La sterilizzazione forzata era la soluzione di molti governi per limitare la riproduzione tra i membri delle minoranze etniche indesiderate. Oggigiorno ci troviamo molto spesso a parlare di maternità. Il diritto di scegliere se diventare, o non diventare, madri è un traguardo importante. Ma in un passato nemmeno troppo lontano, diventarlo era un privilegio.Ma questo passato può tornare con forza, abbattendo ogni progresso e rinforzando ogni pregiudizio razziale.
Stati Uniti, XX secolo
Quante volte abbiamo scoperto che alcuni fatti storici sono stati completamente ignorati dai libri di scuola? La risposta è abbastanza semplice: troppo spesso, soprattutto se l’evento è accaduto al di fuori dei confini nazionali. Un esempio che può confermarlo è l’assoluto silenzio che si cela sulla sterilizzazione forzata delle donne nativo americane. Il governo statunitense dal 1970 al 1976 ha spinto il 25% delle donne indigene a sottoporsi, talvolta senza il consenso, alla sterilizzazione. L’obiettivo era limitare il numero delle nascite per famiglia appartenente alla comunità, un numero piuttosto alto rispetto alle altre minoranze etniche.
A rendere ancora più nera questa pagina di storia americana erano i modi per ottenere il consenso firmato: spesso veniva procurato poco prima del parto cesareo, in preda dal dolore oppure a seguito di spregevoli ricatti. Neanche a dirlo, i moduli erano troppo complessi per essere pienamente compresi dalle vittime, la cui educazione scolastica risultava insufficiente. E’ abbastanza chiaro che il governo si è approfittato dello stato di vulnerabilità e della debolezza delle vittime.
Quel che è stato volontariamente ignorato è il significato che la fertilità ha nella comunità indigena. La maternità è un evento dal valore profondo che unisce i membri della famiglia e rafforza i rapporti di amicizia all’interno della comunità. E’ simbolo di orgoglio. Negare la gravidanza ad una donna nativa americana significa negarle il riconoscimento sociale, per cui la pratica di sterilizzazione forzata non solo ha danneggiato la salute mentale e fisica della vittima, ma anche quella della sua famiglia. Le profonde cicatrici e il trauma causato alle vittime sottoposte all’operazione, sono sfociate in episodi di violenza domestica e nell’abuso di alcol e droghe.
L’importanza della memoria collettiva
Inascoltati e derisi, i nativi americani ancora oggi sono ai limiti della società americana, ma il dolore a loro inflitto non è stato dimenticato. Importante in questi casi è la memoria collettiva che oggigiorno si diffonde grazie ai social, dove molti attivisti indigeni si occupano di diffondere, tramite video Reel e foto, le storie di parenti e amiche che nel passato sono state vittime del governo americano, rivendicando con orgoglio l’appartenenza alla comunità nativo americana.
“La sterilizzazione forzata è una pratica abbandonata…”
Non proprio. La sterilizzazione, soprattutto nei corpi femminili, nonostante la sua crudeltà, continua ad essere una pratica diffusa. Facendo un salto fino ai giorni nostri, la sterilizzazione forzata persiste in alcune paesi, con tutta la sua disumanità, compiendo penose discriminazioni. Ad esempio, in ben nove paesi europei, coloro che desiderano cambiare giuridicamente sesso, devono sottoporsi ad interventi chirurgici che direttamente portano alla sterilità. Facciamo fatica a credere che questo non appaia agli occhi dei più come una violazione del diritto fondamentale della salute.
Cina, oggi.
Recentemente è avvenuto un altro triste evento che vede due protagonisti: la Cina e la comunità degli Uiguri. Della prima sappiamo che non è esattamente il miglior modello democratico a cui aspirare. Dei secondi, invece, sappiamo ben poco.
Gli Uiguri sono una minoranza turcofona di religione musulmana situati nella regione nord occidentale dello Xinjiang e dal 2016 sono perseguitati dal governo cinese. Si contano all’incirca un milione di Uiguri scomparsi, tra uomini donne e bambini. Mentre i genitori vengono internati nei campi di concentramento, i bambini vengono abbandonati negli orfanotrofi per seguire delle pratiche di indottrinamento. Le donne, oltre alle minacce e agli abusi, sono costrette a sottoporsi alla sterilizzazione, con l’obiettivo di ridurre, anno dopo anno, il numero degli Uiguri presenti in Cina. Nonostante le denunce, il governo si difende accusando le vittime di complottare contro le autorità.
La disperazione che ha trovato il coraggio di trasformarsi in protesa, a distanza da più di un anno dalle prime denunce, cade nell’oblio.
Nonostante il silenzio dei media, la sterilizzazione forzata non è una violenza rilegata al passato. Continua ad essere uno strumento di controllo e le vittime appartengono sempre a minoranze etniche, da sempre inascoltate e sbugiardate. La sterilizzazione è genocidio razziale, è oggettivazione e disumanizzazione del corpo della donna. E’ una forma di violenza psicologica e fisica che si nasconde sotto false spoglie, finge di essere scienza e controllo demografico, ma è solo un atto brutale che, se perpetuato, porta all’eliminazione della diversità etnica che in Europa diciamo di voler tutelare.