Come la scorsa volta, seguiremo i passi dell’archeologo e scrittore Matthew Beresford. Ci riferiamo al suo volume Storia dei vampiri (Bologna 2009, Odoya). Abbiamo parlato della preistoria, dell’antichità, del Medioevo e delle origini storiche di Dracula. Ora, è il momento di arrivare ai vampiri letterari. Quelli del XIX secolo.
Il Romanticismo puntò infatti sulle sensazioni e i sentimenti, anche macabri. In poesia, Beresford fa l’esempio di The Giaour (Il Giaurro) di G. Byron:
“Ma prima sulla terra, come un vampiro mandato,
Il tuo cadavere sarà dalla tomba strappato,
Poi orrendamente infesterà la tua casa natale,
E succhierà il sangue di tutta la tua gente.” (p. 111)
A sua volta, Byron si era ispirato a scritti come Christabel o La ballata del vecchio marinaio, di S. T. Coleridge: opere sulla “morte in vita” e sull’essere condannati a vagare per sempre.
Il poemetto influenzò lo storico Il vampiro (1816) di J. W. Polidori, concepito proprio durante un soggiorno di quest’ultimo in Svizzera con Lord Byron e altri illustri scrittori (vedasi alla voce “notte di Villa Diodati”). Altre pietre miliari in questo senso furono: Varney, il vampiro (attribuito sia a James Malcolm Rymer che a Thomas Preskett Prest); Carmilla di Sheridan LeFanu; e, ovviamente, Dracula di Bram Stoker. Queste opere uniscono elementi del folklore ad altri d’invenzione, come l’aristocraticità del vampiro. Carmilla punta sulla psicologia dell’adolescenza femminile: il bisogno d’amicizia e confidenza, che sconfina nella passione saffica.
Da buon archeologo, Beresford parla però anche di luoghi fisici. Il villaggio di Whitby, in particolare, è meta degli appassionati di Dracula, perché vi sono ambientati passi del romanzo. Ma esso era famoso per presunte infestazioni già in precedenza. In particolare, si diceva che Constance de Beverley fosse stata murata viva nei sotterranei dell’abbazia di Whitby, per punire una sua relazione illecita. Ma si parlava anche del fantasma di santa Hilda, la fondatrice…
Dracula, in questo senso, unì il vecchio al nuovo. Accanto ad antiche leggende, ci sono le innovazioni della modernità: la stenografia, il fonografo, la medicina psichiatrica. I suoi personaggi sono figure tipiche della società vittoriana, unite nella lotta contro il mostro straniero (tirava aria di Guerra Mondiale…). Non dimentichiamo poi che K. Marx impiegò la metafora del vampiro per designare il Capitale.
Nel tempo trascorso dalla pubblicazione di Dracula a oggi, Beresford registra un venir meno della paura dei vampiri. La tecnologia e i mass media ne hanno fatto una presenza familiare. Nei primi anni ’20, queste creature assursero alle glorie del cinema. Si pensi al classico Nosferatu girato da F.W. Murnau (1922), ispirato proprio al romanzo di Stoker. Ad esso, attinsero ampiamente anche case produttrici come gli Universal Studios e la Hammer Corporation. Il Dracula diretto da Tod Browning nel 1931, con Bela Lugosi come protagonista, sancì il vampiro dell’immaginario collettivo.
Per vedere una svolta significativa, bisognerà attendere Intervista col vampiro, il celeberrimo romanzo di Anne Rice (1976). Nel 1987, il film Ragazzi perduti di Joel Schumacher trasformò le creature soprannaturali in metafora della delinquenza giovanile. Un classico cinematografico è il Bram Stoker’s Dracula di Francis Ford Coppola (1992): una pellicola che vuole “ripulire” il protagonista dai cliché, esplicitando allo stesso tempo alcune caratteristiche latenti nel romanzo (l’ispirazione storica e i fantasmi sessuali).
Nel campo della cronaca nera, il “vampirismo” fu associato ad alcuni serial killer. Ma più inquietante è la reazione della società, in taluni casi, davanti alla subcultura gothic. Beresford ha dedicato il proprio libro a Sophie Lancaster (1986-2007): una gang aveva preso di mira lei e il fidanzato, per il loro aspetto dark. Entrambi furono infine aggrediti fisicamente e lei ne morì. A ciò, si aggiunga il linciaggio morale a carico dell’insegnante Samantha Goldstone, unicamente perché scriveva romanzi gotici dietro pseudonimo.
Ma il XX secolo non è stato immune neppure da vere e proprie caccie ai vampiri nei cimiteri. Tra gli anni ’60 e ’70, ciò avvenne al camposanto di Highgate, a Londra. Seán Manchester (prete, storico, poeta, mistico) e David Farrant (presidente della Società psichica e dell’occulto britannica) affermarono di avervi avvistato una di queste creature. Essi furono rivali nella caccia e nel mettersi in mostra. Furono anche emulati da molte persone alla ricerca di emozioni forti.
Insomma, è assodato che i vampiri non possono morire. Tornano in ogni epoca e luogo, come riflesso di perenni caratteristiche umane: la paura della morte, ma anche la “corrispondenza d’amorosi sensi” con chi ci ha lasciato (e che può diventare morbosa); rimembranze dell’allattamento e fantasmi del sesso; il valore stesso del sangue per il mantenimento della vita.
“Non esiste un vampiro tipico. […] Essenzialmente, il vampiro riflette un essere in perenne mutamento che ha grande rilevanza per la cultura all’interno della quale esiste.” (p. 201).
Erica Gazzoldi