Storie di chi è morto lavorando: il lavoro continua a nobilitare l’uomo?

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Oggi 28 aprile si celebra la Giornata internazionale per la Sicurezza sul lavoro, istituita nel 2003 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro – ILO – al fine di promuovere la salvaguardia della sicurezza e della salute sul lavoro a livello globale. Un cammino lungo e pieno di falle, su cui continuano ad accumularsi vite spezzate.

I morti sul lavoro continuano ad accumularsi. Una pila di vite spezzate, le cui storie rimangono stampate su giornali accartocciati. Volutamente dimenticate per trascinarsi avanti. Il numero di chi muore mentre lavora fa sorgere dubbi e domande. Fa chiedere, fra lo sconcerto e l’incredulità, come possa accadere ancora. Fa domandare, fra rabbia e rassegnazione, se l’incuria che aleggia negli ambienti lavorativi sia da considerare parte integrante di ciò nobilita i lavoratori. Si lavora per vivere o si muore per lavorare?

Le storie di chi ha perso la vita sono molte e diverse fra loro. Si differenziano per età, genere, impiego, città. Ma tutte hanno in comune degli elementi chiave: chi è morto, è morto lavorando. E la causa della morte fa sempre parte della negligenza di chi doveva garantire loro sicurezza.

Quando si ricercano informazioni sulle morti sul lavoro ci si imbatte in liste infinite di numeri. Elenchi serrati, statistiche, dati all’apparenza vuoti di sentimenti, di emotività. Mappe ricoperte di puntini rosso sangue, in ogni dove, su ogni spazio e regione d’Italia. Ogni puntino rosso, a volte ricalcato su una decina d’altri a formare una macchia uniforme, rappresenta un lavoratore morto. Una persona morta mentre lavorava. Una storia muta, una vita spezzata.

Tenere viva la memoria per non abituarsi mai

Tra i difetti cardine dell’essere umano c’è quello di voler cancellare le brutture, stiparle in angoli bui di memoria, dimenticandole come non fossero mai accadute. Altre volte, ci si abitua alle storture, reinterpretandole come routine, eliminando l’ingiustizia a favore di incidenti possibili e sfortunate casualità.

L’impegno di mantenere viva la memoria di chi è morto ingiustamente, non dev’essere responsabilità esclusiva di parenti e conoscenti. Le storie dei lavoratori devono rimanere vive ed essere ricordate, poiché è fin troppo ingenuo credere che tragedie di questo tipo non potrebbero mai capitare a chi oggi – e chissà domani – si trova al nostro fianco. Fin quando si avrà l’egoismo di crederlo, fin quando si preferirà chiudere gli occhi, le negligenze continueranno a ripetersi, le morti continueranno ad accumularsi, come una dispensa mangiata dalle termiti, come un disco fermo alla stessa inquietante melodia.

A tenere vive queste storie è anche Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico, da anni impegnato a raccoglie tutte le informazioni possibili sulle vittime.

Basta parlare soltanto di numeri: quelle sono persone. Lavoratori con gli affetti, che la mattina sono usciti per andare al lavoro e poi non sono più tornati a casa. (…) Anche loro hanno delle storie, delle famiglie che hanno perso un proprio caro, è giusto che questo venga ricordato.

Così, Buzzoni ascolta, trascrive e mette insieme un libro fatto di storie e fantasmi, registrando non solo le circostanze dell’incidente, ma anche i nomi, l’età e ciò che riesce a sapere delle vite dei suoi fantasmi, che poco tempo prima erano fatti di carne e ossa.

Una giovane donna, una giovane madre: Luana D’Orazio

Luana D’Orazio era una giovane donna e una giovane madre. Ambiziosa e indipendente, sognava di fare l’attrice.




Il 31 maggio del 2021 aveva ventidue anni. E il 31 maggio del 2021 è rimasta impigliata e poi risucchiata nel rullo del macchinario dell’azienda tessile per cui lavorava a Prato. È morta lasciando dietro di sé un figlio di cinque anni e una famiglia che non trova pace.

La perizia ha dimostrato come il macchinario che ha causato la morte di Luana fosse stato manomesso, privandolo dei dispositivi di sicurezza. Il cancello di protezione e le fotocellule che potevano garantire al macchinario di bloccarsi erano stati manomessi, aggiungendo una staffa, la stessa a cui Luana è rimasta poi impigliata.

Luana indossava i suoi vestiti, non aveva una tuta, né grembiuli; possedeva le scarpe antinfortunistiche, datele solo dopo tre mesi di lavoro. Luana, come tanti giovani d’Italia, era stata assunta con un contratto d’apprendista, ma veniva lasciata sola a manovrare l’orditoio, perché per quello – a dispetto di contratti e retribuzioni – non era considerata un’apprendista. Intanto, il 27 ottobre 2022 il pubblico ministero ha accolto la richiesta di patteggiamento da parte dei due principali imputati nel processo, Luana Coppini e Daniele Faggi, titolari della ditta in cui Luana ha perso la vita.

