Già celeberrimo durante il Rinascimento per l’arguzia della sua satira mordace, Stańczyk è divenuto nel XIX secolo una delle figure più amate della cultura polacca. A cosa deve la propria fortuna questo giullare dalla lingua affilatissima e lo sguardo dolente?
Nel ritratto dedicatogli nel 1862 dal pittore Jan Matejko, Stańczyk siede assorto e cupo. In disparte nello studiolo, è pietrificato dal turbamento mentre alle sue spalle, in un salone, continuano la musica e il chiacchiericcio di un ballo reale. È il 1514: una missiva aperta sulla scrivania annuncia la caduta della città di Smolensk in mano ai Russi. Alla corte di Sigismondo I Jagellone tutti ne sono informati, ma nessuno sembra curarsi della notizia funesta: lui solo teme per l’avvenire del regno. Ma chi è quest’uomo? Un generale, forse? Un consigliere del re? Niente affatto: Stańczyk è un giullare. E non un giullare qualsiasi, in realtà, bensì una delle figure più leggendarie, influenti e amate della cultura polacca.
Perché Stańczyk è così amato? Per farsene un’idea, è utile rileggere il più famoso degli aneddoti che lo riguardano.
1533, foresta di Niepołomice (vicino a Cracovia): delle urla agghiaccianti fendono l’aria, facendo dello scenario idilliaco il teatro di un incubo. Terrorizzati, i membri della corte di Sigismondo il Vecchio si danno alla fuga in ogni direzione. C’è chi corre a perdifiato senza voltarsi indietro, chi sgomita, chi lascia indietro la propria dama, chi prova ad arrampicarsi su un albero. Ciascuno cerca di mettere la massima distanza tra sé e l’enorme orso che, rifiutandosi di essere la preda della caccia, si è fatto invece predatore. Che smacco per il re, che per quella bestia aveva speso fior di quattrini facendola arrivare dalla Lituania per liberarla e cacciarla nei boschi polacchi! E, di lì a poche ore, lo scorno volgerà in tragedia. Infatti la regina Bona Sforza, feritasi cadendo da cavallo durante la fuga, perderà per un aborto il figlio del sovrano.
A quanto si racconta, furioso per l’onta e per il dolore, Sigismondo I si adira anche con il fidato Stańczyk. Il buffone, a suo dire, è reo di non aver affrontato coraggiosamente l’animale, ma di essere fuggito da vile come il resto dei cortigiani. Al che il giullare, senza scomporsi, replica:
Maestà, forse è una follia fuggire per mettersi in salvo dimenticando oni dovere. Ma non è forse una follia ancora maggiore lasciar uscire un orso che, di fatto, era già in gabbia?
Questa risposta, piena di buonsenso, in realtà è più di una semplice reprimenda al gesto sconsiderato del re. In essa Stańczyk cela una non troppo velata critica alla politica estera poco lungimirante di Sigismondo I nei confronti della Prussia. Pur avendo sconfitto il Duca di Hoenzhollern, infatti, il re non aveva incorporato del tutto il suo dominio nella Corona. Una scelta che alla Polonia sarebbe costata carissima.
Un’identità incerta, ma con personalità da vendere
Ora, le informazioni storicamente attendibili che ad oggi possediamo su Stańczyk sono davvero esigue. Esse provengono, in larga parte, dall’opera dello scrittore suo contemporaneo Jan Kochanowski. Sappiamo con un ragionevole grado di certezza che visse tra il 1480 e il 1560. Di conseguenza, presumibilmente servì gli ultimi tre re della dinastia jagellonica: Alessandro, il già citato Sigismondo il Vecchio e Sigismondo Augusto. Il suo servizio, tuttavia, dovette essere molto diverso da quello di un semplice intrattenitore. Come si evince dall’aneddoto precedente, del resto, il giullare poteva permettersi di parlare liberamente con il sovrano. Uomo di grande intelligenza, Stańczyk aveva infatti una comprensione tanto profonda della situazione attuale e futura del regno da essere considerato un fine filosofo politico. Un pensatore che, anziché scrivere trattati, guidava le sorti della corona con la sua satira feroce.
