Garanzia Giovani assicura un’incredibile esperienza formativa e gli stagisti non hanno il diritto di sciopero. Come non hanno alcun altro diritto. Punto.
Garanzia Giovani: un’impresa per il tuo futuro! Questo il claim dell’iniziativa di governo cui sono iscritti oggi 1.273.714 giovani. Oltre un milione di stagisti o aspiranti tali che non possono scioperare, lamentarsi, elemosinare una retribuzione da sopravvivenza, avere un giorno di ferie oppure restare a casa quando si è ammalati. Non hanno diritto alla vacanza e neppure ad essere tranquilli nel weekend o fuori dall’orario lavorativo se in ufficio c’è un’emergenza.
Lo sciopero degli stagisti è, in realtà, sono la punta dell’iceberg. Il nostro è un intero Paese in sciopero. Giorni davvero difficili ed esemplificativi delle condizioni in cui viviamo: dallo sciopero dei taxi a quello dei mezzi pubblici, passando per i lavoratori della start-up Foodora, per quelli della logistica e di Alitalia, e senza dimenticare, appunto, proprio la Giornata Mondiale dello sciopero dei tirocinanti.
Il flop di Garanzia Giovani
È da qualche anno che tramite l’iniziativa Garanzia Giovani vengono proposti migliaia di stage a giovani e neolaureati, con l’obiettivo sacrosanto di fornire un’esperienza concreta on the job e un’opportunità importante di formazione sul campo. Se non fosse, ahimè, che in tantissime occasioni tale opportunità si sia trasformata in vero e proprio sfruttamento.
Se da un lato vi sono aziende che lamentano la difficoltà nel trovare alcune figure professionali e denuncino un atteggiamento poco ‘collaborativo’ da parte dei giovani, dall’alto lato vi sono migliaia di neolaureati impegnati come minimo per 8 ore alla settimana, 5 giorni su 7 (e a volte anche di più), che svolgono un’attività lavorativa al pari di quella dei loro colleghi in azienda, che però sono stipendiati e con tanto di diritti.
Per non parlare poi dei miseri rimborsi spesa da 450 euro al mese, fondi stanziati per il progetto Garanzia Giovani ma in taluni casi erogati con ritardo oppure esauriti prima del previsto, a tutto discapito, ovviamente, del tirocinante.
Zero diritti, mille doveri
Lo stagista non ha diritti e, teoricamente, neppure doveri: non ha, ad esempio, l’obbligo di preavviso nel caso in cui volesse lasciare l’azienda. Ma figurati se uno stagista che sogna un contratto decente lascia il, seppur misero, lavoro che ha, anche quando si tratta del lavoro che non vorrebbe ma che deve accettare.
Sono tanti i datori di lavoro che fanno leva su tale aspetto per giustificare l’investimento che l’azienda decide di non fare sullo stagista, della serie: “Non mi conviene formarlo perché potrebbe andare via in qualsiasi momento”.
E allora perché non proporre al giovane una condizione lavorativa più stabile, così che possa essere motivato ad imparare e a restare in azienda?
Per risparmiare, naturalmente!
Molte aziende oggi sono più interessate ad abbassare i costi qui e ora anziché investire qualche euro in più nelle persone che vi lavorano, a tutto discapito, ovviamente, della qualità del lavoro e della mancata innovazione che un giovane potrebbe portare oggi nelle piccole e medie imprese italiane, che stanno pagando a caro prezzo il gap digitale se le si paragona alle realtà europee di medesime dimensioni.
Le politiche del lavoro
Purtroppo il problema non riguarda solo i neolaureati o gli iscritti a Garanzia Giovani. Questo approccio miope delle aziende nei confronti dei lavoratori produce delle conseguenze a catena anche sui livelli più alti se parliamo di competenze ed esperienze. Anche il lavoratore medio ha difficoltà nel cambiare lavoro per migliorare la propria posizione, proprio a causa di candidati dalla più flessibile (e talvolta anche sfruttabile) situazione lavorativa.
L’approccio miope dei datori di lavoro riflette in questi casi il comportamento comune anche a istituzioni, enti di formazione ed associazioni che dovrebbero difendere il valore del lavoro e dei lavoratori, e che invece si vendono con facilità di fronte alla promessa di ricevere fondi pubblici o finanziamenti direttamente proporzionali al numero di stagisti ‘occupati’.
Annachiara Cagnazzo