La storia di Luana D’Orazio è tragicamente simile a quella di tanti ragazzi che abitano questo Paese. Un Paese che non sembra aprirsi ai giovani. Emma Marrazzo, mamma di Luana, a tal proposito ha dichiarato:

Dopo la morte di mia figlia, avevo davvero sperato che qualcosa cambiasse. Non è successo niente. (…) Ai giovani come era mia figlia, dico che devono stare attenti. (…) Devono essere preparati, chiedere che gli facciano dei corsi preparatori, se non glieli fa l’azienda di sua iniziativa. Denunciare che il capo ti lascia solo ai macchinari, ad esempio. Chiamare anche l’Ispettorato del lavoro, se nessuno ti dà proprio retta. (…) Servono più ispettori, i controlli devono essere veri e fatti a sorpresa. Anche una volta al mese, senza preavvisi.

Morire da studenti svolgendo un’alternanza scuola-lavoro: Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci

Per Lorenzo Parelli, il 21 gennaio 2022, sarebbe stato l’ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro. Lunedì sarebbe rientrato a scuola per proseguire il suo percorso di formazione, ma nella realtà, quello è stato anche il suo ultimo giorno di vita. Diciottenne di Castions di Strada, in provincia di Udine, si trovava nello stabilimento di carpenteria metallica di Lauzacco della Burimec Srl. Mentre era intento a completare l’allestimento di un macchinario, Lorenzo è stato ucciso da un componente metallico, una putrella. Un impatto violentissimo, che non gli ha lasciato scampo: Lorenzo è morto sul colpo.

Quello non era il lavoro di Lorenzo. Ciò che Lorenzo stava svolgendo era uno stage gratuito, previsto nel suo percorso di studi professionali. Appassionato di meccanica, non era il suo primo stage. Sognava di lavorare in quel mondo e quel sogno, oggi, rimane nelle mani della sua famiglia.

Anche Giuseppe Lenoci, sedici anni, era uno studente in stage di lavoro. Giuseppe è morto in un incidente stradale nelle Marche, il 14 febbraio 2022: si trovava a bordo di un furgone della ditta di termo-idraulica in cui stava facendo il suo stage. Il mezzo è finito fuori strada contro un albero a Serra de’ Conti, in provincia di Ancona, in orario di lavoro. Giuseppe Lenoci, originario di Monte Urano, viaggiava al posto del passeggero – che ha subito il maggiore impatto contro l’albero – ed è morto sul colpo. Avrebbe compiuto diciassette anni a maggio e non è chiaro se potesse o meno uscire dalla sede. La strada percorsa prima dell’impatto era quella più breve per raggiungere Serra de’ Conti, nella provincia di Ancona, stretta e mal asfaltata, una scorciatoia che solo i residenti più esperti si azzardavano a percorrere.

Giuseppe aveva lasciato la scuola, voleva lavorare. Era stata sua nonna a consigliargli di continuare, facendogli comprendere l’importanza dell’istruzione e del diploma. Si sarebbe diplomato poco dopo, in estate, come tutti i suoi coetanei.

Dopo trent’anni di lavoro, morire a cinque anni dalla pensione: Rosario Frisina

Rosario Frisina aveva cinquantotto anni e sarebbe andato in pensione entro cinque anni o poco più. Lavorava nella stessa fabbrica da trent’anni, ma era diventato da poco caporeparto.

Il giorno in cui è morto, stritolato da un tornio, gli era apparso un giorno come un altro, ordinario, come tanti che aveva passato in fabbrica. Poco prima di uscire di casa, Rosario aveva detto a sua moglie che l’amava, che si sarebbero visti quella sera, senza sapere che quel saluto sarebbe stato l’ultimo.

Rosario aveva una moglie, due figli e dei nipoti. Era stato vittima di un incidente, ma si era ripreso, coltivando il sogno di un camper da acquistare fra qualche tempo, più avanti, magari dopo la pensione, insieme a suo figlio.

La strage dei cantieri: Luigi Malatesta

Tra le storture degli ambienti lavorativi, i cantieri mostrano con evidenza le brutalità dei suoi lati peggiori.

Solo nel 2021 gli incidenti nei cantieri hanno registrato una vittima ogni quarantotto ore. Si muore come cinquant’anni fa. Nei cantieri edili, pubblici e privati, si possono trovare catene lunghe di subappalti, protezioni inesistenti, rischi diffusi e – non ultima – l’applicazione di contratti diversi, mascherati, in una vera e propria corsa al massimo ribasso. In genere, nei cantieri italiani si muore soprattutto per caduta dall’alto (48%) o travolti da materiali (26%).

Tra le lunghe liste di nomi di chi è morto in cantiere, si legge anche il nome di Luigi Malatesta, precipitato da sette metri di altezza a sessantatré anni. Precipitato lunedì 15 aprile 2023, è morto poco dopo all’ospedale civile di Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta.

Luigi Malatesta lavorava come operaio e poco prima di precipitare si trovava su un’impalcatura. Lavorava al cantiere di un’azienda specializzata nella laminazione del vetro, situato nell’area industriale di San Marco Evangelista.

Sposato da tanti anni, era padre di due figli. Al momento, non è chiara la dinamica della caduta e sono da accertare le condizioni lavorative e se, al momento della caduta, Luigi Malatesta indossasse i dispositivi di sicurezza e il casco protettivo.

Morti senza età

I morti sul lavoro continuano a essere molti. Numeri in crescita, riportati ogni anno in file di numeri ordinati. Non si distinguono per età; i giovani, spesso accusati di non aver voglia di lavorare, muoiono nelle parole di chi li accusa. Lavoratori esperti, invece, muoiono nell’attesa del riposo, delle vacanze, dei sogni ancora inespressi.

Angela Piccolomo

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