Sono state riattivate le funzioni cellulari del cervello di 32 maiali dopo ore dalla morte. Questo il risultato di un gruppo di ricercatori dell’Università di Yale guidato da Nenad Sestan, messo in copertina dalla rivista Nature.
Al momento non si è riusciti riattivare l’attività elettrica associata alla coscienza ma dopo questa scoperta, nulla sembra più essere scontato. Sembrerebbe che questo sia un passo importante per studiare più a fondo le malattie neurodegenerative e per la sperimentazioni di alcuni farmaci.
“La stessa tecnologia potrebbe essere utilizzata per terapie contro i danni provocati dall’ictus e potrebbero aiutare la ricerca per la cura dell’Alzheimer“, ha spiegato Nenad.
Lo studio
Lo studio dimostra che il cervello di grandi mammiferi, tra cui anche l’uomo, conserva la capacità di ripristinare la funzione di alcune cellule e della circolazione del sangue anche dopo alcune ore dalla morte.
L’esperimento è stato condotto su 32 cervelli di maiale, presi dai macelli con lo strumento chiamato BrainEx, progettato e finanziato nell’ambito della Brain Initiative promossa dagli statunitensi National Institutes of Health (Nih). Uno studio anche un po’ italiano visto che tra i ricercatori c’è anche Francesca Talpo che lavora sia a Yale che all’Università di Pavia.
Il BrainEx e la riattivazione delle funzioni cellulari
L’apparecchio funziona tramite un sistema che, a temperatura ambiente, pompa nelle principali arterie del cervello una soluzione chiamata BrainEx. Al suo interno i ricercatori hanno aggiunto una specie di anestetico, per evitare che i neuroni si attivassero completamente portando a una eventuale possibilità di una ripresa di coscienza di qualche tipo. Dopo sei ore di immersione gli studiosi sono riusciti a ripristinare l’irrorazione in tutti i vasi sanguigni. Durante la sperimentazione il cervello ha mostrato la riduzione della morte cellulare e il ripristino di alcune funzioni cellulari, compresa la formazione di connessioni tra i neuroni.
Un passo da gigante per la conoscenza della lunga conservazione degli organi e delle funzioni cellulari
Lo studio, fanno sapere, non è ancora finito perché non è chiaro in che modo i tempi di perfusione lunghi possano incidere nell’attività cerebrale. Ma tra le cose più importanti che sono state dimostrate c’è quella che, se viene mantenuta l’irrorazione sanguigna e la vitalità di alcune cellule, si può aiutare a conservare gli organi più lungo. Questo, nel caso del cervello umano, ritarderebbe il processo di degradazione che distrugge le cellule. Ciò permetterebbe ricerche oggi ritenute quesi impossibili perché le attuali tecniche di conservazione richiedono processi, come il congelamento, che alterano la struttura della cellula in modo irreparabile.
Il bivio tra scienza ed etica
Tuttavia i risultati di questo studio stanno facendo molto discutere, perché portano a rivedere la definizione stessa di ‘morte’ per come è intesa a livello medico-scientifico.
Un problema a tratti etico nel quale sono incorsi diversi scienziati che già nel ‘900 provarono a mantenere in vita il cervello raffreddandolo e facendo circolare al suo interno varie sostanze, per sostituire quelle portate naturalmente dalla circolazione sanguigna.
Le ricerche continueranno perché gli stessi ricercatori hanno ammesso ci sono ancora molte difficoltà da superare, a partire dal fatto che questa tecnica consente la somministrazione del BrainEx solo dopo l’asportazione del cervello dalla scatola cranica.
Eleonora Spadaro