Il progetto coloniale sionista, sin dalle origini, si fonda sull’obiettivo dell’espulsione dei nativi arabi per consentire l’insediamento dei coloni ebrei. Nel 1917 con la dichiarazione Balfour, i mandatari britannici riconobbero ufficialmente le aspirazioni sioniste alla patria ebraica e legittimarono la pratica delle pulizie etniche in Palestina
Quando alla fine del 1800 i coloni sionisti iniziarono a partire alla volta della Palestina, provenienti principalmente dai paesi dell’Europa centrale ed orientale, erano forse convinti di trovare una terra vuota in cui poter costruire un etnostato ebraico caratterizzato dalla supremazia etnica, demografica e politica ebraica. La presenza dei nativi arabi-palestinesi nella patria promessa, fece crollare il mito della “terra senza popolo per un popolo senza terra” che l’ideologia nazionalista sionista aveva fomentato per incoraggiare le migrazioni ebraiche.
Il progetto coloniale sionista per essere realizzato doveva sbarazzarsi dell’incomodo delle popolazioni native, descritte quindi come selvagge e lontane dalla civiltà.
Da qui, si può pienamente sostenere che tale progetto prevedesse intrinsecamente fin dall’inizio l’obiettivo di portare avanti le pulizie etniche in Palestina ai danni degli autoctoni.
Theodor Herzl, padre del progetto coloniale sionista
Nel 1895, Theodor Herzl padre dell’ideologia coloniale sionista, sosteneva la necessità di perpetrare le pulizie etniche in Palestina, incoraggiando la popolazione autoctona ad emigrare lasciando campo libero all’insediamento dei coloni. L’espediente adoperato fu quello di escludere i nativi palestinesi dal lavoro agricolo, unica fonte di sostentamento, costringendoli così a togliersi di mezzo approfittando della grave situazione d’indigenza.
Se Theodor Herzl fu moderato nelle intenzioni, la stessa cosa non si può dire di David Ben-Gurion, presidente del Comitato esecutivo dell’Agenzia ebraica per la Palestina, il quale fu molto più diretto affermando “dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto”.
Comitato per il trasferimento e Piano Dalet
Il Comitato per il trasferimento e il Piano Dalet, iniziative chiave per l’attuazione del progetto coloniale, perseguivano la priorità di ripulire le terre di Palestina, ribattezzate terre d’Israele, dalla presenza araba autoctona. Le pulizie etniche in Palestina vennero compiute attraverso vari mezzi, non solo l’espulsione, ma anche lo smantellamento delle case e dei villaggi di proprietà degli arabi e l’espropriazione delle terre in cui piazzare gli immigrati ebrei.
Per coprire il piano di pulizie etniche in Palestina, punto cruciale del Sionismo, si fece ricorso a menzogne e manipolazioni, come ad esempio far credere che quattro quinti della popolazione palestinese avesse deciso volontariamente di emigrare, e non sotto costrizione a causa del terrore indotto dalle continue incursioni armate dei gruppi paramilitari sionisti.
Dichiarazione Balfour
Nel 1917, la dichiarazione Balfour, con cui la Gran Bretagna accordò pieno sostegno al progetto coloniale sionista, rappresentò l’evento nefasto per il popolo nativo palestinese perché difatti inaugurò ufficialmente le pulizie etniche in Palestina per consentire la nascita della cosiddetta patria ebraica.
Secondo lo storico palestinese Edward Said si trattò di una promessa fatale fatta da una potenza europea che riconosceva la legittimità della colonizzazione di un territorio non europeo, ignorando totalmente l’esistenza di una popolazione autoctona che costituiva la maggioranza e in quelle terre di conquista viveva.
La dichiarazione Balfour diede la spinta a crescenti ondate migratorie ebree, si conta l’arrivo di circa 60.000 nuovi immigrati nel 1936, e ovviamente ciò comportò lo sradicamento dei contadini poveri palestinesi. Tutti i tentativi dei nativi di resistere alla violenta colonizzazione furono repressi nel sangue dall’esercito britannico e dalle milizie paramilitari dell’Haganah.
