Storia dei vampiri: l’ombra perenne dell’uomo – Parte 1

Là dove c’è l’uomo, c’è il vampiro, si potrebbe dire. L’antichità, la diffusione e la varietà delle credenze sui morti che continuano a nutrirsi spinge a pensarlo. Si può averne un assaggio leggendo il saggio di Matthew Beresford: Storia dei vampiri (Bologna 2009, Odoya. Traduzione di Francesca Biancani). Beresford è uno scrittore e archeologo inglese.

“Lamia” di John William Waterhouse, 1909.

 

L’edizione italiana è dotata di una prefazione di Valerio Evangelisti, autore di fantascienza e fantasy.

“Di tutti i mostri della letteratura fantastica, il vampiro è di gran lunga il più anomalo e affascinante. Intanto non piega le sue vittime per costrizione, quanto piuttosto per seduzione. E poi perché è quello che meglio si presta a un uso metaforico. Succhiare energie, alimentarsi delle forze altrui, fare di esseri viventi dei non-morti. Ognuno può immaginare facili parallelismi o accostamenti temporali più o meno azzardati. Tipo il fatto che il Dracula di Bram Stoker venga scritto tra la prima e la seconda rivoluzione industriale, quando intere comunità umane sono distrutte e rimodellate a fini puramente economici.” (p. 7).

Ma lo stesso Evangelisti riconosce che la lettura sociologica è insufficiente. L’interesse per il mito del vampiro ha radici più profonde.




 

La vampira Carmilla di LeFanu per esempio, rimanderebbe all’universo pagano.

“Non è uccisa dal sole né da alcun elemento naturale […] e quando sceglie la notte, questa non è […] una versione dell’inferno, bensì il regno tutto femminile della luna. Se poi si trasforma in animale, la sua forma […] è […] quella del gatto, archetipicamente legato al sesso femminile e largamente celebrato nei culti precristiani.” (p. 9).

 

Queste sono le considerazioni di Evangelisti. Passiamo ora al testo di Beresford. Quasi provocatoriamente, esso reca in epigrafe due citazioni: una di Stoker e una di Rousseau. Un narratore gotico e un filosofo illuminista, uniti da un anello: la certezza dell’atavica esistenza dei vampiri. Effettivamente, documentazioni di credenze ed episodi relativi al (presunto) vampirismo sono state restituite da diverse epoche e culture.

 

Nella Vita di Apollonio di Tiana (estremi biografici: 40-120 d.C. circa), Filostrato descrive un’empusa, demone femminile rivolta ai piaceri del sesso e del cannibalismo. Altri vampiri vanno a caccia di bambini:

“l’obayifo in Ghana, il labartu nella Babilonia, l’aswang nelle Filippine e le lamiae, le striges o le mormos nell’antica Roma, le servitrici di Ecate, dea della stregoneria.” (p. 22).

L’ossessione per i piccoli (sostiene Beresford) sembrerebbe legata alla presunta purezza del loro sangue. In epoca cristiana, il vampirismo diverrà una deformazione demoniaca dell’Eucarestia (bere il sangue vivificante di Cristo). A ogni modo, l’attrazione per il prezioso umore è data dalla sua indispensabilità alla vita.

 

Anche i riti funebri hanno avuto un certo peso, in questo tipo di credenza. È nota l’ossessione degli antichi Greci per l’appropriatezza dei riti di sepoltura. Nessun corpo doveva rimanere sulla nuda terra. Gli assassini, addirittura, mutilavano i cadaveri, per evitare che il morto potesse vendicarsi su di loro. Beresford collega la paura del revenant alla scomparsa della cremazione.

“Questa concezione […] diventa più chiara, se si tiene in considerazione la credenza secondo cui, quando un corpo viene cremato, l’anima viene immediatamente rilasciata e può essere cattiva. Invece, se un corpo viene seppellito, si permette la naturale decomposizione e si dà la possibilità allo spirito del defunto di viaggiare verso la sua prossima vita quando si senta pronto.” (p. 26).

Ciò vale soprattutto in Europa orientale e nei Balcani. Tra le varie cause della “creazione di vampiri”, si contano: la predisposizione morale del futuro non-morto, il decesso violento, la predestinazione (nascita illegittima e/o incestuosa). Ma, in epoca preistorica, la trasformazione del defunto in vampiro era soprattutto legata alle scorrette pratiche funerarie.

 

Nel Medioevo, la paura dei vampiri si ricollegò a quella delle streghe e di ogni sorta di demone. Credenze che venivano incoraggiate dalla Chiesa e ricollegate a figure bibliche come quella di Giuda Iscariota e Caino (sorte di “protovampiri”). Un discorso a parte merita Lilith, che nel nome reca la radice ebraica per “notte”. In una versione popolare della sua leggenda,

“Caino […] girovagò sino a quando incontrò Lilith, la prima compagna di Adamo, che lo aveva lasciato ed era diventata una strega. Lilith aveva dato alla luce dei demoni in seguito a un accordo stretto con degli angeli. È spesso rappresentata nell’atto di uccidere dei bambini e mostrare a Caino il potere vitale del sangue.” (p. 48).

 

Come Stoker ci ha abituato a pensare, molte tradizioni popolari sui vampiri provengono dalla regione romena della Transilvania. Di questa zona era originario proprio Vlad III (1436-1476), voivoda (titolo nobiliare) della Valacchia. Egli era detto l’Impalatore, per l’uso massiccio di questo supplizio, ma anche Draculya: “figlio del Drago”, ovvero del padre Vlad II, membro dell’ordine cavalleresco del Drago.

 

[continua]

 

Erica Gazzoldi

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