La Storia (non) si tocca: monumenti e statue del Risorgimento

Abbattere monumenti o sfregiarli significa rifiutare una serie di valori. Quali sono quelli delle statue del Risorgimento italiano?

Qualche mese fa folle di persone, indignate dal caso George Floyd, hanno mosso guerra negli Stati Uniti alle statue di confederati, schiavisti e colonizzatori. La protesta ha poi raggiunto l’Europa e l’Italia. Per i simpatizzanti del Black Lives Matter (BLM), abbattere o deturpare una statua non è un semplice atto di vandalismo. È un tentativo di mettere in discussione i valori presenti e passati di una società (quella americana) in cui è ancora oggi profondamente radicata l’idea di un suprematismo bianco.

Gli obiettivi sono diversi, ma lo spirito è identico quando si parla di fatti simili avvenuti in Italia.

Ma qual è la portata simbolica delle statue del Risorgimento? È giusto accanirsi su di loro?

Gli ideali del Risorgimento

La fondazione del Regno d’Italia nel 1861 è uno dei momenti più importanti di quel “processo culturale e politico” (così lo ha definito lo storico Alberto Mario Banti) chiamato Risorgimento. In questo periodo si elabora l’idea di nazione italiana. Non soltanto un’unione politica, ma soprattutto un richiamo ad una serie di tratti comuni in cui identificarsi.

Una cartina del Regno d'Italia nel 1861.
Il Regno d’Italia nel 1861, ad unificazione avvenuta.

Secondo Banti, la nazione nata con il Risorgimento sarebbe caratterizzata da tre “figure profonde”, cioè da tre “caratteristiche” principali di lunga durata.

La prima è quella della “comunità di parentela e discendenza”. La nazione è pensata come una famiglia (i padri della patria, la madre – patria) e ciò permette di riconoscersi come “fratelli d’Italia”.

La seconda è quella della “comunità sacrificale”. Gli eroi della nazione sono i patrioti risorgimentali, considerati alla stregua di santi, di martiri che hanno dato il proprio sangue per la patria.

L’ultima è quella della “comunità sessuata”. I ruoli e le gerarchie sono ben distinti a seconda del genere (l’eroe è sempre e solo il maschio).

Questo “insieme di valori, di norme, di simboli” che compongono il concetto di nazione non è dato per natura. Lo si deve imparare, con non pochi problemi e contraddizioni.

Gli ostacoli

Innanzitutto, i protagonisti del Risorgimento non andavano granché d’accordo fra di loro. È facile capire perché Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, non provasse simpatia per il repubblicano Giuseppe Mazzini. Ma anche l’eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi, non rientrava esattamente nelle grazie dei Savoia. Troppo imprevedibile e votato all’ideale, per ben due volte prima della breccia di Porta Pia del 1870 tenterà di conquistare Roma senza il consenso del re e in entrambi i casi verrà bloccato.

Un altro ostacolo è stata la presenza del papa. L’ostilità di Pio IX e dei successori durerà fino al 1929, con la sottoscrizione dei Patti Lateranensi. Avrà un’influenza enorme su una popolazione, quella italiana, che aveva come maggiore legame identitario proprio l’appartenenza al credo cattolico.

Infine, c’erano gli abitanti del Meridione, ex sudditi del Regno delle Due Sicilie. Molti tra di loro abbracceranno la causa del Risorgimento; molti altri saranno ostili fin dall’inizio ai “piemontesi”. Oggi i sostenitori del revisionismo equiparano l’Unità d’Italia ad una colonizzazione da parte del Regno di Sardegna (il fenomeno del brigantaggio rappresenterebbe un tentativo di resistenza). Di certo l’unificazione è avvenuta anche a costo di episodi violenti e sanguinosi (come il massacro di Bronte) che non possono non aver causato una profonda ferita.

“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”: statue del Risorgimento

Vittoriano, anche detto Altare della Patria. Celebra Vittorio Emanuele II e conserva le spoglie del Milite Ignoto della Prima Guerra Mondiale. (Roma) ph Sergio D’Afflitto, licenza Creative Commons.

Parafrasando il motto attribuito a Massimo D’Azeglio: l’Italia è stata fatta, ma come fare per fare gli italiani? Come comunicare loro un’idea di nazione in cui si possano riconoscere?

