La pratica delle lettere di scrocco a Palermo e le origini della “mafia rurale”
Santa Flavia, 12 giugno 1896
Vi pregano gli amici vostri se voi non voleti distrutti i beni che voi possedete vi pregano di mandarsi lire 3 mila se volete vivere ancora dovete fari questo le mandati sul Piano Balestra montagna Catalfamo nella casuccia confinante Luiggi Scardina, mandarli collomo [con l’uomo] vostro Rosario… orario mezzanotte per tre giorni. Li prego di non mancari o pure la vita vostra.
A fine Ottocento, la Sicilia era attraversata da un fenomeno inquietante e profondamente radicato: le lettere di minaccia, note anche come lettere di scrocco. Un esempio significativo è una missiva anonima datata 12 giugno 1896, indirizzata a un possidente di Santa Flavia, piccolo comune del Palermitano. Il tono minaccioso e le richieste di denaro erano chiari: il mittente pretendeva 3.000 lire, pena la distruzione dei beni e la minaccia alla vita del destinatario. La modalità di consegna era orchestrata con precisione: il denaro doveva essere recapitato a mezzanotte in un luogo appartato, consegnato da una persona fidata.
Questi episodi rientravano nella strategia della mafia rurale siciliana, che attraverso minacce ed estorsioni garantiva il proprio controllo su territori e attività agricole. In quel periodo, il delegato di pubblica sicurezza Antonino Cutrera catalogava queste lettere come tipici strumenti di intimidazione mafiosa. Come descritto nel suo saggio La Mafia e i Mafiosi (1900), Cutrera analizza il meccanismo mafioso dell’estorsione, in cui il pagamento della somma richiesta serviva a finanziare i cosiddetti picciotti (gli affiliati) e le loro famiglie.
Palermo stretta nella morsa del “tenebroso sodalizio” mafioso
Alla fine del XIX secolo, Palermo e i comuni limitrofi erano sotto l’influenza di un’organizzazione criminale che univa diverse cosche locali in una sorta di federazione. Questo sistema, descritto dallo storico Salvatore Lupo, vedeva una collaborazione tra mafia urbana e mafia rurale: se da un lato alcuni gruppi criminali monopolizzavano il controllo dei quartieri, dall’altro una mafia rurale estendeva i suoi interessi sull’economia agricola, realizzando rapine, sequestri di persona, contrabbando e appunto estorsioni tramite lettere di scrocco. Le autorità riuscirono a documentare, solo tra il 1893 e il 1899, ben 219 lettere di questo tipo nella provincia di Palermo.
La diffusione del termine “pizzo” e le figure storiche dell’estorsione
Il termine pizzo, usato ancora oggi per indicare il racket dell’estorsione, sembra avere origini affascinanti. Una delle teorie lo associa a Vito Cascio Ferro, un noto boss mafioso siciliano che, secondo alcune ricostruzioni, avrebbe introdotto il concetto negli Stati Uniti all’inizio del Novecento. Arrivato a New York, Cascio Ferro avrebbe fatto suo il metodo della lettera di scrocco per estorcere denaro ai commercianti italiani di Little Italy, all’interno di un contesto già noto come “Mano Nera”. Questo fenomeno si intrecciava con l’attività di bande criminali italo-americane, che usarono per decenni simboli come bare e pistole per incutere timore alle vittime.
Le lettere di minaccia nel Nuovo Mondo: la Mano Nera negli Stati Uniti e in Canada
La pratica delle lettere minatorie si diffuse ben oltre i confini italiani, prendendo piede in diverse nazioni tra cui gli Stati Uniti, il Canada e persino l’Australia. Negli Stati Uniti, a cavallo tra XIX e XX secolo, le lettere recanti simboli come bare e pistole spaventavano immigrati italiani e imprenditori nelle principali città. A Toronto, ad esempio, la cosiddetta “Black Hand Society” (Società della Mano Nera) ricorse a queste lettere per ottenere ingenti somme di denaro. Le minacce erano dirette a personalità influenti come James C. Eaton, figlio del fondatore di una rinomata catena commerciale. In queste lettere si faceva leva su una promessa di violenza e distruzione nel caso in cui le richieste non fossero state esaudite.
L’evoluzione delle tecniche di estorsione: dai simboli macabri alla tassa sulla paura
Quella che oggi viene definita comunemente “pizzo” ha alle spalle una lunga storia di trasformazioni. Nella metà del XIX secolo, in Italia, una delle prime forme di intimidazione con lettere minatorie si verificò sotto il fenomeno delle balle, associazioni criminali nate a Bologna e nelle Marche. Questi gruppi estorcevano denaro con minacce di morte e praticavano attività illecite, come rapine e furti. A Pesaro, nel 1864, uno dei processi più significativi portò alla condanna di Sante Frontini, un affiliato responsabile di numerosi atti criminosi, tra cui l’omicidio di due carabinieri.
Questa forma di tassa sulla paura si è trasformata nel tempo, acquisendo una parvenza di legittimità. Infatti, le mafie moderne hanno affinato le loro tattiche: le richieste di denaro si sono evolute in offerte di “protezione” e servizi obbligatori, talvolta giustificate da documenti formali e fatture per prestazioni inesistenti. L’obiettivo è creare un rapporto di compartecipazione e complicità tra chi estorce e chi subisce, trasformando una richiesta violenta in un obbligo imposto da un potere sommerso ma evidente.
L’attualità di un fenomeno storico
L’estorsione mafiosa rappresenta tuttora una realtà presente e attiva in varie regioni d’Italia e del mondo. Sebbene le modalità siano cambiate, l’obiettivo rimane lo stesso: ottenere un ingiusto profitto a spese dei commercianti e imprenditori locali, che spesso non hanno altra scelta se non quella di pagare. Quella che è nata come una minaccia espressa tramite simboli macabri e missive minatorie è oggi divenuta una rete organizzata di estorsioni, in cui il pagamento non è solo questione di denaro ma un atto di sottomissione a un potere criminale radicato.