Durante il mio percorso come animatrice culturale sono riuscita ad entrare in contatto con molti migranti. Loro hanno raccontato la loro storia e io le ho scritte tutte. E’ stato bello conoscere altre realtà. Ed è necessario farlo, sia per aiutare chi arriva in Italia a sentirsi meno migrante, sia per chi in Italia ci vive e ha bisogno di conoscere gli altri. Perchè solo la conoscenza può sconfiggere la paura.
Con la stessa naturalezza dello zoom di una mappa computerizzata, Juljan sa farci vedere il quadro globale dei cambiamenti planetari che stiamo vivendo ed allo stesso tempo stringere le vite degli uomini per raccontare la fragile tenerezza di un giovane.
Juljan ė nato il 02/04/1984 a Coriza, Albania. Fino all’età di 14 anni ha sempre vissuto nella sua provincia. Da bambino vedeva tanti albanesi adulti che andavano all’estero e ritornavano di nuovo portando belle cose e tanti soldi: ad esempio qualcuno portava ai figli belle biciclette, dei bei vestiti, altri elettrodomestici, nuovi e usati; qualcuno coi soldi che aveva guadagnato all’estero comprava un’automobile o una casa nuova.
In quei primi anni ‘90 inizia a convincersi che all’estero c’era un altro mondo, uno pieno di possibilità per trovare un lavoro, per risparmiare e fare soldi, pur consapevole di essere ancora troppo piccolo per partire.
Un giorno, nell’estate del 1998, appena terminato l’esame di terza media, decide di andare in Grecia insieme a due coetanei. Attraversano il confine a piedi, illegalmente, perché non avevano il permesso di entrare nel Paese. Dopo un cammino di circa 3-4 ore tra le montagne della Grecia, vengono fermati dalla polizia.
All’età di soli 14 anni si è ritrovato a vivere una terribile esperienza: rinchiuso in carcere insieme a circa 30-40 persone, senza servizi igienici, facevano i bisogni nella stessa stanza, asfissiati dal caldo e dalla mancanza di ossigeno. Per fortuna, dopo più di 24 ore, vennero caricati su un pullman e riportati alla frontiera albanese.
Juljan allora ha pensato che forse sarebbe stato più sicuro restare a casa sua e iscriversi alla scuola superiore, ma questo ripensamento durò a malapena un mese . Dall’estate del 1998 fino a quella del 2001, compie infatti cinque viaggi per cercare di entrare in Grecia. Alla fine, dopo altri tre tentativi, raggiunge con successo la destinazione tanto desiderata. Trova anche un lavoro, ma solo per sei mesi, e, complici paura e nostalgia, decide di tornare in Albania.
La permanenza in Grecia fu dura. Juljan aveva sentito da altri immigrati albanesi che spesso i poliziotti greci picchiavano duro gli immigrati, che quando un immigrato finiva in carcere non poteva uscirne fino a quando non catturavano altri immigrati, così tanti da riempire il pullman in modo da ridurre il costo del trasporto per il reinserimento dei rimpatriati. In costante allora, ci racconta di come una volta, camminando per andare al supermercato, fu improvvisamente inseguito da un’auto della polizia, riuscendo a scappare scavalcando una recinzione metallica e nascondendosi per ore in un rimorchio
La paura era forte in qualsiasi momento, anche quando si dormiva non c’era pace. Tanti infatti gli immigrati che erano stati catturati e portati via nel cuore della notte.
Ma non si poteva rimanere nascosti per sempre, bisognava pur lavorare per mantenersi. Faceva dei lavori saltuari, bracciante, pastore, operaio in una fabbrica, cameriere.
Ci racconta di quando lavorava in un capannone. Metteva sotto sale le pelli degli animali che andavamo a comprare tutte le mattine con il datore di lavoro nelle macellerie della zona. In quel capannone lavorava anche un italiano. Era il responsabile della qualità della merce e delle pelli, che poi venivano spedite in Italia per essere trasformate in borse, cinture, portafogli. Un giorno il responsabile gli chiese di caricare sul camion un po’ di pelli di nascosto e tirò fuori dal portafoglio 500 dollari. Ma Juljan non era disposto a derubare il suo datore di lavoro. Da quella prova di fiducia, nacque un rapporto di amicizia. Il capo lo invita ad andare in Italia per lavorare nelle fabbriche dove era conosciuto. Lui paga addirittura il viaggio e il visto (2000 dollari all’epoca).
Era necessario raggiungere prima il porto di Igoumenista, per poi imbarcarsi sul traghetto verso Italia. Riesce ad attraversare il confine Albania – Grecia non senza problemi, dopo essere stato inizialmente rimandato indietro dalla polizia di frontiera che sospettava il suo visto fosse falso. Arriva a Igoumenista, compra il biglietto e sale finalmente sul traghetto.
E’ il 5 settembre 2001 quando Juljan incontra a Vicenza la persona che aveva conosciuto in Grecia, che lo ospitò a casa sua per circa due settimane. Durante questo tempo Juljan gira nelle fabbriche in cerca di un lavoro, ma nessuno poteva assumerlo senza il permesso di soggiorno. Nè in questura, nè tra gli altri immigrati albanesi, trova l’aiuto di cui ha bisogno.
Mentre le ricerche continuano senza successo, la persona che lo ospita gli comunica che c’è un’altra persona interessata ad adottarlo come figlio. Scettico, e credendo di essere diventato probabilmente un ospite indesiderato, Juljan va via. Il 19 settembre 2001, ad attenderlo in Piemonte c’è un parente che riesce a fargli ottenere un lavoro. Inizia a lavorare nei vigneti, poi come operaio edile e ancora come operaio carico-scarico merci.
Nel frattempo venne approvata la legge che permetteva agli immigrati irregolari in possesso di un contratto subordinato, di ottenere il permesso di soggiorno. Nell’aprile del 2003 ottiene così il permesso e di conseguenza la residenza. Dopo 19 mesi poteva finalmente affittare un alloggio e vivere per conto suo.
Nei successivi 6 anni, Juljan lavora come operaio e allo stesso tempo frequenta la scuola serale. Il primo anno ottiene il diploma di terza media, poi quello di scuola superiore. Mette tutto se stesso nel percorso di integrazione in quel paese che, dopo una vita travagliata. Juljan è con orgoglio un cittadino italiano, il cittadino di un Paese che ama.
Raccontare l’universale della storia attraverso il particolare dei destini individuali, riportare ciò che è frammentario, l’esperienza del singolo, alla compiuta totalità dell’umano. Questa è la realtà sconvolgente, capace di dare un senso a questi tempi di disorientamento e follia.
Jorida Dervishi