Stop ai delfinari: in Belgio basta delfini in cattività entro il 2037

stop ai delfinari: in Belgio stop ai delfini in cattività entro il 2037

“L’ultimo legame era spezzato. L’uomo e le esigenze dell’uomo non lo vincolavano più”

(Jack London – Il richiamo della foresta)

Il Belgio ha recentemente annunciato una svolta storica nella tutela del benessere animale: la chiusura definitiva dell’ultimo delfinario, il Boudewijn Seapark di Bruges, entro il 2037. Questa decisione è stata formalizzata dal ministro fiammingo per il benessere animale, Ben Weyts, a novembre 2024, consolidando il paese come il settimo al mondo, e quarto in Europa, a vietare i delfinari. Tale provvedimento completa un percorso iniziato nel 2003 a Bruxelles e nel 2019 in Vallonia, dove i delfinari erano già stati banditi​.

Questo evento rappresenta un ulteriore passo in direzione dell’estendersi della chiusura dei delfinari,  un passo fondamentale nella costruzione di una società più etica e rispettosa, una società che si rifiuta di riconoscere sensazioni di piacere nello spettacolo dello sfruttamento animale.

La normativa prevede un divieto immediato di riproduzione e importazione di delfini, l’obbligo di realizzare entro il 2027 vasche all’aperto per migliorare le condizioni degli animali e la progressiva chiusura delle strutture ancora attive. Il Boudewijn Seapark, che ospita attualmente sei delfini, è stato al centro di critiche da parte di associazioni come GAIA, che promuovono la riabilitazione degli esemplari in rifugi marini.

I delfinari nel contesto globale

Il divieto emesso in Belgio segue l’esempio di altri paesi che hanno già abbandonato la pratica dei delfinari. India, Cile, Croazia, Slovenia e Costa Rica hanno imposto divieti totali per motivi etici, mostrando una crescente consapevolezza globale verso il benessere di questi mammiferi marini. Anche in Europa, diverse nazioni stanno cominciando ad adottare restrizioni: in Italia, il numero di strutture è diminuito, con chiusure come quella del famoso Delfinario di Rimini, mentre in Francia e Grecia sono state avviate discussioni per un graduale abbandono di queste pratiche.

Sembra, dunque, che il contesto globale sia volto verso una maggiore sensibilità verso la tematica dello sfruttamento dei cetacei a scopo di intrattenimento umano, tuttavia non è un’azione da considerarsi sufficiente. Occorre che tale slancio di giudizio critico si traduca in concretezza.

Ancora molti paesi, come la Spagna e gli Stati Uniti, continuano a ospitare delfinari altamente redditizi. Strutture come SeaWorld o Loro Parque attraggono milioni di visitatori, generando profitti significativi ma a scapito del benessere dei cetacei. In questi contesti, i delfini sono  costretti a vivere in condizioni anguste, subendo stress psicologico e fisico, che si manifestano in comportamenti anomali come auto-mutilazioni​ e tendenze al suicidio.

I motivi della particolare attenzione ai delfini

I delfini, e i cetacei in generale, rappresentano una specie di mammiferi dotati di acuta intelligenza e sensibilità. Si tratta di animali estremamente sociali, che necessitano di interagire tra loro e con l’ambiente circostante.

“Sembrava davvero che la fatica del tiro costituisse l’espressione suprema del loro essere, il solo scopo per cui vivevano e l’unico motivo di piacere”, scriveva Jack London nel “Richiamo della foresta”. Questa riflessione sull’alienazione dell’animale, che riduce la sua esistenza a una mera funzione di utilità per l’uomo, può essere trasposta nel contesto della cattività dei cetacei, e in particolare nei delfinari.



Sebbene i delfini siano esseri complessi, noti per la loro intelligenza e socialità, la vita in cattività si riduce troppo spesso a una serie di esibizioni che ne mortificano la natura. Come il cane nel romanzo di London, i cetacei nei delfinari sembrano perdere il loro scopo originario, ridotti a meri strumenti di intrattenimento per il pubblico, i cui scopi e desideri prevalgono su quelli naturali dell’animale.

I delfini tursiopi, all’interno dei delfinari, vengono costretti a cibarsi di pesce morto, comportamento che in natura non avviene; vengono immessi  e tenuti in vasche di cemento che ne limitano le capacità di orientamento attraverso il sonar; il delfino è abituato a percorrere ogni giorno da 60 a 90 chilometri, che in cattività gli sono privati. In questo modo gli esemplari cadono in depressione e per far si che rimangano in vita, così da poter continuare a lucrare a spese del loro benessere, gli vengono somministrati psicofarmaci.

Le conseguenze della cattività

La privazione degli stimoli naturali, l’isolamento sociale e la limitazione dello spazio conducono spesso a gravi problemi psicologici. Un esempio emblematico è quello di Kathy, un delfino del parco acquatico Marineland, nota per aver ispirato la serie televisiva Flipper. Dopo anni di spettacoli, Kathy ha mostrato segni di depressione e si è lasciata morire volontariamente trattenendo il respiro, un comportamento che alcuni esperti interpretano come suicidio. Questo e altri casi ci conducono a riflettere sulla legittimità morale della detenzione di animali così complessi in contesti artificiali.

La chiusura dei delfinari in Belgio è una risposta a una realtà distorta, un tentativo di restituire ai cetacei la possibilità di una vita che non sia basata sulla prestazione e sull’intrattenimento, ma sul rispetto delle loro necessità biologiche e comportamentali.

Tra paradossi e accenni di consapevolezza

La decisione del Belgio invita a una riflessione sul paradosso intrinseco nel rapporto dell’uomo con i delfini. Essi sono ammirati per la loro intelligenza, empatia e capacità sociali, qualità che rendono la loro permanenza in cattività ancora più problematica e meno tollerabile. La domanda da porsi è se risulti possibile per l’essere umano giustificare lo sfruttamento di questi complessi animali in virtù di una fascinazione.

A rispondere è il Belgio con lo stop ai delfinari dando un segnale di cambiamento culturale. Rinnegare attraverso una legge concreta lo sfruttamento animale porta alla luce i valori di una società che inizia a interrogarsi su cosa significhi rispettare  gli esseri viventi nell’interezza delle esigenze fisiche e psicologiche.

Ci si pone di fronte un paradigma che riflette una crescente consapevolezza etica: l’acquisizione della capacità di riconoscere la differenza tra vita e sopravvivenza, tra bellezza e sfruttamento; una consapevolezza che invita a ripensare il nostro rapporto con gli altri esseri viventi. La decisione belga, quindi, non è solo un atto normativo, ma un gesto simbolico che sfida gli individui a guardare oltre l’apparenza del “piacere” che questi animali sembrano offrire, e riconoscendo in modo concreto la loro dignità e libertà​ innata e naturale.

Alessandra Familari

 

 

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