Srebrenica: il genocidio nel cuore dell’Europa

Srebrenica

Srebrenica: il genocidio nel cuore dell'Europa

Srebrenica è il simbolo più sanguinoso delle guerre Jugoslave degli anni 90, qui avvenne il peggior massacro di quei conflitti. Tra l’11 e il 19 luglio del 1995 le forze serbe di Bosnia ed Erzegovina guidate dal generale Mladić, trucidarano circa 8000 ragazzi e uomini musulmani bosniaci

Il dissolversi della Jugoslavia, a partire dal 1991, rese la miscela di etnie e religioni in Bosnia Erzegovina, pericolosamente infiammabile. Rapidamente infatti il territorio s’incendiò. A Srebrenica, drasticamente e irrimediabilmente.

Più di 100 mila persone morirono nello scontro sanguinoso tra Serbi ( 30-32% della popolazione) Croati (18%) e musulmani Bosniaci ( “bosgnacchi” -50-52% della popolazione). Nel 1992 il conflitto politico si trasforma in guerra civile, in un clima di pungenti sospetti reciproci: Croati e Musulmani temevano che i Serbi si volessero unire a ciò che restava della Jugoslavia; Serbi e Croati, a loro volta, che i Musulmani volessero far leva sulla maggioranza etnica per costituire uno stato unitario.

Ovunque, nel quadro fortemente instabile, Serbi, Croati e Musulmani convivevano. Un intreccio di popoli, la cui divisione prevedeva la strage.

Quando il nodo si sciolse, emerse la catastrofe

I serbo bosniaci presero le armi per dividere la Bosnia secondo demarcazioni a loro il più possibili favorevoli. Ferocemente, la nefandezza del conflitto consumò tutte le parti  e il punto di svolta psicologico fu rappresentato dalla prassi della “pulizia etnica” iniziata dai serbi ma praticata anche dalle altre parti in conflitto, ciascuna in misura del potere militare di cui disponevano. 

Dove prevalsero i serbi, scomparve la presenza croata e musulmana, dove prevalsero questi ultimi scomparve la parte nemica. Fu una cancellazione totale, di esistenze e umanità.

Seppure largamente vincitori sul terreno fino al 95, i serbi non riescono a concludere vittoriosamente la guerra, i musulmani si organizzano e si rafforzano grazie anche alla solidarietà del mondo occidentale. Ingente è il numero di vittime tra l’aprile e il luglio del 1992, seguito da una lunga calma bellica. I Serbi rinunciano a conquistare la Bosnia centrale musulmana e l’erzegovina croata, ma sono in scacco anche nella Bosnia orientale quasi tutta in mano loro tranne tre fastidiose enclave, tra cui, Srebrenica. 

Il generale Mladic e l’intellettuale Karadzic, capi di fatto dell’esercito serbo, soffrono dell’opinione occidentale sempre più a loro sfavore e soprattutto i problemi causati dalle enclavi.

La risposta di Mladic fu il principio dello sterminio storico: l’11 Luglio 1995 ebbe inizio l’attacco a Srebrenica

I caschi blu nell’enclave, contingenti olandesi dell’UNPROFOR, non combattono, la loro inerzia sta nella palese inferiorità alle forze serbe.

Nessuno ancora immagina quanto illimitata possa essere l’espansione della violenza




Le truppe serbe, catturarono migliaia di uomini e ragazzi, tra i 12 e i 70 anni, e li destinarono all’esecuzione. Struprarono brutalmente migliaia di donne. Deportarono altrettanti anziani e bambini. Nei fatti, i caschi blu divennero immediatamente ostaggi nelle mani dell’esercito serbo, segnando l’esplicito fallimento dell’agire della comunità internazionale. L’enclave era infatti stata dichiarata dal 1993 “zona protetta”, ma ai Caschi Blu, 150 ragazzi, che avrebbero dovuto occuparsi della smilitarizzazione e impedire l’attacco serbo, non furono dati dalle risoluzioni Onu votate fino a quel momento, i mezzi per agire. 

Circa 15.000 bosniaci, fuggirono nei boschi intorno all’enclave, una marcia tragica tra le mine. Nel terrore, il resto della popolazione cercò rifugiò intorno alla base delle Nazioni Unite, nella speranza vana che le forze di pace li proteggessero. 

I boschi intorno a Srebrenica, si fecero palcoscenico di una spregiudicata caccia  ai Bosgnacchi in fuga, uccisi uno ad uno dai serbi. Gli stessi, accumularono i corpi in fosse comuni,  tentando di nascondere le prove del genocidio. Nonostante le riesumazioni e le vittime identificate, molte ancora mancano all’appello. 

Durante il conflitto 4 piani di pace sono stati proposti dalla comunità internazionale e rifiutati dalle parti, tutti 4 prospettarono una divisione a metà della Bosnia, ciò che grossomodo avverrà a Dayton nel 95: i serbi avranno il 49% del territorio, musulmani e croati federati il 51%.

Sono trascorsi precisamente 27 anni dall’infernale settimana che spense il cuore di Srebrenica

Chi è sopravvissuto a Srebrenica, non può avere sentimenti in corpo” racconta lo strazio di un detto locale

Nel 2007, una sentenza della Corte internazionale di giustizia, ha stabilito che il massacro, commesso con lo specifico intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi, costituisce un “genocidio”. Mladić e Karadžić sono stati condannati all’ergastolo.

Nessuna azione di tale portata mortale conosce valida giustificazione

Eppure al compiersi di ogni tragica storia corrispondo motivi e l’azione di Mladic riscontrò i suoi, in primis, in un atto di vendetta: i difensori di Srebrenica avevano incessantemente attaccato i villaggi serbi circostanti. L’atto di forza, riconosciuto come unico capace di servire una lezione al nemico e spingerlo ad accettare i trattati, fu una tremenda punizione.

In secondo luogo, Srebrenica e il suo tragico passato sono l’espressione tangibile di una rabbia profonda. Una guerra cui nessun negoziato poneva fine, nonostante il dramma abbia dissipato per anni l’anima dell’Europa. Il mancato riconoscimento da parte della comunità internazionale delle conquiste realizzate dai serbo-bosniaci rappresentò una dolorosa forma di logoramento.

Tra la macerie, si stabilì la sorveglianza armata della Nato, ma è fallito il compimento del necessario: il percorso verso la creazione di una concreta coesistenza multietnica. 

Nella Bosnia di oggi, della guerra si continua a parlare e farne memoria per onorare le vittime. Ma la memoria per farsi insegnamento dev’essere comune, universalmente riconosciuta. Ancora oggi invece questa soffre di una patologia diffusa, tutti ricordano, ma ognuno a favore della propria parte.

È il passo stanco della miopia cognitiva, che prosegue verso una irreversibile amnesia.

Giorgia Zazzeroni

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