Storia e crisi nel Medio Oriente dal dopoguerra alla crisi energetica

Medio Oriente dal dopoguerra

Il Medio Oriente dal dopoguerra è stato una delle regioni più turbolente e complesse del mondo. Il periodo che va dalla fine della Prima Guerra Mondiale ha visto una serie di eventi cruciali che hanno lasciato un’impronta indelebile sulla sua storia. La regione è stata plasmata dai mandati coloniali, dall’ascesa di Israele, dai conflitti arabo-israeliani, dalla scoperta e dalla gestione delle risorse petrolifere e da una serie di rivoluzioni politiche e conflitti interni. Questo periodo ha segnato il passaggio dalla dominazione coloniale all’emergere di Stati indipendenti, ma anche il persistere di tensioni e conflitti che avrebbero continuato a sfidare la stabilità della regione per decenni.


Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, la Palestina si trovò sotto l’amministrazione della Gran Bretagna, che ricevette un mandato dalla Società delle Nazioni. Tuttavia, a partire dal 1936 fino al 1939, la regione vide un aumento significativo degli ingressi clandestini di ebrei in fuga dalle persecuzioni e dall’olocausto nazista.

Inizialmente, si stima che circa 25.000 persone entrarono in Palestina senza visti regolari, ma il numero crebbe considerevolmente tra il 1939 e il 1948, quando più di 100.000 ebrei cercarono di eludere i controlli britannici, spesso via mare, in quella che fu chiamata “aliya beth“, ovvero l’immigrazione illegale degli ebrei, in gran parte rifugiati dalla Germania nazista e sopravvissuti all’Olocausto.

Questa massiccia immigrazione ha creato una disparità tra il numero di immigrati e la capacità di assorbimento del paese. Nel 1945, la Palestina era abitata principalmente da arabi e da poco più di un milione e mezzo di ebrei che cercavano rifugio in quella che speravano essere la “terra promessa”.  Il 29 novembre 1947, l’ONU ha approvato la divisione della Palestina in due Stati indipendenti, uno arabo e uno ebraico, insieme all’istituzione di un regime internazionale per la città di Gerusalemme, segnando la fine del mandato britannico nella zona.

Il 14 maggio 1948, David Ben Gurion proclamò l’indipendenza dello Stato di Israele, e poche ore dopo, le forze della Lega Araba attaccarono il nuovo stato. L’ONU negoziò un cessate il fuoco, imponendo il sequestro delle armi ai contendenti. Furono tentate diverse soluzioni di pace, ma senza successo. Nel dicembre 1948, le Nazioni Unite approvarono la Risoluzione 194, con l’obiettivo di facilitare la pace nella regione e auspicando il ritorno dei rifugiati alle loro case. Furono quindi firmati accordi di armistizio con l’Egitto nel febbraio 1949, con il Libano nel marzo 1949, con la Transgiordania nell’aprile 1949 e con la Siria nel luglio 1949.

Dopo vari armistizi, la divisione dei confini portò Israele a ottenere il 78% della Palestina mandataria, il 50% in più rispetto al precedente piano di spartizione dell’ONU. La conclusione della guerra lasciò aperta la questione della “nakba“, ovvero la catastrofe, che comportò l’abbandono della popolazione araba dalla propria terra tra il 1947 e il 1950. Molti di loro, comprese le famiglie dei membri dell’Alto Comitato Arabo, scelsero di trasferirsi in luoghi più sicuri lontano dal nuovo Stato di Israele.

La popolazione araba, abbandonata dalla sua élite e senza una leadership, fu lasciata a se stessa, con conseguenti problemi come la chiusura di scuole e ospedali, oltre a difficoltà economiche nei commerci. Questo problema dei profughi portò all’istituzione dell’United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA) da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, un’organizzazione che ha fornito assistenza e sostegno ai rifugiati palestinesi in vari aspetti della vita.

Dopo un breve periodo di tregua, la guerra si spostò sul fronte egiziano. Nel luglio del 1952, un colpo di stato portò al potere il generale Naguib e il comandante Gamal Abdel Nasser, che dal 1954 divenne l’unico leader. A metà degli anni ’50, la situazione peggiorò ulteriormente, con le forze di difesa israeliane che lanciarono attacchi di rappresaglia contro l’Egitto dal 1953 al 1956, aumentando ulteriormente le tensioni.

Il 20 luglio 1956, l’Egitto annunciò la nazionalizzazione del Canale di Suez, gestito precedentemente dalla Compagnie universelle du canal maritime de Suez con sede a Parigi. Inizialmente, il paese ricevette sostegno dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, ma quando Nasser iniziò ad acquistare armi dalla Cecoslovacchia comunista, questi due paesi ritirarono il loro sostegno.

Per contrastare l’azione di Nasser, Gran Bretagna e Francia si incontrarono segretamente con Israele a Sèvres tra il 22 e il 24 ottobre 1956 e diedero il via all’operazione Muskeeter. Gli accordi prevedevano un attacco israeliano alle basi difensive egiziane nel Sinai, seguito dall’intervento di francesi e britannici che avrebbero spinto gli eserciti in lotta a una distanza di 16 km attorno a Porto Said, vicino al Canale di Suez.

