad affiorare sulle coste siciliane, ma i pescatori locali, temendo il sequestro delle loro imbarcazioni, evitarono di segnalare la scoperta.
L’intera vicenda fu volutamente occultata. Solo il 4 gennaio 1997, grazie a un’agenzia di stampa, emerse qualche dettaglio sulla tragedia, ma le autorità italiane accolsero la notizia con scetticismo. La strage fu etichettata come una “nave fantasma”, destinata a rimanere nell’ombra.
Il lungo cammino verso la verità
La verità sulla Strage di Natale cominciò a emergere solo nel 2001, grazie a un’indagine internazionale e alla determinazione di giornalisti come Giovanni Maria Bellu. Le immagini del relitto della F174, con i resti umani ancora intrappolati all’interno, scossero l’opinione pubblica e confermarono la portata della tragedia. L’indagine rivelò anche l’esistenza di una rete criminale che sfruttava la disperazione dei migranti, una rete spesso nota alle autorità locali e internazionali.
L’indagine fu aperta dalla Procura della Repubblica di Siracusa, dopo anni in cui i sopravvissuti e i parenti delle vittime chiedevano alle istituzioni italiane di essere ascoltati.
Nonostante le prove, i responsabili della strage di Natale, Youssef El Hallal e Sheik Thourab, furono condannati solo tra il 2008 e il 2009, oltre un decennio dopo i fatti. Le indagini e i processi furono ostacolati da omissioni, scetticismo e mancanza di collaborazione internazionale.
Un monito per il presente
La Strage di Natale rimane una ferita aperta nella storia della migrazione mediterranea. Essa rappresenta non solo un fallimento delle autorità, ma anche un simbolo dell’indifferenza globale verso la sofferenza dei migranti. Oggi, tragedie simili si verificano con inquietante regolarità, mentre reti di trafficanti continuano a prosperare grazie alla mancanza di canali di ingresso regolari e corridoi umanitari, agendo alla luce del sole.
A distanza di decenni, la vicenda ricorda l’urgenza di politiche migratorie più giuste e umane. In un mondo segnato da conflitti e disuguaglianze, la memoria di quelle 283 vittime dovrebbe spingere verso un futuro in cui il mare non sia più una tomba, ma un ponte verso la speranza.