Il modo più efficace per trasmettere un messaggio ad una popolazione prevalentemente analfabeta (come sono gli italiani del XIX secolo) è attraverso il linguaggio visivo. Il discorso sulla nazione deve arrivare ovunque, dalle città (dove è forte il campanilismo) alle campagne (dove il discorso nazionale ha avuto un’eco limitata). Così, negli ultimi decenni dell’Ottocento l’Italia viene ricoperta da una vera e propria “foresta di statue”.

Statua di Giuseppe Garibaldi, ad opera di Augusto Rivalta (Livorno).

In quegli anni i protagonisti del Risorgimento sono ormai morti. Le loro statue diventano quasi dei “monumenti funebri” che abbandonano il cimitero per abitare le strade, le piazze e i parchi. I personaggi che rappresentano, che in vita non erano stati poi così affiatati, diventano da morti i componenti di un unico pantheon di eroi. Accanto a loro ci sono di solito altre figure: i soldati, la madre e altre figure femminili portatrici di dolore. Sono le prime espressioni di quello che, a partire dalla Prima Guerra Mondiale, diventerà un vero e proprio “culto dei caduti”.

Abbattere le statue del Risorgimento?

Per noi, le statue di Garibaldi o di Vittorio Emanuele II sparpagliate nelle città sono una presenza familiare, a tal punto che spesso passano inosservate e sono quasi prive del significato “mitologico” originale. Perché, dunque, deturpare o proporre di abbattere una statua del Risorgimento?

Abbiamo detto all’inizio che il BLM ha colpito le statue per colpire gli ideali e i valori proposti dalla società attraverso i monumenti. Per l’Italia è la stessa cosa: qui quella che viene rifiutata è l’idea di nazione che con tanta fatica si era cercato di insegnare agli italiani nel XIX secolo.

È interessante notare come le proteste provengano da più settori.

Tempo fa, c’è stato il caso della statua di Garibaldi a Varese, quando Gilberto Oneto, editorialista di Libero, ha sostenuto in accordo con la Lega cittadina che fosse giusto spostarla. Oneto ha definito il Risorgimento un “processo politico attuato con la forza e in spregio a ogni forma di legalità, ma anche contro lo volontà popolare”.

Ci sono stati i membri del Kollettivo Studenti Autorganizzati Torino, che pochi mesi fa hanno imbrattato una statua di Vittorio Emanuele II, sostenendo che quest’ultima non faccia parte del loro “patrimonio culturale”. È forte il nesso con il BLM nell’accostare la figura del re a quella dei colonizzatori.

Ci sono, infine, le proteste dal Meridione, dove, tra atti di vandalismo e proposte di rimozione legale, è evidente che in molti rigettano la nazione proposta/imposta dai Savoia dopo l’Unità.

Nel frattempo, nove anni fa lo stato italiano celebrava i 150 anni di Unità anche attraverso il restauro di monumenti celebrativi post – unitari, nel nome di un sentimento nazionale “forte, anche se spesso latente”. E, di nuovo, per rappresentare una nazione che sia “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor”.

Conservare la Storia per guardare al futuro

Ci sono, allora, due lati del problema. Da una parte, non è attaccando le statue  del Risorgimento che andremo avanti. Cancellare o negare la Storia eliminandone i simboli non può essere la soluzione giusta: si rischia inoltre di oscurare qualsiasi messaggio positivo e costruttivo. D’altra parte, tuttavia, c’è uno Stato che non può o non vuole rendersi conto del suo parziale fallimento. Sicuramente molti italiani provano un forte sentimento nazionale, ma molti altri no e bisogna prenderne atto. Non riproponendo il concetto ottocentesco di nazione, ma facendo proprie le alternative alla visione dello Stato, anche con una nuova contestualizzazione di opere e monumenti. Questo non vuol dire eliminare o spostare le statue: significa, semmai, proporre delle nuove chiavi di lettura. Vale a dire, comprendere che un’opera ha un certo rapporto con il periodo storico in cui è stata prodotta, ma deve averne necessariamente un altro con il presente.

Certo, la Storia passa: i nomi delle vie cambieranno, nuovi edifici sorgeranno e forse, nonostante tutto, si abbatterà qualche statua. Tuttavia, così come (giustamente) conserviamo i resti di un passato più antico affinché non ne vada perduta non solo la bellezza, ma anche la memoria, allo stesso modo dovremmo iniziare ad accettare anche quelli del passato recente. Accettarli e comprenderne la simbologia: è il primo passo per vederla con il dovuto distacco, per metterla da parte e passare oltre. Senza abbattere la Storia.

Rachele Colasanti

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