Storia di Claudia e Maurizio. La diagnosi genetica preimpianto: un diritto che ogni struttura deve garantire a tutte le coppie che scelgono di sottoporsi a tecniche di PMA





LA PATOLOGIA DI CLAUDIA

Sono Claudia, ho 38 anni, e sono talassemica. La talassemia è una malattia genetica, ossia viene trasmessa dai genitori fin dal concepimento e consiste nel fare frequenti trasfusioni di sangue come terapia salvavita, e chelare il ferro che introduci con le trasfusioni. Mia mamma mi racconta che sono stata una brava bambina, ubbidiente, che si è sempre curata e che ha sempre capito l’importanza delle cure. Il chelante di ferro quando ero piccola si chiamava desferal. Era un farmaco che veniva introdotto tramite una farfallina sotto cute e più lo lasciavi più faceva effetto. Faceva tanto male tenerlo perché spesso la farfallina non era messa bene, o era in un punto doloroso, o comunque se lo tenevi tante ore, la parte in cui il farmaco si concentrava diventava molto dolorante fino a quando non si trovava quasi più uno spazio dove farlo. Quando ero piccola per me, la macchinetta, cosi la chiamavamo, era il mio angelo custode, mi aiutava a stare bene. Diventando più grande non la sopportavo più, la detestavo. Era per questa ragione che alcune delle persone che conoscevo non lo facevano e le conseguenze sono state a volte irreversibili. Perché la talassemia è una malattia silenziosa, non ti accorgi nell’immediato dei danni che sta facendo. È come se corrodesse ciò a cui si attacca creando delle problematiche per il corpo a volte curabili e recuperabili ma a volte no. Curarsi è l’unico modo per arginare le sue conseguenze, non farlo significa dargli libero accesso al tuo corpo. Ed è per questa ragione che io ho assistito alla morte di giovani ragazzi che conoscevo sia personalmente sia di vista, che ad un certo punto non si sono più curati e dopo diversi anni si sono spenti perché essa aveva colpito il cuore soprattutto, che è uno degli organi che il ferro intacca. E quando sentivo che uno di noi non c’era più, è come sentire una parte di te morire, una sensazione fortissima e difficile da definire, un dispiacere incredibile, la consapevolezza che la paura che ti colpisce fortissimo è legata alla tua più grande fragilità. A me ha regalato una grave osteoporosi, e problematiche alla tiroide. La mia malattia è la mia più grande fonte di dolore e anche di forza che uso per affrontarla. Ci sono nata e cresciuta e ci convivo ogni giorno e ho vissuto dei momenti di lotta interiore e di estrema difficoltà nell’accettarla. Era come essere sempre in lotta con una parte di me. La talassemia è una malattia che può distruggerti, sia nel corpo che nell’animo, e ti insegna a lottare, a non abbassare mai la guardia, a provare a avere tutto sotto controllo, perché senti che se molli sei perduta”.

L’INCONTRO CON MAURIZIO

“Per questa ragione ho fatto sì che la mia vita fosse più di ogni altra cosa simile alla normalità. Sono andata a scuola, mi sono laureata, avevo amiche, amici con cui divertirmi. Vivevo e vivo la mia quotidianità, cercando di non farmi incatenare dai limiti che essa porta con se, ma cercando di emanciparmi da essa creandomi una mia identità che fosse altro dalla Claudia malata, da quella poverina perché malata, ma una persona che è prima di tutto Claudia in tutto ciò che questo comprende. Ed è in questo percorso di emancipazione continua, di crescita che ho incontrato Maurizio, colui che poi mi ha preso per mano, condividendo tutto della mia vita, ma soprattutto innamorandosi di me come io di lui, prendendo il pacchetto completo, considerando che io ero malata e lui portatore della stessa malattia. Per una volta non ho razionalizzato, avrei dovuto evitarlo perché pensare di avere figli con lui sarebbe stato difficile. In quel momento mi sentivo una ragazza fortunata ad averlo incontrato, mi piaceva tutto di lui, la sua intelligenza, ironia, dolcezza, il suo farmi ridere e la capacità di farmi aprire al mondo e di farmi conoscere cose a me sconosciute. Ho deciso con lui di non mettere paletti, di godermi quelle sensazioni, e se fosse finita pazienza, non volevo pensare nel lungo periodo. Ma andando avanti abbiamo capito che non ci importava, ci amavamo, stavamo bene insieme, avevo scoperto di essere infertile e a lui non importava, amava me, se i figli non vi fossero stati sarebbe andato bene lo stesso. Ci siamo sposati nel 2009”.

LA RICERCA DI UN FIGLIO

“Il passo successivo al matrimonio era per noi capire se potevamo avere figli, ero consapevole di essere infertile ma vista la stima che avevo per una dottoressa del reparto ginecologia del microcitemico di Cagliari volevamo capire se vi erano altri modi per diventare mamma e soprattutto visto il fatto che io ero malata di talassemia e Mauri era portatore della stessa malattia, perché la possibilità di trasmettere la malattia è del 50%, come tirare una moneta.

