Pochi e ricchi, molto ricchi: sono i miliardari russi per cui il linguaggio giornalistico utilizza spesso l’espressione “oligarchi”, allargata forse solamente a qualche altro tycoon nato e cresciuto all’ombra dell’Unione Sovietica, anche se non formalmente russo di cittadinanza. Sono spesso visti come una compagine tanto solida quanto indistinguibile nei suoi membri principali, almeno per noi occidentali. La loro caratteristica principale è quella di appartenere al sistema politico che viene riassunto come “torri del Cremlino” e che reggerebbe la Russia di Putin: il Presidente sarebbe solamente il volto istituzionale (e il parafulmine, bisogna dirlo) di un sistema di clientelismi e corruzione molto più strutturato. Ma andiamo con ordine: come nasce un oligarca?
La storia degli oligarchi dall’inizio
Se avete presente quello che è accaduto all’inizio degli anni Novanta in Unione Sovietica, la nascita degli oligarchi non dovrebbe essere difficile da collocare. Dopo lo scioglimento dell’URSS, infatti, nel 1991, a crollare è stato anche il sistema economico collettivista che, per lungo tempo, sebbene con qualche eccezione e ammorbidimento, non prevedeva la proprietà privata. Il fallimento dell’URSS, dunque, e di questo sistema economico hanno portato al necessario ripensamento di quelli che fino ad allora erano considerati beni di Stato. All’inizio, alcuni ex funzionari di Stato, principalmente in Russia e in Ucraina, hanno preso degli accordi informali con i vari governi per iniziare a gestire questi beni, in una sorta di feudalesimo postsovietico.
La perestrojka
Alcuni passi verso il capitalismo erano già stati fatti, a dire il vero, negli anni precedenti, quando Michail Gorbačëv, segretario del Partito dal 1985, aveva aperto alla liberalizzazione del mercato: le riforme del suo governo, infatti, prevedevano la presenza di prezzi regolamentati e di mercato, garantendo enormi possibilità di profitto per coloro che si fossero addentrati nel business, secondo il modello dell’arbitraggio. Era la stagione della perestrojka e delle riforme verso la “ristrutturazione” economica: nacquero le prime cooperative e le imprese poterono iniziare a vendere in autonomia gli eccessi rispetto a quanto previsti dagli obiettivi di piano, così come si assistette a una riorganizzazione del sistema bancario, anche al fine di attrarre capitali stranieri.
Soldi, soldi, soldi
Già alla fine del 1990, il settore agricolo vide l’apertura di 50 mila aziende agricole private, che rappresentavano l’1% della produzione. Accanto a questo, però, l’economia sovietica non dava segni di miglioramento: tra il 1989 e il 1990, si registrò una vera e propria crisi nella produzione industriale, che andò ad alimentare la disoccupazione.
Arbitraggio e mercato nero
Intanto, quelli che erano diventati piccoli uomini d’affari, cercavano di procurarsi altro denaro da reimmettere nelle loro aziende: uno dei metodi più efficaci per fare soldi in fretta fu quello di importare, spesso anche in contrabbando, merci che la popolazione sovietica, come i computer o i jeans, rivendendoli e registrando grandi profitti. L’altro sistema, invece, era come abbiamo già accennato, l’arbitraggio: si acquistavano materie prime sul mercato russo a poco prezzo per poi rivenderle secondo le cifre del mercato mondiale: in questo modo si formò un gruppo di giovani ricchi, che accumulavano miliondi di dollari che però non andavano a reinvestire nell’economia russa, preferendo aprire conti in Svizzera. Questo causò loro una grande impopolarità presso la popolazione russa che, ancora oggi, indica gli oligarchi come “cleptocrati” e, fondamentalmente, le ragioni della fragilità della Russia odierna.
Il collasso politico dell’URSS, poi, portò alla presidenza della Russia Boris Nikolaevič El’cin: a questo punto esisteva già una solido gruppetto di persone che si erano arricchite, spesso partendo dal nulla, e che iniziarono a fare pressioni sul governo russo, che risultava legittimamente eletto ma aveva comunque grossi problemi con la corruzione.
La corruzione
A complicare le cose arrivò poi arriva la corruzione. Ex funzionari governativi, loro parenti, collaboratori e criminali collegati al governo riuscirono a mettere le mani a buon prezzo o anche gratuitamente sui beni che erano appartenuti allo Stato. Questo avvenne durante il governo Eltsin, che durò fino al 1999 e che vide in Anatolij Čubajs e Egor Gajdar i principali responsabili della privatizzazione. Introdurre la proprietà privata e le liberalizzazioni senza troppi vincoli ha infatti portato molto lontano rispetto all’obiettivo del benessere diffuso. Il governo e gli oligarchi si sono legati con un doppio nodo: a Eltsin servivano gli appoggi elettorali ed economici per ripresentarsi alle elezioni del 1996. Gli oligarchi glieli avrebbero concessi, contando però sulla cecità del governo di fronte a certe magagne finanziarie e imprenditoriali. In alcuni casi, i magnati potevano contare anche su canali di comunicazione privilegiati sulle decisioni del governo in materia di finanza.
