Il ministro della Pubblica Sicurezza vieta il vaccino ai prigionieri palestinesi
Mentre in tutto il mondo i governi stanno cercando di organizzarsi (con esiti più o meno brillanti) per la distribuzione del vaccino anti-Covid, in Israele arriva una nuova direttiva. Il ministro della Pubblica Sicurezza Amir Ohana ha deciso di rinviare la somministrazione del vaccino ai prigionieri palestinesi. La dichiarazione di Ohana è arrivata in seguito all’annuncio di un funzionario dell’OLP, Qadri Abu Bakr, secondo cui la vaccinazione volontaria nelle carceri israeliane sarebbe stata imminente. Il ministro dello Stato ebraico ha invece precisato che, per il momento, l’accesso al vaccino sarà riservato soltanto al personale delle prigioni.
Grandi risultati della campagna vaccini, ma non per tutti
La campagna vaccini israeliana è iniziata ufficialmente il 20 dicembre. Il modello dello Stato ebraico è stato elogiato per l’efficienza e la rapidità nella distribuzione dei vaccini. C’è perfino chi si è arrischiato ad indicarlo come il primo paese al mondo che potrebbe uscire dall’incubo Covid. Questo in ragione della quota giornaliera di dosi somministrate, che è arrivata a 150 mila unità. Il ministro della Salute Yuli Edelstein ha affermato che queste cifre sono destinate ad aumentare nei prossimi giorni.
Accanto a questi risultati promettenti ci sono però diversi coni d’ombra. Ad esempio la scarsa propensione a vaccinarsi da parte dei palestinesi con cittadinanza israeliana. Il tasso di vaccinazione tra questa frangia della popolazione è al momento il 5%. A pesare su questo dato così basso è la mancanza di fiducia verso le istituzioni che non è certo emersa con lo scoppio della pandemia.
La distribuzione del vaccino nei Territori Occupati
Vi è inoltre l’enorme problema della distribuzione dei vaccini ai palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Pochi giorni fa Medici per i diritti umani , insieme a 14 organizzazioni palestinesi, israeliane e internazionali, ha rivolto un appello allo Stato ebraico. L’articolo 56 della Convenzione di Ginevra prevede l’obbligo per una potenza occupante di garantire il funzionamento dei servizi sanitari nel territorio occupato e di tutelare la popolazione con adeguate misure per impedire il propagarsi di epidemie e malattie contagiose. L’appello delle organizzazioni è dunque a rispettare questo articolo e a collaborare (anche finanziariamente) affinché la popolazione palestinese riceva vaccini efficienti e sicuri al più presto.
Inoltre, secondo fonti dell’International Solidarity Movement, la campagna di vaccinazione coinvolgerà anche i coloni israeliani presenti illegalmente sul territorio palestinese. Ma non è chiaro se i vaccini verranno distribuiti anche alla popolazione palestinese.
Il divieto del vaccino ai prigionieri palestinesi è una violazione dei diritti
La decisione del ministro della Pubblica Sicurezza di impedire la somministrazione del vaccino ai prigionieri palestinesi si inserisce dunque in un contesto già problematico per quanto riguarda la gestione fortemente sbilanciata della pandemia. Secondo il regolamento del Ministero della Salute i detenuti fanno parte del secondo gruppo da vaccinare sul territorio israeliano. La direttiva di Ohana è pertanto in contrasto con questo regolamento, oltre ad essere palesemente discriminatoria nei confronti dei cosiddetti “prigionieri di sicurezza” delle carceri israeliane. Per una strabiliante coincidenza, questi ultimi sono tutti palestinesi. Non serve ricordare che il diritto internazionale impone di rispettare e tutelare la salute dei detenuti (a prescindere dalla loro provenienza).
La situazione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane è insostenibile
Le precarie condizioni igienico-sanitarie e i trattamenti disumanizzanti subiti dai detenuti palestinesi (anche minorenni) nelle carceri israeliane non sono certo un mistero. Gli appelli reiterati da parte delle organizzazioni internazionali, i frequenti scioperi della fame dei prigionieri e le denunce dei giornalisti testimoniano da anni la sistematica violazione dei diritti umani in atto nelle prigioni dello Stato ebraico. La pandemia ha aggravato ulteriormente una situazione già drammatica. Il sovraffollamento e le condizioni invivibili a cui sono sottoposti hanno portato al contagio di almeno 140 detenuti palestinesi su un totale di 4400. Lo scorso novembre le autorità israeliane hanno chiuso la prigione di Gilboa dopo che 73 prigionieri palestinesi sono risultati positivi al virus.
Non c’è nulla che giustifichi la decisione di rinviare la distribuzione del vaccino ai prigionieri palestinesi, se non la volontà di perpetuare un sistema discriminatorio e separatista con metodico accanimento. In aggiunta, il rischio che, una volta vaccinato il personale delle carceri, il “rinvio” si trasformi in esclusione definitiva non pare così improbabile.