Un’artista inesauribile
Una delle peculiarità artistiche di Stanley Kubrick, che emerge immediatamente quando si tenta di analizzare la sua filmografia, è come il cineasta americano non si sia dedicato a un solo genere. Al contrario, Kubrick ha sperimentato il proprio linguaggio cinematografico in moltissimi e diversi generi. Dai film bellici come Paths of Glory e Full Metal Jacket, in cui ha espresso aspre critiche verso la macchina della guerra. Si trasferisce al noir in Killer’s kiss, passando anche per il kolossal storico con Spartacus. Come dimenticare poi il thriller con il celeberrimo The Shining, oppure il genere fantascientifico con il film spartiacque 2001: A Space Odyssey. Per completare con il filone drammatico in cui possiamo ritrovare altri capolavori del calibro di Arancia Meccanica, Lolita e Eyes Wide Shut. Kubrick si propone pertanto al pubblico come un’artista poliedrico, capace di rivisitare ogni genere impostato del cinema e renderlo imprevedibile, a sua immagine e somiglianza. Nonostante sia ritenuto uno dei più influenti registi di sempre vinse un solo premio Oscar, per gli effetti speciali di “2001: Odissea Nello Spazio”.
La rappresentazione del malessere
Nelle sue opere si trova un continuo rimando ad una condizione precaria e angosciosa dell’animo umano. Moltissimi personaggi dei film diretti da Kubrick sono infatti in guerra con se stessi, con il loro passato o con chi credono di essere. In primis lo è Alex, protagonista iperviolento di Arancia Meccanica, ma anche e soprattutto Jack Torrance, inquieto scrittore protagonista di The Shining. Tuttavia più che sui singoli personaggi, la bravura di Kubrick sta nel rappresentare la crisi con il mezzo cinematografico nella sua totalità.
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Innanzitutto la visione filmica della crisi, rappresentata direttamente a più riprese e incalzata da esaltanti colonne sonore che hanno fatto la storia del cinema. Nei film di Kubrick non c’è mai stato bisogno di un monologo esplicativo da parte di un personaggio perché, seppur contorto, il significato è da trovare nella totalità delle immagini filmate. Oltre ad una esplicita e drammatica crisi della ragione, Kubrick decide di rappresentare l’essere umano come un essere grottesco e infantile, come ne “Il dottor Stranamore” o nel finale di Full Metal Jacket, quando i soldati marciano nel Vietnam intonando la Marcia di Topolino.
Amato o odiato, Stanley Kubrick è forse l’unico regista della vecchia generazione, quella di Orson Welles per intenderci, che è riuscito a fare esattamente ciò che voleva fare con il cinema in un sogno megalomane e solitario di onnipotenza. – Marco Giusti
Falsi miti e il vero Stanley
Stanley Kubrick è stato un regista capace di rivoluzionare il cinema, interpretando tutti i generi affrontati nella maniera in cui li intendeva lui stesso. Proprio qui, per alcuni, risiede la sua grandezza. Tuttavia, come per ogni personaggio il cui nome resterà per sempre scolpito nella storia si sono diffuse nel corso degli anni alcune false credenze su di lui. Perfezionista incorruttibile, certo, ma non regista-despota e totalmente auto-referenzialista come è stato descritto a tratti. Arrivò al punto di girare la stessa scena addirittura più di 140 volte, e una semplice inquadratura di Eyes Wide Shut circa 90 volte. Descritto come estremamente riservato e schivo, Kubrick rilasciò in realtà più di 350 interviste durante tutta la sua carriera, non esattamente un eremita…
Per gli aspetti più personali e intimi del regista il rimando è all’opera autobiografica di Emilio d’Alessandro, autista personale di Stanley per circa 30 anni durante i quali ha avuto modo di conoscere come quasi nessun altro al mondo il regista americano dal 1971 al ’99. Il libro svela alcuni aspetti veramente intimi e riservati di Kubrick, come quando accolse a casa sua i figli piccoli di Emilio perché la moglie era ricoverata in ospedale. Stanley Kubrick e me non può mancare sul vostro comodino se siete amanti del cineasta lento e metodico, come lo descriveva Steven Spielberg.
Luca Pesenti