Roulette russa
La fortuna degli oligarchi, però, non è una linea retta e soprattutto sempre in ascesa: nel 1998 una forte crisi colpisce il sistema finanziario russo e a farne le spese sono quei miliardari che hanno basato i loro investimenti sulle banche. Proprio per questo motivo, come da noi esistono volti da Prima e volti da Seconda Repubblica, in Russia si possono ben distinguere gli oligarchi dell’era Eltsin da quelli dell’era Putin.
Berezovskij, una vita da film
Boris Berezovskij, per esempio, faceva parte dei primi: proprietario del principale canale televisivo del Paese, Channel One, nel 1997, Forbes aveva stimato il suo patrimonio in 3 miliardi di dollari. Era vicesegretario del consiglio di sicurezza della Russia e amico personale della figlia di Eltsin. Da alcuni era stato indicato anche come Il Padrino del Cremlino, vale a dire il capo della mafia russa. Dopo le elezioni del 2000, però Berezovskij iniziò a contrapporsi al nuovo presidente Putin, dimettendosi dalla Duma e trasferendosi in Gran Bretagna dopo alcune indagini sul suo patrimonio: il governo, poi, si impossessò delle sue aziende e del suo canale televisivo, continuando a chiedere l’estradizione alla Gran Bretagna. Le frodi di cui era accusato, secondo i principali analisti, potevano essere fondate ma erano anche strumentali a ostacolare il principale finanziatore dell’opposizione. Berezovskij venne trovato morto a Londra, in circostanze misteriose, nel 2013.
Le Torri del Cremlino
Insieme a lui, altri oligarchi come Mikhail Fridman, Michail Chodorkovskij, Vladimir Potanin, Alexander Smolensky, Vladimir Gusinsky e Pyotr Aven, formarono il “Gruppo dei Sette banchieri” attorno a Eltsin: complessivamente, tra il 1996 e il 2000, controllavano dal 50% al 70% di tutte le finanze russe. Alcuni di loro, al contrario di Berezovskij, riuscirono a mantenere una posizione di privilegio nell’era Putin, come Fridman e Potanin.
Nell’era Putin
Grande oppositore di Berezovskij era il giovane Roman Abramovič, classe 1966 e venuto quasi letteralmente dal nulla. Accanto a lui Alexander Abramov, Oleg Deripaska, Michail Prochorov, Ališer Usmanov, German Khan, Viktor Veksel’berg, Leonid Mikhelson, Vagit Alekperov rappresentavano le nuove Torri del Cremlino accanto a Vladimir Putin. Tenere le fila di tutto questo grande intreccio di interessi non deve essere stato facile nemmeno per Putin stesso: quest’ultimo, si pensa che abbia intrecciato un accordo di mutuo sostegno tra governo e oligarchi, introducendo suoi amici personali in questo sistema, come il suo insegnante di judo, Arkady Rotenberg. Oggi, con suo fratello Boris, è comproprietario del gruppo Strojgazmontaž (SGM), il più grande gruppo di costruzioni di gasdotti e linee elettriche in Russia.
Gli oligarchi oggi
Individui che possiedono patrimoni in miliardi di dollari dovrebbero essere una trentina secondo le stime ufficiali. Un’analisi del Credit Suisse risalente al 2013, però, sosteneva che il 35% della ricchezza russa fosse nelle mani di 110 individui. Di questi, molti possiedono ovviamente ville e yacht in giro per il mondo: a Londra, per esempio, c’è un quartiere in cui gli oligarchi sono praticamente vicini di casa e viene definito “Mosca sul Tamigi” o “Londongrad”.
Dalla crisi del 2008 alla guerra
A scalfire parzialmente i loro patrimoni è arrivata la crisi del 2008, in cui i 25 individui più ricchi di Russia hanno perso circa 146 miliardi di sterline, sempre per il forte legame con il mercato azionario. Poi è arrivato il 2022 e la vita degli oligarchi si è complicata, con il necessario trasferimento dei conti in Stati che non sanzionino i patrimoni russi, come negli Emirati. Molte agenzie, infatti, hanno riportato un intenso traffico tra Londra, Dubai e Mosca dei jet privati degli oligarchi, dall’inizio della guerra.
Elisa Ghidini