Chi pensava che con la stampa 3D si potessero realizzare solo piccoli oggetti si sbagliava.
A Dubai è stato inaugurato il primo ufficio al mondo interamente realizzato con la stampa 3D. 17 i giorni impiegati, 250 i metri quadri su cui si estende e 140mila i dollari spesi. La stampante che ha permesso la realizzazione dei pezzi è alta più di 6 metri, larga 12 e lunga 36. Quando l’ho letto quasi non riuscivo a immaginarla.
La prima domanda che potrebbe sorgere spontanea riguarda la sicurezza degli edifici costruiti in questo modo, e quindi la curiosità sui materiali utilizzati. Ebbene, la speciale stampante ha utilizzato un particolare materiale, un mix di fibra di vetro e gesso, rinforzata con cemento e plastica.
Non si tratta di un progetto isolato, anzi. Quello realizzato fa parte del più ampio progetto Dubai 3D, che ha l’obiettivo di rendere la città il leader mondiale di questo particolare tipo di stampa. Pare infatti che Dubai abbia in programma di incrementare lo sviluppo di questa architettura, prevedendo che entro il 2030 il 25% di tutti i nuovi edifici degli Emirati saranno realizzati in 3D.
Va da sé che il ricorso a stampanti 3D in campo edilizio permetterà di abbattere i costi dei lavori. Basti pensare che il dispositivo è stato in grado di lavorare con la supervisione di un solo operatore, mentre i restanti 17 erano dedicati alla messa in opera della costruzione. L’edificio attualmente è la sede della “Fondazione Dubai”, ma presto diventerà il centro di riferimento per il “Museo del Futuro” della città.
Quello dunque che molti consideravano futuro si è palesato davanti ai loro occhi nell’istante in cui hanno letto dell’esistenza di tale costruzione. In rete tanti festeggiano il trionfo dell’Internet of Things, e tanti altri criticano a spada tratta queste tecnologie super avanzate che finiranno per sostituirsi agli esseri umani.
Lecite le perplessità, la diffidenza e il dubbio. Ma perché si è diffidenti? Perché, per esempio, si pensa che questo tipo di tecnologie potrebbe creare dei disagi all’uomo oppure perché – forse più semplicemente – si è poco abituati all’innovazione e al cambiamento?