L’aspetto forse più curioso della fortuna di questa figura in patria, però, è che non è del tutto certo che Stańczyk sia esistito davvero. Nel corso del Novecento, infatti, si è ipotizzato che il giullare fosse un’invenzione di Kochanowski, o addirittura di scrittori successivi influenzati da Shakespeare. Il suo stesso nome, del resto, sembra piuttosto un soprannome: il diminutivo, forse, di Stanisław. Esso, peraltro, si trova spesso accompagnato dal cognome Gąska, termine diminutivo di gęś, cioè “oca”. Parole che sembrano più adatte a dissimulare un’identità, insomma, che non ad ancorarla al suo possessore.
Come ha fatto, allora, il giullare-filosofo ad arrivare fino a noi? Quale percorso lo ha condotto dalla corte jagellonica alle statue tutte sue agli angoli delle piazze delle principali città polacche?
Stańczyk è tornato alla ribalta alla fine del Settecento per la sua preveggenza rispetto alla questione prussiana. Proprio la Prussia, infatti, aveva contribuito al tracollo della confederazione polacca, spartendosene poi i domini con gli imperi russo ed austro-ungarico. La critica che Stańczyk aveva mosso alla scelta di Sigismondo I, insieme alla sua arguzia spietata, lo aveva reso protagonista naturale della letteratura indipendentista.
Riproposto come simbolo di lotta per tutto l’Ottocento, il giullare battezzò anche una serie di pamphlet satirici ad opera di un gruppo di pubblicisti conservatori. In questi opuscoli, noti come Il Portafoglio di Stańczyk, si proponeva in via semiseria di concentrarsi sul progresso economico prima che sull’indipendenza politica. Questa idea sarebbe stata sinceramente sposata dal personaggio del Giornalista, ispirato da Rudolf Starzewski, nel dramma Le nozze di Stanisław Wyspiański. Al Giornalista, conservatore convinto ma ignavo, nell’opera Stańczyk cede il proprio caduceo di buffone, invitandolo a onorare il dovere di «scuotere la nazione». È con quest’opera dei primi Novecento che il buffone riceve la propria consacrazione a simbolo di disillusa saggezza politica.
Del resto, va notato, la fortuna di Stańczyk non riguarda la sola letteratura: essa si costruisce anche e soprattutto grazie alle arti visive. In particolare, il già citato pittore Jan Matejko fu quasi ossessionato dalla sua figura, dandogli le proprie fattezze in numerose opere. Dolente, sospettoso e scanzonato, lo Stańczyk di Matejko è diventato di fatto il volto più noto della leggenda.
Sia che, statua, sorrida sghembo in una piazza, sia che nasconda il volto in un dipinto, Stańczyk – come ogni giullare – non passa inosservato. Perché?
Il segreto di quest’invincibile fascinazione, vera tanto per Stańczyk quanto, ad esempio, per l’italiano Pietro Gonnella, è stato intuito dal filosofo Leszek Kolakowski, che scriveva:
La filosofia dei buffoni è quella che in ogni epoca mette in dubbio ciò che è considerato intoccabile. È il pensiero che rivela le contraddizioni di ciò che sembra ovvio e incontrastato. La riflessione che mette in ridicolo le evidenze del buon senso e scorge la ragione nell’assurdità.
Personaggio dai contorni sfumati, Stańczyk è diventato il ricettacolo ideale di passioni politiche di un secolo che, scaltramente, forse aveva già intravvisto. Tramontate le passioni, tuttavia, il suo fascino resta quello di una figura capace della libertà più grande: quella di ridere del potere avendolo compreso. E, con una risata, di cambiarlo. O, quantomeno, di farlo tremare quanto basta.
Valeria Meazza