Il 29 ottobre, Israele invase la Striscia di Gaza e la Penisola del Sinai, seguito dall’occupazione britannica e francese dell’area. Tuttavia, Nasser rifiutò l’offerta di pace e continuò a combattere, mentre agli attacchi degli alleati si opposero quelli alle navi nel canale. Gli Stati Uniti, preoccupati per un allargamento del conflitto, costrinsero le potenze europee a cessare le ostilità. Gli invasori si ritirarono nel 1957, e una Forza di Emergenza delle Nazioni Unite (UNEF) fu inviata nella zona per mantenere la pace.

In quegli anni, nacque l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), guidata da Yasser Arafat, con l’obiettivo di promuovere la liberazione della Palestina. Le trattative tra le due parti furono estremamente difficili, ma l’ONU cercò di favorire la pace votando una risoluzione che proponeva il ritiro israeliano dai territori occupati in cambio del riconoscimento da parte degli arabi.

Tuttavia, lo Stato di Israele, nonostante il sostegno degli Stati Uniti, rimase in una situazione di insicurezza a causa dell’isolamento politico e diplomatico nella regione. Nel 1967, a causa del blocco navale imposto dall’Egitto, il governo israeliano decise di scatenare la Guerra dei Sei Giorni dal 5 al 10 giugno con l’obiettivo di rompere l’accerchiamento.

L’esercito israeliano sconfisse inizialmente le truppe giordane e siriane, avanzò fino a Damasco e occupò il Golan. A ovest, invase il Sinai egiziano, spingendo il confine fino al Canale di Suez, e a est occupò la Cisgiordania. Temevano un intervento sovietico in aiuto dell’alleato siriano, ma gli Stati Uniti cercarono di fermare l’avanzata israeliana. In risposta, fra i palestinesi emersero formazioni orientate al terrorismo per liberarsi dal dominio straniero.

Si aprì un periodo di crisi ancora più acuta, in cui i palestinesi furono isolati, persino nei paesi in cui vivevano, come la Giordania, dove erano emarginati. I campi profughi diventarono centri di reclutamento e organizzazione delle milizie palestinesi, che successivamente cercarono la caduta del sovrano giordano, accusato di essere filo-occidentale.

L’11 febbraio 1970, scoppiarono violenti disordini ad Amman che causarono la morte di 300 persone, seguiti da due attentati al re Hussein e dal dirottamento di alcuni aerei di linea giordani. Il 16 settembre, in risposta a queste operazioni, fu proclamata la legge marziale, e il 17 l’esercito attaccò le sedi delle organizzazioni palestinesi ad Amman, entrando nei campi profughi e dando il via a un duro rastrellamento.

Il 27 settembre, dopo il ritiro delle truppe palestinesi, Yasser Arafat e re Hussein si incontrarono al Cairo, siglando un accordo che mise fine a quello che fu chiamato “settembre nero”. Nel 1970 morì Nasser, e Anwar al-Sadat divenne presidente dell’Egitto, distinguendosi per il suo avvicinamento alla politica degli Stati Uniti.

Tuttavia, l’avvento di Sadat non evitò ulteriori conflitti tra i paesi arabi. Il 6 ottobre 1973, giorno di Yom Kippur, l’esercito egiziano e quello siriano attaccarono Israele lungo il Canale di Suez e sulle pianure del Golan. Inizialmente, Israele si trovò in difficoltà, ma successivamente passò alla controffensiva su entrambi i fronti, riattraversando il Canale di Suez.

Il conflitto si concluse il 25 ottobre con l’intervento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma portò alle dimissioni della premier israeliana Golda Meir, del ministro della difesa e del Capo di stato maggiore. La guerra ebbe pesanti conseguenze a causa della decisione dell’OPEC di sostenere l’azione degli aggressori con aumenti del prezzo del petrolio e un divieto di esportazione verso i paesi filoisraeliani.

Questa decisione fu una delle cause della crisi petrolifera del 1973, che ebbe ripercussioni economiche e sociali. L’aumento dei prezzi dei prodotti primari colpì il sistema economico occidentale, causando il crollo di importanti istituti bancari. La crisi portò all’incremento dei tassi di interesse e dei costi del denaro, ma anche a un cambiamento verso fonti di energia alternative nei paesi dipendenti dal petrolio arabo.

In Italia, per far fronte alla crisi energetica, furono adottate misure drastiche, tra cui il divieto di circolazione dei mezzi motorizzati durante le domeniche e i giorni festivi, l’aumento del costo dei carburanti e la riduzione dei limiti di velocità.

Nel 1977, ci fu un passo importante nel riconoscimento dello Stato di Israele quando il presidente Sadat visitò Gerusalemme, portando poi alla firma del trattato di pace israelo-egiziano nel 1979. Tuttavia, la pace non pose fine ai conflitti nella regione.

La crisi tra Iraq e Iran, scaturita dalle tensioni nella regione di Bassora, ricca di pozzi petroliferi e un importante porto di smistamento del petrolio, portò alla guerra tra i due paesi nel 1981. Questo conflitto provocò una seconda crisi energetica e si protrasse fino al 1988, terminando con l’intervento dell’ONU e la cessazione delle ostilità.

La storia del Medio Oriente è stata segnata da una serie di conflitti, tensioni e cambiamenti politici che hanno avuto profonde ripercussioni sulla regione e oltre. Dai conflitti tra Israele e i suoi vicini arabi alle guerre tra Iran e Iraq, passando per le crisi petrolifere e le rivoluzioni politiche, il Medio Oriente è rimasto una delle aree più complesse e instabili del mondo. Le sfide e le tensioni continuano a persistere, e la ricerca di soluzioni pacifiche rimane un obiettivo fondamentale per la stabilità e la prosperità della regione.

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