Cos’è il razzismo sistemico negli Usa? È quella cosa per cui delle leggi e delle manovre economiche formalmente democratiche, di fatto, acuiscono la disuguaglianza sostanziale tra le etnie. Per non essere razzisti, basta non insultare le persone di colore per strada? Basta non ragionare per stereotipi? O non votare per certi partiti? Magari. A volte, la società è così permeata da discriminazioni nella vita di tutti i giorni che, spesso, non ci si rende nemmeno conto dell’effetto domino devastante che leggi o misure apparenetemente democratiche hanno sulla vita delle persone. Analizziamole attraverso 10 statistiche.
Quando osserviamo quel che sta accadendo negli Usa in questi giorni, dobbiamo tenere conto alcune cose. Se parliamo di “proteste contro il razzismo“, stiamo usando un’espressione che, con un oceano di mezzo, cambia il suo significato. Negli Usa, infatti, il concetto di razzismo si carica di sfumature che, qui in Italia, volenti o nolenti, non percepiamo allo stesso modo. Non si può parlare di razzismo, infatti, prescindendo dalla storia statunitense e dal suo passato di schiavitù. Bisogna sempre tenere presente che, in tre secoli di esistenza, praticamente, gli Stati Uniti ne hanno passati due a schiavizzare gli afroamericani. La schiavitù è sì terminata nel 1865, al termine della sanguinosissima guerra civile, ma il razzismo non finisce qui. Anzi: la segregazione continua. Inizia un periodo in cui tutte le cose esistono in due versioni: scuole, trasporti, bagni pubblici sono previsti per i bianchi e per i neri, con un servizio molto più scadente per questi ultimi.
La segregazione termina formalmente nel 1964. Formalmente, perché la realtà e la cultura, infatti, non cambiano con la firma di un pezzo di carta. La ghettizzazione e la carenza di opportunità per i neri non cambiano velocemente e ci sono ancora molte forme di discriminazione che, di fatto, appartengono al cosiddetto problema del razzismo sistemico negli Usa.
1. I mutui
All’inizio del Novecento, il governo statunitense si è messo a identificare una serie di aree in cui banche e aziende avrebbero fatto bene ad investire. Il governo, di fatto, ha demarcato con una linea rossa le aree meno appetibili. Si trattava di veri e propri ghetti in cui gli afroamericani erano stati “invitati” dalle circostanze a stabilirsi. Per decenni, le banche hanno rifiutato di concedere mutui a queste zone. La mancanza di investimenti in queste zone ha avuto delle conseguenze dirompenti: i quartieri, con il passare del tempo, sono diventati sempre più degradati e impossibili da modificare e riqualificare. Su tutti, un esempio: negli Usa, è necessario considerare che le scuole di ogni distretto vengono finanziate dalle tasse sulla proprietà immobiliari. Chi nasce in questi quartieri, dove le case costano meno, quindi, avrà automaticamente una scuola fatiscente, vecchia e da anni non rinnovata, per mancanza di fondi. Banalmente questo si traduce in minori attività pomeridiane, minori laboratori, minori possibilità di avere una mensa. O maggiori possibilità che il tetto della scuola crolli sugli alunni, se vogliamo considerare tutte le opzioni.
2. Al cinema
All’inizio del ventesimo secolo, capita raramente che gli attori afroamericani ottengano dei ruoli nei film. In piena segregazione vengono infatti prodotti film controversi come Birth of a Nation, con una tesi di fondo chiaramente razzista, e The Jazz Singer, del 1927, dove per interpretare persone di colore vengono ingaggiati attori bianchi semplicemente truccati. Nel 1939 Hattie Mc Daniel è la prima afroamericana a ricevere un Oscar. Magari il nome non vi dice nulla, ma è l’attrice che interpreta Mami in Via col vento. Anche in questo caso, i neri sono cinematograficamente accettabili e credibili solo quando interpretano i ruoli dei subordinati.
Passiamo alla storia recente: Steve McQueen è l’unico regista nero ad aver vinto un Oscar per il miglior film, con 12 anni schiavo. Solo 4 attori afroamericani hanno vinto gli Oscar come migliori attori protagonisti. Halle Berry è l’unica attrice nera ad aver vinto un Oscar come miglior attrice protagonista. Forse l’ostacolo è a monte: nell’accesso alle scuole di recitazione. C’è anche una disparità nei budget e negli incassi al botteghino tra i film con registi bianchi e non bianchi, con i budget dei registi bianchi in media più alti.