La spartizione della Palestina mandataria
La Gran Bretagna attraverso l’istituzione della Commissione Peel tentò la via della spartizione della Palestina mandataria e la nascita di due stati, uno ebraico e l’altro arabo di cui si prevedeva l’annessione alla Transgiordania. I nativi arabi che avessero rifiutato la migrazione volontaria in Transgiordania sarebbero stati cacciati coercitivamente. Intravedendo lo spettro delle pulizie etniche in Palestina, il popolo autoctono rifiutò tale soluzione che difatti autorizzava indirettamente i colonizzatori ad espandersi illimitatamente dando seguito all’ideologia coloniale sionista. Nel 1948 quando i britannici rinunciarono al mandato, le Nazioni Unite con la risoluzione 181 decisero la creazione di due Stati, prevedendo l’assegnazione del 56% del territorio allo Stato ebraico e il 42% allo Stato arabo, sebbene gli arabi fossero 1,2 milioni mentre gli ebrei 600.000.
Yosef Weitz e l’archivio dei villaggi per facilitare le pulizie etniche in Palestina
Yosef Weitz, conosciuto come “l’architetto delle pulizie etniche in Palestina”, divenuto capo del Dipartimento per gli insediamenti fondiari, già all’inizio del 1930 aveva avviato un’opera di acquisizione di terre palestinesi da riassegnare agli immigrati ebrei, rendendosi però conto che i nativi erano troppi e ben radicati mentre gli ebrei costituivano appena il 10% della popolazione e possedevano solo il 2% delle terre, giunse alla conclusione che per radicare l’etnostato ebraico occorresse non solo incentivare le migrazioni ebraiche ma anche sradicare il popolo autoctono deportandolo nei vicini paesi arabi.
Dopo la risoluzione 181 delle Nazioni Unite, Yosef Weitz, stilò un elenco dei villaggi arabi da sgomberare e indicò le tattiche militari da mettere in campo. Intimidazioni, demolizioni di case private, assedi e bombardamenti contro centri abitati, disposizione di mine tra le macerie, completarono le pulizie etniche in Palestina.
I terribili fatti di Deir Yassin
Le pulizie etniche in Palestina nel 1948 culminarono nei terribili fatti di Deir Yassin.
Deir Yassin era un villaggio arabo situato sulla linea tra Tel Aviv e Gerusalemme, gli arabi-palestinesi lo avevano occupato in molti punti per spezzare in due le principali comunità sioniste e porre un argine all’offensiva militare. Il piccolo villaggio di 600 anime rappresentava infatti per il gruppo paramilitare-terroristico Haganah un luogo strategico per facilitarsi l’avanzata verso Gerusalemme.
Il 9 aprile 1948, l’incursione armata dei miliziani culminò in un massacro di civili innocenti e disarmati, secondo la Croce Rossa Internazionale furono circa 254 le vittime della brutalità sionista, donne e bambini, in maggioranza, sacrificati in nome di una folle ideologia nazionalista.
Gli orrori di Deir Yassin rappresentano la manifestazione più atroce delle pulizie etniche in Palestina, dopo questa ferita profonda l’esistenza dei nativi arabi fu stravolta per sempre. Da quel momento in poi la storia palestinese sarà segnata dalla catastrofe dell’esodo verso i campi profughi sparsi nei paesi vicini. La strategia del terrore messa in atto dai sionisti, attraverso intimidazioni, esecuzioni sommarie e massacri, costrinse gli autoctoni ad abbandonare case e villaggi.
Nell’arco di un solo mese infatti il numero di profughi crebbe da 60.000 a 350.000.
Le pulizie etniche in Palestina dopo il 1967
Nel 1967 al termine della guerra dei sei giorni, il progetto coloniale si rafforzò grazie all’annessione del restante 22% delle terre palestinesi, comprendente la Cisgiordania, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza. Con l’espansionismo coloniale proseguirono anche le pulizie etniche in Palestina che furono però compiute in forme differenti rispetto al 1948. Per esempio, si impedì il ritorno dei profughi di guerra e furono incoraggiate le migrazioni volontarie anche attraverso la predisposizione di un autobus diretto da Gaza city verso la Giordania.
Ma anche in Cisgiordania e Gerusalemme Est, l’opera di smantellamento di città e villaggi palestinesi fu inarrestabile.
L’episodio più eclatante si consumò nella Città Vecchia di Gerusalemme, dove il quartiere Mughrabi fu raso al suolo senza preavviso per fare spazio ad una piazza nei pressi del Muro del Pianto. Molti palestinesi residenti finirono per essere travolti dai bulldozer insieme alle loro case e agli averi che disperatamente avevano cercato di risparmiare alla ferocia del colonialismo sionista.
Jenny Favazzo