La recente sentenza dell’Alta Corte australiana sarà il primo passo verso una nuova politica sugli immigrati?

sentenza della Corte australiana

A seguito della storica sentenza della Corte australiana viene dichiarata illegale la detenzione a tempo indeterminato degli immigrati irregolari. Il caso specifico riguarda un uomo Rohingya apolide, che rischiava la detenzione permanente, pertanto i giudici dell’Alta Corte hanno ordinato il rilascio immediato dell’uomo.

La sentenza della corte e il caso concreto

Questo mercoledì l‘Alta Corte australiana ha dichiarato che la detenzione a tempo indeterminato di immigrati è illegale. Questa decisione si posiziona in netta contrapposizione con la sentenza del 2004, secondo la quale coloro che erano sprovvisti di visti potevano essere detenuti in maniera continuata, a condizione, però, che il governo australiano avesse l’intenzione di allontanarli dal paese.

Il caso concreto riguarda un uomo Rohingya nato in Myanmar ed arrivato in Australia nel 2012 via mare. L’Australia gli aveva concesso un visto temporaneo, poi annullato nel 2015 a seguito di una condanna per un reato penale. Terminata la pena nel 2018 è stato trasferito in un centro detentivo per immigrati. A causa del reato compiuto, il Governo australiano aveva rifiutato la sua richiesta di visto. Inoltre essendo di etnia Rohingya non gli viene riconosciuta la cittadinanza ai sensi della legge sulla cittadinanza del Myanmar del 1982. Il Governo australiano chiese ad altri paesi di poterlo accogliere, ma rifiutarono. L’Alta Corte, pertanto, a fronte di tutto ciò, decide che siccome non si evince alcuna reale ed effettiva prospettiva che l’uomo venga allontanato dall’Australia, la sua detenzione indeterminata è illegale e che deve essere rilasciato immediatamente. 

Dati alla mano

Questa nuova apertura da parte della Corte potrebbe causare una serie di ricorsi da parte degli stessi immigrati che sono stati trattenuti per lunghi periodi a scapito della loro libertà.

Dati alla mano, secondo quanto riportato, sono 92 le persone che si ritrovano in una situazione simile perché il visto non gli è stato concesso per motivi caratteriali, o perché non potevano tornare nei paesi d’origine a causa di un fondato timore per la loro incolumità.

Dati alla mano, si conta che vi siano centinaia di non cittadini confinati in centri di detenzione per immigrati e che in media vengano trattenuti per circa 708 giorni. E sono ben 124 coloro che sono detenuti da più di 5 anni, in contrasto con il diritto internazionale che prevede che un immigrato possa essere detenuto per così lungo periodo solo per motivi gravi.

Dopo la sentenza della Corte cosa accadrà agli apolidi?

Come già detto questa apertura da parte della Corte, segna una svolta nella storia giuridica australiana. Per svariati decenni gli apolidi sono stati costretti a immaginare la propria vita dietro a delle sbarre. Tuttavia ora la situazione potrebbe cambiare, dal momento che un rifugiato apolide è stato rilasciato.

Ma cosa significa essere apolidi? Apolide è qualcuno senza cittadinanza, quindi a livello legale non risulta appartenere a nessuno Stato. Essere apolidi impatta notevolmente sulle libertà di un individuo, poiché nelle democrazie moderne molti dei diritti sono connessi alla cittadinanza: una vera e propria “patente d’accesso“. Si possono trovare argomentazioni molto interessanti in letteratura di come la cittadinanza possa essere fonte di discriminazione nel godimento dei diritti. Può ad esempio inibire la libertà di movimento, l’accesso all’istruzione, all’occupazione, alle cure mediche, alle tutele sul lavoro.  In Australia queste difficoltà vengono accentuate e intensificate dalla minaccia della detenzione.

Questa sentenza potrebbe aprire loro una strada verso un futuro meno precario e più sereno. Un futuro in cui non dovranno più temere di perdere la loro libertà da un giorno all’altro.

Evoluzione del sistema della detenzione obbligatoria per gli immigrati irregolari

Prima del 1992 la legge australiana consentiva la detenzione ma non era una prassi da seguire. L’introduzione di una legge sulla detenzione obbligatoria avvenne appunto nel 1992 a seguito di un afflusso consistente di migranti.  L’adozione di questa legge segue una concezione deterrente della pena, ovvero, per farla breve, che mira a disincentivare l’immigrazione tramite la “paura” (per approfondire il tema si guardi concezione della pena deterrente vs retributiva).

Prima la detenzione riguardava solo alcune persone designate. Nel 1994 a causa dell’aumento degli immigrati richiedenti asilo, il Parlamento decise di estendere la detenzione continuata a tutte le persone sprovviste di visto, o il cui visto fosse scaduto o stato annullato.  La legislazione del 1994 ha inasprito ulteriormente queste procedure rimuovendo il limite temporale di 273 giorni per la detenzione. Anzi, ha parimenti previsto un non cittadino (illegale) potesse essere rilasciato solo dietro l’ottenimento di un visto o a seguito di un allontanamento dall’Australia.

Un successivo importante cambiamento avvenne nel 2001. Tra le modifiche introdotte figurava la designazione di alcune isole come “luoghi offshore esclusi“. La legislazione prevede il trasferimento delle persone intercettate in mare o che sbarchino su queste isole offshore, ai centri di Naru o dell’isola di Manus in Papua Nuova Guinea.

Questo inasprimento delle norme al confine è in linea con un trend Globale che sta coinvolgendo la maggior parte dei paesi.

La sentenza dell’Alta Corte: una svolta sulla politica degli immigrati?

Secondo il diritto internazionale sui diritti umani la detenzione degli immigrati dovrebbe essere una misura da adottare solo come ultima istanza. Usare la legge quindi come strumento di deterrenza non è conciliabile  con i principi sanciti dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati.  Tuttavia non esiste un tribunale internazionale permanente in grado di risolvere questi conflitti tra norme, ma vengono istituiti ad hoc per alcuni eventi.  La sentenza della Corte australiana offre però una speranza tangibile per coloro che vivono ingiustamente nei centri di detenzione per immigrati. Nelle settimane successive vedremo se i migranti faranno ricorso per le ingiustizie subite dopo il rilascio dell’uomo di origine Rohingya. Come sempre saranno il tempo e le azioni delle persone a darci le risposte.

Tolta la legge, tolte le sentenze, quello che resta è la vita vera che le persone vivono, le difficoltà che affrontano e il desiderio di essere liberi. E spesso, oggigiorno, essere liberi sembra una cosa scontata, ma ci sono molti modi di essere schiavo. Ricordiamocelo.

Riccardo Andrea Ghidetti

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