3. La popolazione in carcere
Gli Usa sono il paese che mette in carcere più persone al mondo. Il 40% della popolazione carceraria statunitense è afroamericana. Teniamo sempre presente che gli afroamericani rappresentano il 13% della popolazione totale. Delinquono di più? Osserviamo i dati: se una persona di colore e una persona bianca commettono un crimine, la persona di colore ha maggiori possibilità di essere arrestata. Una volta arrestati, poi, i neri vengono condannati più spesso dei bianchi. Inoltre, quando i neri sono condannati, hanno circa il 20% in più di probabilità di essere destinati al carcere, con pene più lunghe del 19% rispetto a quelle per i bianchi che sono stati condannati per crimini simili.
Ah, e sgombriamo il campo da un’altra generalizzazione. Secondo le statistiche, neri americani e i bianchi americani usano droghe con percentuali simili. I neri, però, hanno 6 volte più probabilità di essere arrestati per lo stesso reato connesso all’uso di stupefacenti.
4. I posti di blocco
OItre il 95% dei poliziotti che subiscono un processo negli Usa per avere colpito degli afroamericani inermi vengono poi normalmente assolti. Considerando sempre che la popolazione afroamericana statunitense ammonta al 13%, fa riflettere il fatto che sono quasi il 40% gli afroamericani tra gli inermi uccisi dalla polizia.
Un report di Prison Policy Initiative risalente all’ottobre del 2018, rivela che i residenti neri negli Usa hanno maggiori possibilità di essere fermati dalla polizia per i controlli stradali. Nello stesso contesto, sempre secondo Prison Policy Initiative, quando la polizia ferma per un controllo una persona, se è afroamericana, c’è oltre il 5% di possibilità che i poliziotti usino la forza o la minaccia. Per i bianchi fermati per un controllo, questa possibilità scende al 2%. Uno su cinquanta contro uno su venti.
5. La distribuzione della ricchezza
Secondo uno studio, le famiglie bianche detengono il 90% della ricchezza nazionale degli Usa. Le famiglie dei latinos (i sudamericani) detengono il 2,3% e le famiglie afroamericane il 2,6%. A questo si possono aggiungere delle considerazioni in merito alla recessione del 2008, che ha colpito in particolare le famiglie delle minoranze, aumentando il divario di ricchezza. Basti pensare che per ogni 100 dollari guadagnati da una famiglia bianca negli Usa, una famiglia nera ne guadagna solo 57,30. Il tasso di disoccupazione dei neri, poi è il doppio di quello dei bianchi.
6. L’istruzione
Forse sulla questione della distribuzione della ricchezza c’entra l’istruzione o il titolo di studio? Bingo. Ma in un altro senso: a parità di titoli universitari, i candidati neri hanno il doppio delle possibilità di essere disoccupati rispetto al resto della popolazione laureata. Forse perché i candidati con un nome ad “assonanza bianca” vengono richiamati il 50% delle volte in più rispetto ai candidati che hanno un nome e un cognome di provenienza africana. E’ razzismo? Formalmente no. Ma forse anche qui abbiamo a che fare con il razzismo sistemico negli Usa.
Ma passiamo ai bambini. La scuola materna sarà indenne da questi spiacevoli episodi, almeno, no? Esatto: no. I bambini afroamericani sono il 18% della popolazione in età prescolare, però risulta che vengano sospesi per infrazioni il triplo delle volte, rispetto ai loro compagni bianchi.
7. La morte di parto
Le donne afroamericane, secondo uo studio condotto da Cranga e altri sul tema ostetricia e ginecologia, hanno il triplo delle possibilità di morire per complicazioni legate al parto. Secondo il Centro per il controllo delle malattie e la prevenzione addirittura il quadruplo. Il dato è il peggiore tra i paesi industrializzati. Perché? Anche in questo caso è una conseguenza derivante da altri problemi: le disuguaglianze economiche e sociali portate avanti nel corso di secoli rendono più difficile per le afroamericane accedere a strutture sanitarie di qualità superiore. Il disagio sociale, poi, più in generale, comporta l’adozione di uno stile di vita meno sano, con maggiori rischi di obesità e diabete. A questi, come se non bastasse, si aggiunge una maggiore esposizione allo stress, all’ipertensione e alla depressione: gli studi ricollegano anche questi dati alle maggiori difficoltà che queste categorie di persone incontrano nella vita di tutti i giorni.
8. Il traffico
La maggior parte dei tracciati stradali e autostradali americani fu costruita durante il periodo della segregazione. L’obiettivo non era solo quello di creare dei collegamenti agevoli tra le zone della città o tra le città stesse, ma era anche quello di tenere i neri lontani e separati. Come riporta Francesco Costa, de Il Post, la 8 Mile di Detroit è una di queste.
