Non turisti, ma plastica. A invadere le splendide spiagge di Bali non sono più folle di bagnanti, ma tonnellate di detriti, trasportati dal maltempo della stagione invernale. Abitanti e autorità locali lottano per preservare le bellezze naturali dell’isola ma, denunciano, la situazione è diventata insostenibile ed è destinata a peggiorare.
La “stagione dell’immondizia”
Non ci saranno più le mezze stagioni, ma se ne stanno creando di nuove. E non è un buon auspicio: il periodo che va da novembre a marzo potrebbe essere ribattezzato “stagione dell’immondizia”. In questi mesi, infatti, l’Indonesia è attraversata da forti monsoni, che riversano le montagne di plastica presenti in mare sulle sue coste. Questo accade in particolare sull’isola di Bali, dove la popolazione ha trascorso i primi giorni del 2021 a raccogliere rifiuti nelle località di Kuta, Legian e Seminyak.
Al termine delle molte ore di lavoro prestate da volontari e agenzie specializzate, i detriti rinvenuti sulle spiagge di Bali ammontano a 90 tonnellate. E la plastica continua ad arrivare.
Un fenomeno sempre più grave
Sfortunatamente, quanto accaduto quest’anno non è un caso isolato. Lo conferma Denise Hardesty, ricercatrice ed esperta di inquinamento globale da plastica:
Non si tratta di un fenomeno nuovo, accade ogni anno ed è cresciuto nell’ultimo decennio. I rifiuti sulle spiagge aumentano in linea con l’aumento globale della produzione di plastica.
L’inquinamento delle acque è un problema serio in Indonesia. Nel novembre 2018, una balena fu trovata morta vicino all’isola di Kapota, nel parco nazionale di Wakatobi, con 6 chilogrammi di bottiglie e buste nello stomaco.
I provvedimenti del governo
Tenere il passo con questa marea di spazzatura sta diventando difficile. L’ambiente marino e l’economia del paese potrebbero subire danni irreversibili. Ecco perché, a fine 2018 il governatore balinese Wayan Koster ha annunciato la messa al bando di polistirene, buste e cannucce. Mentre nell’aprile 2020, il governo indonesiano ha lanciato un piano d’azione nazionale. Fra gli obiettivi, quello di ridurre del 70% i resti di plastica negli oceani entro il 2025 e quello di liberarsi dell’inquinamento da poliuretano entro il 2040.
Le cause dell’inquinamento
Ma la colpa non è solo dei monsoni. Se le spiagge di Bali sono invase da immondizia è anche a causa del turismo, dell’inquinamento globale in costante aumento e della cattiva gestione dei rifiuti nella zona. In uno studio di Science del 2015 sui 20 Paesi che smaltivano peggio le scorie di poliuretano, l’Indonesia si classificò seconda. Nel 2010 il paese ha prodotto 3,2 milioni di tonnellate di plastica, di cui circa la metà è finita in mare. Vi è, inoltre, una scarsa consapevolezza del ciclo di vita di un oggetto, da quando lo si getta a quando questo viene depositato a riva, sotto forma di spazzatura.
Qualcosa sta cambiando
Alcuni balinesi stanno cominciando ad agire in modo concreto. Come le due sorelle Melati e Isabel Wijsen, che sei anni fa hanno fondato Bye Bye Plastic Bags. Oppure EcoBali, un’azienda si occupa della separazione dei materiali in organici e non. Infine, c’è AvaniEco, l’impresa che ha sviluppato una busta di plastica e dei contenitori per cibo biodegradabili e una cannuccia fatta con cassava, una radice vegetale ricca di amido. Sembrerebbe che qualcosa stia iniziando a muoversi, anche perché gli esperti prevedono un peggioramento del fenomeno, che potrebbe trasformarsi in una vera e propria catastrofe. È quindi necessario un intervento tempestivo delle autorità locali, ma non solo. Le isole di plastica che punteggiano i nostri oceani sono il risultato di un’irresponsabilità collettiva, che presto potrebbe colpire tutto il mondo, non solo i paesi in via di sviluppo. È importante rimediare all’imperdonabile negligenza che abbiamo avuto finora.
Alessia Ruggieri