Svetta dalla famosa Liberty Island e domina la Upper New York Bay, nel mondo è conosciuta come Statua della Libertà, ma formalmente porta il nome di Libertà che illumina il mondo.
Fu costruita dallo scultore francese Frederic-Auguste Bartholdi con lastre di rame martellate a mano. Invece, l’architetto Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc e l’ingegnere Alexandre-Gustave Eiffel nome, quest’ultimo, già noto per la realizzazione della Torre Eiffel, hanno costruito il basamento in acciaio. La Statua della Libertà è un colosso conosciuto ovunque, il simbolo di una nazione che, ad oggi, vanta 302 copie in tutto il mondo, di cui solo 179 negli USA.
Un progetto durato 21 anni
Bartholdi, intenzionato a realizzare una dea, si ispirò alla madre per le fattezze del viso e a diversi modelli della tradizione illuministico-massonica per le altre forme. La scelta di utilizzare il rame e la tecnica a sbalzo trovò giustificazione nell’obiettivo di alleggerire quanto più possibile la struttura, considerato soprattutto il costo dei materiali. Alta 46 metri, la Statua della Libertà poggia su un piedistallo in granito costruito direttamente dagli Americani, con i soldi guadagnati tramite una campagna di raccolta fondi, promossa dall’editore Joseph Pulitzer.
Grazie all’intervento di Eiffel, l’opera rappresenta uno dei primi esempi di costruzione a facciata continua, in modo tale che la struttura non sia autoportante, ma sostenuta da un’altra posizionata all’interno.
Fin dalle origini
Era il 1865 e la Guerra civile americana, iniziata nel 1861, stava ormai volgendo al termine. In segno di amicizia, il politico francese Édouard René de Laboulaye propose di regalare all’America un monumento colossale. Bartholdi, esperto nella progettazione di costruzioni tanto grandi, accolse subito la proposta di costruirlo. Pensò di chiamarla “La libertà che illumina il mondo“, su ispirazione della Libertas, la dea romana e, infatti, ancora oggi questo rimane il nome formalmente corretto dell’opera.
Nell’immaginario collettivo, quando si pensa a una donna simbolo di libertà e di diritti, non può non venire in mente il dipinto dell’artista francese Eugène Delacroix, autore dell’opera “La Libertà che guida il popolo” (1830). In questo caso la protagonista ricorda molto la Nike di Samotracia, sebbene ai tempi non fosse stata ancora scoperta. Invece, nella versione americana Bartholdi si sarebbe ispirato alla “Libertà della Poesia”, una scultura funeraria dell’artista Pio Fedi.
Un omaggio alla Dichiarazione di indipendenza
La statua rappresenta una donna che tiene nella mano destra alzata una torcia, mentre nella sinistra c’è una tavoletta con su scritta la data di adozione della Dichiarazione di Indipendenza (4 luglio 1776). Un tempo era possibile salire lungo la fiaccola, che misura 8.8 metri, ma dal 1916 tale possibilità è stata negata al pubblico. Purtroppo, durante la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) alcuni tedeschi sabotarono la struttura e , per ragioni di sicurezza, nonostante il restauro, si preferì non riaprire ai visitatori. Inoltre, in occasione del suo centesimo anniversario, la torcia originale venne sostituita con una copia e trasferita nel piedistallo, dove è tuttora esposta.
Il colore originale
La conosciamo di colore verdastro e non ci sono oggi persone che ne ricordano una colorazione diversa. Tuttavia la Statua della Libertà, poiché costruita in rame, aveva inizialmente un colorazione rossastra. La continua esposizione agli agenti atmosferici ha contribuito alla formazione, per ossidazione, di una patina verde-grigia.
Il trasferimento in America
La Statua della Libertà è frutto di un lavoro congiunto tra Americani e Francesi che si divisero la costruzione rispettivamente dell’opera e del basamento. Una volta completato il tutto, la Francia donò il colosso al Nuovo continente proprio il giorno di Natale del 1883, dopo una solenne cerimonia a Parigi. Successivamente per il trasporto in America, si rese necessario smontare la statua. Tale procedura coinvolse anche la marina militare francese, che trasferì tutte le componenti traversando l’oceano per oltre sei mesi, a bordo della fregata francese Isere.
L’inaugurazione in patria avvenne in ritardo, il 28 ottobre 1886, poiché ancora non era pronto il piedistallo, e di conseguenza non fu possibile iniziare prima la ricostruzione.
Un monumento nazionale
La costruzione della Statua della Libertà è ricordata come un momento storico senza precedenti, durante il quale si tenne anche la prima ticker-tape parade, un evento ormai caratteristico negli USA, soprattutto a New York. Nel 1924, il colosso divenne monumento nazionale così come l’isola che lo ospita e sessant’anni dopo anche Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO (1984).
Ellis Island e la Statua della Libertà
Si trova sempre nell’Upper New York Bay ed è molto vicina a Liberty Island. Infatti, in passato si chiamavano insieme Oyster Islands, con riferimento al cospicuo strato di ostriche che ricopriva il territorio. Se una è molto famosa poiché ospita la Statua della Libertà, l’altra si ricorda per il fenomeno dell’immigrazione. Infatti, tra il 1892 e il 1954, circa 12 milioni di persone furono ospitate ad Ellis Island, prima di fare ingresso in America, qualora venisse loro mai data la possibilità.
Il sonetto
Ai tempi sull’isola c’era una stazione federale, dove passarono oltre 10.000 persone al giorno, soprattutto nel periodo 1900-1914. Sul piedistallo del colosso è inciso un sonetto intitolato “The New Colossus”. Scritto da Emma Lazarus, è un vero e proprio inno alla libertà e ad una vita dignitosa. Infatti la poetessa, colpita dalle condizioni in cui versavano gli immigrati in quarantena, dedicò loro un messaggio di speranza e coraggio.
Non come il gigante sfacciato della fama greca,
Con membra conquistatrici a cavalcioni di terra in terra;
Qui alle nostre porte bagnate dal mare staranno al tramonto
Una donna potente con una torcia, la cui fiamma
È il fulmine imprigionato, e il suo nome
Madre degli esuli. Dalla sua mano-faro
Brilla il benvenuto in tutto il mondo; comandano i suoi occhi miti
Il porto aereo che fa da cornice alle città gemelle.
“Mantieni, terre antiche, il tuo fasto leggendario!” grida lei
Con labbra silenziose. “Dammi i tuoi stanchi, i tuoi poveri,
Le tue masse accalcate desiderose di respirare libere,
I miserabili rifiuti della tua spiaggia brulicante.
Mandami questi, i senzatetto, tempestosi,
Alzo la mia lampada accanto alla porta d’oro!”
Nel fenomeno di migrazione verso l’America c’è tanto anche della nostra piccola Italia, che in quel sogno americano ha visto nascere e morire le speranze di milioni di persone. Uomini e donne disposti a lasciare la loro unica sicurezza, le radici, per cercare qualcosa di migliore da cui ricominciare. Un viaggio tra il desiderio di conoscere e la paura di non riuscire a vederla, l’America, la nazione del futuro. Un viaggio con più rischi che certezze verso qualcosa che non si conosceva, ma faceva sognare.
Oggi l’Italia è una realtà ben diversa, dove per vivere serenamente non c’è più bisogno di attraversare l’oceano. Tuttavia, siamo diventati noi il sogno di qualcun’altro, il rifugio dalla disperazione per la guerra o per la miseria che stravolgono paesi non sempre così distanti dai nostri confini. E forse proprio per questa ragione non dovremmo diventare noi i loro primi nemici, ma piuttosto i migliori alleati.
Carolina Salomoni