In passato, i bianchi volevano vivere fuori dal centro, considerato più problematico, mentre i neri spesso accettavano di vivere nelle inner cities, più degradate, ma sicuramente disponibili a un prezzo più abbordabile. I posti di lavoro, però, rimanevano in città e quindi ai bianchi non restava che intasare le autostrade per fare avanti e indietro ogni giorno. Volendo, avrebbero potuto utilizzare i mezzi di trasporto pubblici. Ma questo avrebbe significato entrare in contatto con i neri, più poveri e senza macchina, veri fruitori dei pullman. Ad Atlanta, sempre quanto racconta Costa, i referendum cittadini bocciano da anni la possibilità di modificare i percorsi degli autobus. Oppure c’è sempre quel ponte che, magari, non permette all’autobus di passare da quella strada. Quindi, banalmente: i neri certi posti non li frequentano perché lì l’autobus non passa. Ecco un altro spaccato di razzismo sistemico negli Usa.
9. La pandemia
Nel mese di maggio di quest’anno, sono emersi dati interessanti in merito al contagio e al suo collegamento con le etnie. Negli Usa, in particolare, è emerso che gli afroamericani sono quasi il triplo dei bianchi morti a causa della pandemia. Lo studio, condotto da APM, non lascia spazio a dubbi: in tutto il Paese, a inizio maggio, gli afroamericani morti per coronavirus risultavano essere 50,3 su 100.000 persone, rispetto a 20,7 per i bianchi, 22,9 per i latini e 22,7 per gli americani asiatici. Perché? E’ tutto collegato a quanto abbiamo detto sopra e a quella storia del razzismo sistemico negli Usa. Spesso gli afroamericani non hanno una copertura sanitaria. Questo li porta a rivolgersi alla sanità quando la situazione è ormai troppo compromessa per essere recuperabile. Oltre a questo, c’è una considerazione da fare in merito al contagio: molti afroamericani svolgono lavori molto esposti (camerieri, tassisti, personale di pulizia di hotel, portieri) al contatto col pubblico e al contagio.
10. Il voto
Nel giorno delle elezioni del 1960, Clarence Berkins, un elettore nero dello stato della Georgia si recò al seggio. Arrivato, qui fu accolto in una stanza che conteneva un barattolo di mais, un cetriolo, un’anguria e una saponetta. Gli addetti del seggio lo informarono che, per esercitare il suo diritto di voto, avrebbe dovuto rispondere correttamente a quattro domande: “Quanti chicchi di mais ci sono nel barattolo? Quante protuberanze sul cetriolo? Quanti semi nell’anguria? E quante bolle nella saponetta?”. Il signor Berkins non si prese la briga di tentare e il suo voto non venne né espresso né conteggiato. Questa storia, per quanto possa sembrare assurda, è vera ed è molto più attuale di quanto si pensi.
In Italia, spesso, il giorno delle elezioni americane vede la messa in onda di servizi sensazionalistici che dicono “Ore di coda ai seggi“. Certamente: perché spesso il seggio allestito è l’unico in quella zona. E guardacaso, si tratta di una zona a maggioranza afroamericana. Per restare in Georgia, però, per tornare ai giorni nostri, i dati sostengono che l‘80% delle persone che al seggio sono state rimandate indietro per via di cavilli legati al documento d’identità erano nere.
Bonus
Lo sapete che su Airbnb, il celebre portale di house sharing a fini turistici, gli ospiti con nomi distintamente afroamericani ottengono recensioni meno positive da parte dei proprietari? E’ razzismo? Forse no. Ha a che fare con il razzismo sistemico negli Usa e nel mondo? Forse sì.
E quindi?
E quindi, cosa possiamo fare noi? Cambia la situazione se condividiamo un quadrato nero su Instagram? Forse no. Cambia se usiamo un hashtag? Magari nemmeno. Che potere hanno avuto i social nella diffusione delle proteste? Non si sa: la situazione è ancora troppo complessa e in evoluzione per tracciare bilanci su questo o su un eventuale effetto delle proteste sulle elezioni del prossimo novembre. Il concetto è semplice: ragionare e discutere di questi dati ci può far contestualizzare la rabbia e la violenza di una fetta di popolazione che, per secoli, è stata tenuta oppressa dalla legge e, ora, lo è comunque dalle circostanze.
Pensiamo a tutti i piccoli e grandi problemi che affrontiamo nella vita di ogni giorno. Se ci si ferma la macchina e chiediamo aiuto ai passanti, se vogliamo prenotare le vacanze, se per errore ci capita nel portafogli una banconota falsa che, in totale buonafede, diamo alla commessa del supermercato. Se nostro figlio piange in aereo e non riusciamo a calmarlo, se chiediamo un mutuo, se andiamo dai Carabinieri perché abbiamo perso il portafogli. Immaginiamo, ora, di avere una vita normale con problemi normali, ma di avere anche la pelle di un altro colore. Siamo sicuri che le persone attorno a noi reagirebbero allo stesso modo? Siamo sicuri che noi ci sentiremmo allo stesso modo fiduciosi e ottimisti verso il prossimo? Ecco, questo è il razzismo sistemico negli Usa. E forse non solo lì.
Elisa Ghidini