La dottoressa mi disse che viste le mie condizioni, la mia infertilità data da diversi fattori, potevamo solo fare la FIVET, la fecondazione in vitro. Il problema è che io fin da subito non volevo trasmettere la mia malattia se fossi rimasta incinta, e non volevo abortire nel caso la FIVET fosse andata a buon fine e il bambino fosse stato malato. Nel mio cuore il solo desiderio di essere madre corrispondeva già all’esigenza di proteggerlo dal dolore, che io conoscevo bene e non volevo per lui. Ma la dottoressa ci disse che non si poteva fare a Cagliari e né in tutta Italia, per farla si doveva andare all’estero con un costo non indifferente. Mi sono sentita persa in quel momento perché non mi sarei mai potuta permettere una cifra simile e poi sentivo fortemente un senso di ingiustizia, mi sentivo derubata dell’opportunità di essere mamma”.

LA BATTAGLIA DI CLAUDIA E MAURIZIO

Negli stessi giorni lessi un articolo che parlava dell’Associazione Coscioni, sensibile a queste tematiche delicate e scomode in un certo senso, e dalla parte di chi non ha voce. Ho preso contatti con l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni che dopo aver sentito la mia storia mi ha detto che mi avrebbe aiutato, e che lo avrebbe fatto gratuitamente. Per me è stato come un miracolo, e sentivo che finalmente qualcosa sarebbe successo. Abbiamo quindi ricorso al tribunale di Cagliari contro il microcitemico. È stato un periodo difficile, il tribunale, le testimonianze, il giudice, il fatto che ero sola perché Maurizio lavorava fuori. Poi la sentenza: l’avv. Gallo mi chiamò comunicandomi la notizia che avevamo vinto ed io incredula e felice iniziai a piangere: l’opportunità e, dunque, la speranza erano tornate.

Fino ad allora non sono mai rimasta incinta. Ho fatto la mia prima FIVET nell’ottobre 2013 e la seconda nel gennaio 2014. Entrambe non sono andate a buon fine, nessun embrione ha attecchito. È stata dura combattere con la speranza, con il sogno. Il percorso è sempre stato difficile, per tutta una serie di sentimenti che faceva venir fuori. Dopo l’ultima FIVET del 2014 abbiamo deciso di staccarci un po’ da tutto questo, vedevo persone distrutte da questo percorso. Non volevo questo per noi, e vista l’opportunità per Maurizio di lavorare in un’altra regione abbiamo deciso di partire e con il trasferimento vi erano tutta una serie di cose da sistemare e abbiamo così messo da parte per un po’ di tempo il nostro sogno, anche perché per me era necessario viverlo in un modo diverso, cambiare prospettiva.

Nel 2015 affronto purtroppo due aborti, prima volta il feto non aveva battito e se ne è andato come una mestruazione. Nel secondo caso il bambino c’era ma era bradicardico, il suo cuore si è spento dopo pochissimo tempo, hanno dovuto farmi il raschiamento. Per tanto tempo non ho parlato con nessuno di questo, è stato un dolore sordo dentro di me che mi accompagnava sempre. Sono tornata a lavoro quasi subito come se non mi fosse successo nulla, non ero riuscita a vivere questo dolore, piangevo spesso ma non sono mai riuscita ad aprirmi. Capivo che era andato via e non era colpa mia, che era meglio così per lui e quindi per me.

Quando mi sono trasferita nella nuova città ho iniziato a costruirmi di nuovo, un nuovo equilibrio, un nuovo lavoro, crescita di coppia e la serenità che avevo ritrovato grazie a essere di nuovo con Mauri, senza più essere distanti. Dopo quasi due anni dal trasferimento ci siamo detti che era giusto darci un’ultima possibilità, perché in quel momento essendo insieme in un contesto diverso eravamo ancora più sereni.




L’ARRIVO DEI FIGLI

“Così abbiamo eseguito la terza fecondazione in vitro con diagnosi preimpianto a Cagliari, nel luglio 2016. Dopo circa un mese ho scoperto di essere in attesa e qualche giorno dopo abbiamo avuto la notizia di aspettare due bimbi. Quando ho saputo di avere due bambini dentro di me, ero stupita meravigliata e felice, soprattutto perché ero riuscita a proteggerli. Dopo qualche mese, per sicurezza, facemmo anche la villocentesi che confermò l’assenza di Talassemia.

Oggi i nostri figli sono con noi, sono nati un po’ in anticipo e stanno bene, li amiamo incredibilmente e come ho sempre desiderato e lottato, partiranno alla pari con gli altri bambini, avranno un’infanzia serena, senza ospedali, senza essere bucati, senza trasfusioni, senza visite, senza tutto ciò che è stata la mia vita da quando sono nata.

Non possiamo proteggere i nostri figli da tutto e né tantomeno siamo così ottusi da poterlo pensare, ma tutto ciò che abbiamo fatto e ho fatto è proteggerli da ciò che conosco, una malattia difficile, pesantissima in cui nasci già con la responsabilità di dover sopravvivere, di lottare sin dalla nascita.

Penso che ciascuna coppia debba avere la possibilità di scegliere e di rispondere alla propria coscienza. Non mi permetto di giudicare nessuno e nessun tipo di scelta, so che quella che è stata la mia di scelta, la ripeterei 100 volte”.

 




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