Se è vero che il calcio rappresenta la più importante tra le cose meno importanti, è altrettanto vero che una sua attenta osservazione può spalancarci le porte verso analisi che hanno ben poco a che fare con un pallone che ruzzola su un rettangolo erboso.
La storia dei derby non fa in tal senso eccezione.
Irrazionale come solo le passioni possono essere, il gioco più seguito al mondo ha l’inimitabile capacità di accendere i cuori e spegnere i cervelli, di trascinare folle, di plasmare (e plagiare) le menti.
UNA QUESTIONE POLITICA
Se ne accorse ben presto la macchina propagandista del regime che per vent’anni ha violentato la nostra bella Italia. Furono infatti i gerarchi fascisti i primi a imporre una significativa svolta nell’assetto nazionale del gioco del pallone, imponendo la riduzione del numero degli organici cittadini che, nel periodo cosiddetto pioneristico, spuntavano come funghi dopo un temporale.
Poche squadre e ben distribuite: questo il piano del regime che, in un sol colpo, intaccava da un lato i sempiterni sentimenti campanilistici nazionali in favore dell’uniformità di pensiero e dall’altro permetteva una maggiore distribuzione delle squadre della massima competizione su tutto il territorio nazionale, per favorire quell’immagine virile e di potenza tanto agognata dell’homo sportivus.
Lo sport come affermazione della superiorità razziale e i successi in campo internazionale come manifesto di gloria di un’Italia in camicia nera finalmente moderna e dinamica.
Così, nel 1929, la storia dei derby prendeva forma e la neonata Serie A poteva contarne tre: Inter-Milan, Juventus-Torino e Roma-Lazio.
Gli unici centri a cui fu permesso di mantenere almeno due squadre furono Genova, Torino e Milano, luoghi in cui il calcio italiano vide i suoi albori e in cui le tifoserie erano ormai troppo radicate per pensare ad improbabili fusioni. Rappresenta un’eccezione la Capitale, dove la Lazio oppose strenua resistenza all’ipotesi di fusione con la Roma.
“A CAVALLO” DEI SECOLI
Ma perché le stracittadine si chiamano derby? Per trovare la risposta bisogna, come si dice, darsi all’ippica.
È infatti a fine settecento, guarda caso in terra inglese, che si trovano le radici di questo termine.
Il merito va al dodicesimo conte di Derby (attuale capoluogo della contea del Derbyshire), tale Edward Stanley, che passò alle cronache per aver istituito una apprezzatissima corsa di cavalli, riservata a puledri di tre anni, che prese il suo nome in quanto si svolgeva presso la sua nobile magione.
Un successo di tale portata da diventare un appuntamento fisso che riuscì a superare i confini britannici e ad approdare in tutta Europa.
Cosa c’entra il calcio? Passeranno poco più di cento anni quando il termine, ormai di uso comune, entrerà nel campo semantico dello sport più popolare per eccellenza indicando una partita di eccezionale importanza perché disputata da due squadre della stessa città.
IL PRIMO DERBY ITALIANO
A prescindere dall’influenza avuta dal regime fascista sulla storia dei derby, le partite giocate tra squadre della stessa città ebbero sempre un fascino e un’importanza particolari.
Contendersi il primato sul territorio è sempre stata una delle ragioni che hanno spinto le persone ad appassionarsi agli sport più popolari. Una motivazione per partecipare e parteggiare attivamente, per sentirsi coinvolti con lo spettacolo.
Spetta a Torino il “record” di prima città ad ospitare un derby nella massima competizione di allora.
Era l’8 maggio 1898 e a contendersi la posta in palio erano l’Internazionale e la Torinese, storiche compagini sabaude dalla cui fusione sarebbe nato nel 1906 il Torino.
I DERBY DI OGGI
A distanza di quasi cento anni dalla fondazione della Serie A, le stracittadine odierne rimangono un punto focale della stagione calcistica, eterno motivo di rivalsa tra tifosi e spesso appuntamenti “salva stagione” per chi ha poco da chiedere a livello di trofei e si accontenta del primato su scala cittadina.
Fatta eccezione per Genova, l’unica città italiana che ha visto disputarsi tre distinti derby nella stagione 1945-46 – l’unica disputata con la formula del doppio girone (Nord e Sud) vista la partecipazione del Genoa, dell’Andrea Doria e della Sampierdarenese – nessuna altra città conta più di un derby stagionale.
Nel corso degli anni, storiche rivalità extracittadine, provinciali o addirittura regionali, hanno assunto il nome di derby a conferma che in quanto ad asti e antichi dissapori, gli italiani non sono secondi a nessuno.
Alessandro Leproux