Stati Uniti e Israele: la grande alleanza

L'allenza Stati Uniti Israele

L'allenza Stati Uniti Israele

L’accidentato percorso che ha condotto Israele a divenire il più privilegiato alleato statunitense si dipana lungo i decenni e le amministrazioni, i consiglieri e i leader di Stato, inizia a seguito della Seconda guerra mondiale e si snoda attraverso quella fredda. Fino ad inerpicarsi verso il saldo legame che unisce ora i due paesi, frutto di un allineamento ideologico, morale, di politica internazionale, economico, militare, vitale per Israele che sembra non poter più essere messo in discussione da qualsivoglia evento, circostanza o presidenza.

L’approccio degli Stati Uniti verso Israele dopo il 1948

Per poter dissipare ogni pregiudizio è necessario de-ideologizzare l’approccio alla lettura di quanto segue, e vale per entrambi gli schieramenti, che oggi più che mai si trovano in aperta ostilità.

Innanzitutto, serve delineare un punto di partenza. Nonostante l’immigrazione ebraica in Palestina cominci dalla fine del XIX secolo, possiamo iniziare a parlare di relazioni tra USA e Israele solo dopo la fondazione di quest’ ultimo.

La gestione della Palestina mandataria venne affidata alla Gran Bretagna dalla Società delle Nazioni. In qualità di superpotenza uscente da uno scenario geopolitico mondiale in mutamento, tanto allora quanto oggi, essa riuscì a mantenere e dirigere le scelte statunitensi sul Medio Oriente ancora per qualche anno.

Gli Stati Uniti di Roosevelt

Sul tema della Palestina l’America di Franklin Delano Roosevelt aveva volutamente mantenuto una grande ambiguità rispetto alla promessa inglese volta alla creazione di una National Home for Jewish People, rivolta alle comunità Yishuv (insediamenti ebraici prima del 48) in Palestina. Ma la prematura scomparsa di Roosevelt, avvenuta al momento propizio, lasciò spazio ad una politica più accomodante verso la causa sionista.

Sino ad allora la linea della Casa Bianca e quella del Dipartimento di Stato tramite la sua Division of Near Eastern Affairs, diretta da Loy Henderson erano procedute parallelamente.

La politica estera statunitense preferiva le buone relazioni con il mondo arabo, in primis per mantenere tale blocco lontano da una possibile alleanza con l’Asse, e in secondo luogo perché gli americani erano a conoscenza dell’importanza che i giacimenti petroliferi di paesi quali Iran, Iraq e Arabia Saudita avrebbero assunto nel dopoguerra.

Dal punto di vista di Washington per tutti gli anni 30, sino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, la questione palestinese e le richieste dell’Agenzia Ebraica erano rimandabili a data da destinarsi. Ciò poteva essere facilmente ottenuto tramite riproposizione di un mandato fiduciario internazionale sulla Palestina, e alle limitazioni imposte all’immigrazione ebraica in Palestina, causa principale delle tensioni tra le due comunità.



Gli Stati Uniti di Truman

A seguito del successo economico, militare e strategico che la fine della Guerra mondiale rappresento per gli USA, due crisi mediorientali favorirono l’adozione della Dottrina del nuovo presidente americano, Harry S. Truman.

Si tratta della Crisi iraniana del 46 e di quella greco-Turca del 47. Ciononostante, l’attenzione degli americani in questo frangente era ancora rivolta principalmente all’Europa, ma l’approccio del Presidente Truman sulla questione israeliana cambio radicalmente l’equilibrio tra le visioni di Casa Bianca e Dipartimento di Stato sulla questione mediorientale.

Truman, ormai ex vicepresidente, carica mantenuta solo 82 giorni, giurò e divenne presidente lo stesso giorno della morte di Roosevelt. Egli dovette fare i conti con l’ingombrante peso politico del suo predecessore che aveva condotto gli Stati Uniti fuori dalla Grande Depressione e aveva sconfitto il Nazifascismo.

L’opinione pubblica americana, soprattutto di stampo liberale simpatizzava enormemente con la causa del popolo ebraico vittima dell’Olocausto. Lo stesso presidente Truman, cristiano evangelico sentiva molto vicina la causa sionista così come aveva molto a cuore il consenso dell’elettorato liberal che sarebbe dovuto tornare a votare per lui nelle elezioni del 48, dopo essere stato alla guida del Paese senza essere stato eletto.

Inoltre, l’affinità ideologica, culturale, religiosa del popolo ebraico che condivide con i padri fondatori degli Stati Uniti il sogno di conquista di una terra lontana dall’Europa per ricominciare a scrivere il futuro del proprio popolo in maniera attiva, ha avuto il suo relativo peso.

Dall’altro lato i regimi arabi erano distanti dall’ideologia e dall’immagine liberale che gli statunitensi hanno fortemente propagandato dopo la Seconda guerra mondiale. Tali regimi, instabili e antidemocratici erano visti da Truman e dal suo Segretario di Stato Dean Gooderham Achesonmeno meno meritevoli della fiducia necessaria per un’alleanza stabile in chiave antisovietica nella regione.

