Soylent Green: il cibo del futuro è nella soia!
(O forse, questo è ciò che vorranno farci credere?)
Partiamo dalla fine del film: in “Soylent Green” c’è qualcuno che muore – e qui nulla di nuovo, c’è quasi sempre uno sfortunato personaggio a cui tocca il ruolo di “quello che muore nel film” – e infatti il particolare è come, muore: entrando al “Tempio” – una clinica splendente e luminosissima – si sottopone a eutanasia. Disteso in un lettino, si gode lo spettacolo che scorre sugli schermi giganteschi che lo circondano: sono immagini della natura.
Immagini semplici – nessun paesaggio mozzafiato, niente spiagge tropicali, né vette maestose che si confondono fra le nubi – bensì campi di fiori che lentamente, placidi, si muovono nel vento; e cerbiatti, che si guardano attorno ignari dello spettatore; in sottofondo una melodia – musica classica, precisamente sinfonie soavi di Tchaikovsky e Beethoven – ad accompagnare la fine del personaggio in questione, il quale felice, finalmente lascia questo mondo.
Soylent Green (in Italia “2022: i Sopravvissuti”: piuttosto banale forse, in confronto al titolo ad effetto dell’originale) è dunque una pellicola distopica, uscita nel 1973 e ispirata al romanzo di Harry Harrison “Make Room! Make Room!” (“Largo! Largo!”). Altrimenti traducibile come “Fate spazio! Fate spazio!”, dal momento che tanto nel film quanto nel libro, la Terra è sovrappopolata e le risorse sono in esaurimento.
“E la popolazione raddoppia, e raddoppia ancora, e continua a raddoppiare. Sempre più velocemente. La gente è una epidemia, un flagello che infesta il mondo.”
[dal romanzo di Harrison]
Probabilmente inutile a dirsi, ma manca persino il cibo, così come scarseggia l’acqua: un pezzo di manzo è conservato in cassaforte, mentre si può vedere l’acqua scorrere solamente nelle case dei ricchi.
“Cibo alternativo” nel 2022
Il 2022 non è così distante da noi, così come non lo sono affatto neppure le idee di cibi “alternativi” per sopperire le richieste di una popolazione mondiale costantemente in crescita.
Come suggerisce il titolo in inglese, per soddisfare popoli affamati la soluzione dei governi e delle corporazioni sono le tavolette soylent: il termine unisce soy – la soia – e “lent”, da lentils – ossia le lenticchie.
Una realtà totalmente diversa quindi, dalle recenti proposte della carne “beyond meat” o quella del “pesce vegano” discusse attualmente, e sicuramente un’opzione che diventerebbe la gioia dei vegetariani.
(Però scordatevi frutta e verdura fresche: il protagonista affonderà per la prima volta nella sua vita i denti in una mela, solamente a metà del film).
Compare comunque un nuovissimo tipo di soylent sul mercato: si dice sia fatto di plancton, e incessanti slogan lo pubblicizzano come decisamente più gustoso e soprattutto nutriente, rispetto ai precedenti soylent rosso e giallo. Le masse affamate si scatenano in rivolta, ognuno pretende la propria razione di soylent green, e i sottoprodotti (briciole, rimpasti) sono merce di contrabbando per chi non può permettersi le gallette integre. C’è però qualcosa che non quadra con la produzione del soylent a partire dal plancton, e un plico di rapporti di oceanografia (che solamente un numero ristretto di persone è ancora in grado di leggere, il resto è analfabeta) servirà a chiarire la faccenda, parallelamente alle indagini del detective protagonista.
Qualche sparatoria e combattimento alla Bud Spencer e Terence Hill quindi (gli anni sono quelli in fondo…) movimentano la vicenda del poliziotto protagonista, insieme alla sua relazione amorosa con un pezzo d’arredamento. L’altra particolarità del film è infatti che le donne – quelle giovani e bellissime, certamente non il donnone col grembiule zozzo che reclama la sua dose di soylent in piazza – costituiscono parte del mobilio, e quando qualcuno muore e lascia un appartamento, passano al proprietario successivo esattamente come i divani e i tavolini…
In tutto questo misero scenario, persino la plastica – quella che oggi viene abolita con grandi applausi ogni giorno in una città diversa – è diventata rara, venduta sul mercato nero quasi fosse un’antichità introvabile.
Infine, possiamo riconoscere anche delle specie di centri profughi: chiese, parrocchie hanno difatti assunto definitivamente questa funzione; la gente è ammassata indistintamente a terra, sul pavimento, allo stesso modo degli immigrati che vengono mostrati sbarcare sulle nostre coste.
Siamo salvi allora!
Insomma, il 2022 non è poi così distante da noi, ma possiamo stare tranquilli: fino a qui, il film pare non averne azzeccata una: nel mondo di oggi ci sono donne sempre più “emancipate”, la plastica è una vergogna da cui prendere le distanze, carne, pesci ce li abbiamo – sintetizzati in laboratorio – e per adesso, è solamente un emisfero del mondo a patire la fame.
E invece la particolarità maggiore della storia di Soylent Green rispetto alle catastrofi a cui siamo abituati al cinema e in televisione, consiste proprio nell’offrire uno scenario diverso – nessuna inondazione, né tempeste solari o altre “fini del mondo” a sterminare la popolazione – eppure al contempo spaventosamente simile alle previsioni degli scienziati odierni – quelli che si basano su dati, analisi, rilevazioni anziché sulle stime del successo di una pellicola fra gli spettatori.
2012, epidemie di zombie, glaciazioni, asteroidi, estinzioni di massa… Al contrario, la Terra continua ad esistere, il genere umano pure – per quanto imbruttito dalla povertà e dalla lotta all’ultima galletta di soylent – e i problemi maggiori sono quelli che abbiamo sotto gli occhi già da tempo ormai: fame, prosciugamento delle risorse, surriscaldamento globale – e tanta, tanta corruzione.
“…Mi sta distruggendo.”
“Che cosa?”
“La verità.”
“La verità che vi ha confessato Simonson?”
“Tutta, la verità.”
[Dialogo fra un prete e il detective protagonista]
“Lo so, lo so. Quando eri giovane, le persone erano migliori.”
“Ah, balle. La gente è sempre stata corrotta. Però il mondo era bello.”
[altra scena del film]
In definitiva, un film per mostrarci concretamente – in maniera tangibile – ciò a cui stiamo probabilmente andando incontro.
Alice Tarditi