Secondo la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, dal 2007 ad oggi gli italiani hanno perso ricchezza: lo stipendio in Italia e Spagna è più basso
Tra le sei principali economie europee esaminate dalla Fondazione Giuseppe di Vittorio spicca l’Italia, e purtroppo non per un aspetto positivo. Le condizioni retributive degli italiani sono peggiori rispetto a quelle dei cittadini di Paesi Bassi, Francia, Belgio e Germania; più simili le condizioni dei lavoratori spagnoli. Il report ha evidenziato questo gap, dal quale emerge che lo stipendio in Italia è addirittura inferiore rispetto al 2007. Complice la crisi degli ultimi anni, dalla quale il nostro Paese non si è mai completamente ripreso, i salari italiani ora sono minacciati dalla pandemia globale.
Lo stipendio in Italia: effetto Covid e strategie precedenti
Lo studio si è basato anche sui dati Ocse e Istat, ed evidenzia come l’Italia non avesse i parametri degli altri Paesi Ue già prima della pandemia da coronavirus. Quest’ultima rappresenta la più grave crisi economica dal secondo dopoguerra, ma in questo caso intervengono anche altri fattori. Tra questi il sistema di tassazione sui redditi più bassi e le strategie governative dal 2008 ad oggi. Pesano soprattutto l’aumento delle tasse, i tagli e la moderazione salariale. Tuttavia, a partire dal 2020 si segnala un netto peggioramento: il cosiddetto “salario familiare netto” si aggira intorno al 60-70 % di quello tedesco. Anche lo stipendio individuale medio – lordo e annuale – in Italia è più basso: il valore si aggira sui 30.000 euro nel 2019, contro i 42.000 euro percepiti da un lavoratore tedesco. Pesa anche il prolungamento dei tempi di attesa per il rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (Ccnl).
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…” (Art. 1 della Costituzione italiana)
Fotografia del lavoratore italiano
Secondo il report, lo stipendio in Italia risente plausibilmente della qualità del lavoro erogato dal personale. Il lavoratore italiano medio è generalmente meno qualificato rispetto ai suoi colleghi europei: tra il 2008 e il 2019 l’Italia ha visto dimezzare il numero dei dirigenti. Al contrario, è aumentato del 2 % il numero di addetti non qualificati. Questo riguarda gli stipendi, ma anche la competitività complessiva del Paese che, in questo modo, si dimostra arretrato rispetto ai partner europei. Velo pietoso, infine, sugli orari di lavoro: se gli italiani guadagnano meno, non significa che lavorino meno. Lo studio ha dimostrato infatti che – solo per l’anno 2019 – il numero di ore di lavoro di un dipendente italiano è di circa 1.583. Un numero più alto rispetto a Germania, Paesi Bassi, Francia e Belgio, i cui dipendenti lavorano tra le 150 e le 250 ore in meno. Ma con stipendi più alti.
E poi c’è il Gender gap…
Ne ha parlato esaustivamente la deputata e Sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze Maria Cecilia Guerra: le donne – anche e soprattutto in tempo di Covid – si configurano come la categoria più fragile ed impotente di fronte alle ristrettezze economiche. Secondo l’ultimo Rapporto Caritas, infatti, oltre il 54 % delle donne che ha richiesto un aiuto, lo ha fatto tra i mesi di maggio e settembre. Un dato in crescita del 4 % rispetto allo scorso anno. Non solo pregiudizi o violenza, quindi, bensì disparità di trattamento economico e mancanza di agevolazioni da parte dello Stato. In particolare, quest’ultimo aspetto non fa che stratificare ulteriormente le lavoratrici, suddivise tra madri e donne single. In particolare, secondo l’Inps i salari lordi delle donne con figli sono più bassi – rispetto alle donne senza figli – di circa 5’700 euro. Un vero e proprio gap nel gap.
Francesco Nicolini