Alle questioni di affinità culturale e al mero pregiudizio bisogna non dimenticare di affiancare  più pratiche ragioni elettorali e il peso del voto ebraico negli stati chiave. Queste circostanze  condussero comunque Washington a riconoscere lo Stato di Israele immediatamente dopo la proclamazione della sua fondazione. Ciononostante, sino a questo punto, Israele non rappresentò mai l’unica opzione perseguibile per mantenere l’influenza statunitense nella regione. Influenza che gli Stati Uniti continuarono a subordinare al più esperto alleato britannico, nonostante il lento processo che vedrà Washington impegnarsi direttamente in questo teatro fosse già iniziato.

Lo scoppio della prima Guerra arabo-israeliana nel 48, a seguito delle due crisi mediorientali citate in precedenza, fu però la prima prova concreta dell’inadeguatezza inglese nel continuare a gestire una regione che, a causa del caos, rischiava di essere permeata dall’influenza sovietica.

La sconfitta dei paesi arabi provocò sconvolgimenti politici in diversi paesi arabi dall’Egitto al Libano, alla Siria e in seguito anche in Iraq. L’accusa del fallimento dell’intervento arabo nella guerra del 48, che i movimenti rivoluzionari, panarabi e indipendentisti rivolsero all’establishment di questi paesi funse da ligne rouge che accomuna tutti i cambi di regimi e l’instabilità che ne conseguì.

Durante questa guerra gli USA imposero un embargo sulle armi per l’intera regione, con l’intenzione di sedare le violenze e soprattutto di non essere coinvolti. Embargo che Israele riuscì a eludere grazie agli approvvigionamenti di armi che arrivarono da paesi come la Cecoslovacchia e la Francia e anche tramite le reti clandestine legate ai movimenti sionisti americani ed europei.

Questo a conferma di come allora non esistesse ancora quell’incondizionata relazione privilegiata tra statunitensi e israeliani. Essa andrà generandosi a causa del coincidere tra interessi americani nella regione e la formazione di uno Stato sionista forte, capace di difendere tali interessi.

Gli Stati Uniti di Eisenhower

A partire dal 1951 Israele inizia a ricevere aiuti economici più consistenti attraverso il Mutual Security Act, volto a sostegno agli alleati americani nel contesto della Guerra Fredda. Sono gli ultimi anni della presidenza Truman, il quale non ha mai fatto segreto di preferire una solida alleanza con Israele rispetto all’alleanza in chiave antisovietica coi paesi arabi.

Fino ad allora le intenzioni del Dipartimento di Stato erano prevalse su quelle della Casa Bianca e la politica definita di appeasement” nei confronti del mondo arabo manteneva una sorta di equilibrio e ambiguità tra le parti.

Nel 1953 si insedia la nuova amministarazione repubblicana del Presidente Dwight D. Eisenhower e del suo segretario di Stato John Foster Dulles.

Essi tentarono di cavalcare la nascente ondata di nazionalismo e Panarabismo che permeava i discorsi dei leader arabi. Su tutti il Presidente egiziano Gamal Abd al-Nasser venne eletto leader dell’indipendentismo e della rappresentanza araba nel blocco dei Paesi non allineati.

È in questo periodo che gli Stati Uniti procedono al progressivo allentamento dal supporto britannico nella regione cominciando a promuovere un’agenda volta a mettere i propri interessi e la propria visione al primo posto.

Questo cambio di passo sarà coronato dall’intervento statunitense nella crisi di Suez del 1956 che di fatto fu un’opposizione diretta al tentativo di Gran Bretagna, Francia e Israele di sopprimere il nazionalismo arabo sul nascere.

L’invio di armi sovietiche a Nasser durante la crisi fu la conferma del fallimento delle politiche di Eisenhower e Dulles che tentarono spasmodicamente di avvicinare il leader egiziano al blocco occidentale, non comprendendo mai a fondo la volontà di neutralità dei paesi arabi e l’intenzione di Nasser di giocare la sua partita su più tavoli.

Fu proprio la crisi di Suez a saldare le relazioni tra Washington e Tel Aviv dopo che l’Unione Sovietica era riuscita nell’intento di penetrazione nella regione Medio Orientale tramite l’invio di armi. La politica di appeasement verso i paesi arabi era fallita a causa della profonda incomprensione statunitense della regione, dei suoi popoli e delle loro complessità. Gli Stati Uniti non compresero mai le rivendicazioni delle masse arabe afflitte dal trauma del colonialismo e dalla fascinazione verso forme di governo autoritarie.

Cambio di strategia verso Israele

A seguito del fallimentare tentativo di contenimento americano, esercitato contro l’espansione dell’unione sovietica in Medio Oriente, si assistette ad un graduale cambio di strategia.

Gli anni 50 furono per Israele un periodo durissimo, in cui lotta per la sopravvivenza del progetto sionista di insediamento in Palestina non era  ancora supportato pienamente dagli Stati Uniti.

Le frizioni tra Casa Bianca da un lato e Dipartimento di stato e Pentagono dall’altro cominciarono ad affievolirsi con la profilazione di Israele come l’alleato prescelto per garantire la presenza statunitense nella regione e la tutela dei suoi interessi. Unico problema la sostanziale debolezza dello Stato ebraico che a partire dagli anni 60 cominciò a ricevere sostanziosi aiuti economici e militari da Washington per sopperire a tale necessità.

Fu proprio John Fitzgerald Kennedy ad approvare la prima fornitura di armi a Tel Aviv. Da questo momento Israele venne coronato come partner strategico e all’invio di armi si aggiunsero fondi per lo sviluppo di diversi settori, tra cui: immigrazione, agricoltura, infrastrutture e difesa. Si posero inoltre le basi per il tacito assenso statunitense riguardo il programma nucleare israeliano.

Da questo momento in poi il supporto statunitense allo Stato sionista incluse il fondamentale appoggio alle Nazione Unite che saldò ulteriormente la vicinanza con l’elettorato ebreo americano.

In soli due anni Kennedy pose le basi per la special relationship che crebbe di pari passo con l’instabilità politica nella regione, le cui cause rimangono legate principalmente alla questione palestinese e al rifiuto israeliano di riconoscere diritti umani e territoriali alla popolazione autoctona.

Nel 1962 l’allora Ministro degli Esteri israeliana Golda Meir, durante un colloquio telefonico con il Presidente Kennedy si senti ribadire quanto segue:

«Gli Stati Uniti hanno una relazione speciale con Israele in Medio Oriente, in realtà

comparabile soltanto a quella che hanno con la Gran Bretagna in un ampio spettro

degli affari mondiali»

A seguito dell’assassinio di Kennedy gli Stati Uniti erano ancora in attesa di una dimostrazione tangibile per convincersi ad affidare completamente i propri interessi in Medio Oriente a Tel Aviv. La sigla dell’accordo del 1964 per la vendita di 48 bombardieri Skyahawk A-4 a Tel Aviv funse da assist. Nonostante questa vendita di armi fosse allora del tutto eccezionale, pose le basi per il successo delle IDF.

L’occasione si presentò nel 1967 durante la Guerra dei Sei Giorni. Questo conflitto segna il nettissimo punto di svolta nelle relazioni USA-Israele. Segna il convergere d’interessi tra i due paesi e l’inizio della reciproca dipendenza che senza dubbio è sempre volta a favore degli Stati Uniti. Questo perché la loro esistenza come entità statuale non è mai stata messa in discussione in caso di collasso di questo appoggio reciproco.

La prova di forza israeliana fu impressionante, persino per gli statunitensi. Il mutamento ideologico in corso in Medio Oriente vedeva la nascita del nazionalismo arabo infiammare le masse e l’unione di Egitto e Siria nella RAU (Repubblica Araba Unita).

Israele decise di procedere ad un attacco preventivo contro Siria, Egitto, Giordania e Iraq. Il momento fu propizio e l’esito persino più positivo di ogni possibile previsione. Israele era divenuta un mini-impero in soli sei giorni occupando Cisgiordania, Alture del Golan, Sinai e Gaza.

L’espansione territoriale poneva Israele al centro delle mire espansionistiche di Washington nella regione, con la possibilità di controllo estesa al territorio siriano. La prova di forza convinse l’amministrazione Lyndon B. Johnson a continuare ed alimentare la relazione clientelare con Tel Aviv che ebbe accesso ai sofisticati armamenti americani tanto agognati.

Oltre agli aiuti economici e militari a seguito della Guerra del 1967 Israele incassava il supporto statunitense e internazionale alle Nazioni Unite. Esso veniva sancito con il sostanziale riconoscimento delle conquiste territoriali fatte durante il conflitto lampo come “negoziabili”. Il risultato fu che la posizione internazionale, sancita dalla risoluzione 242 che segui il conflitto, vide la comunità internazionale esprimersi a favore del ricatto israeliano che proponeva la pace in cambio della terra sottratta.  

Conclusione

In un momento in cui lo sforzo bellico statunitense era ancora concentrato tutto sul Vietnam la politica statunitense scelse di puntare su Israele per garantire la presenza occidentale in una regione che rischiava di cadere sotto l’influenza sovietica.

Da allora la stessa politica che avrebbe dovuto tutelare gli interessi di Washington è stata spesso causa dell’instabilità profonda che permea la regione. La questione palestinese è stata storicamente strumentalizzata da vari regimi, arabi e non solo, e lo è ancora oggi.

La mancanza di un accordo per un cessate il fuco in Palestina ci ricorda che in questo momento storico la questione è secondaria per tutti se non per Israele che attraverso i suoi ministri più oltranzisti, Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir da voce alle più bestiali intenzioni sioniste che non disdegnano il genocidio per l’ottenimento del progetto di colonizzazione della Palestina.

Benjamin Netanyahu è allo sbaraglio e non ha più nulla da perdere. Gli Stati Uniti a partire dagli anni 60 hanno intrapreso un percorso che li ha condotti a legare a doppio filo la propria politica estera per il Medio Oriente al sostegno verso Israele. La destabilizzazione della regione è tale che sembra arrivato il punto di non ritorno della continua spirale di violenza che caratterizza le relazioni tra Israele e i paesi della regione.

Fabio Schembri

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