Francesca de Carolis
“Poiché la fotografia è contingenza pura e poiché non può essere altro che quello (è sempre un qualcosa che viene rappresentato)- contrariamente al testo il quale, attraverso l’azione improvvisa di una sola parola, può far passare una frase dalla descrizione alla riflessione- , essa consegna immediatamente quei particolari che costituiscono precisamente il materiale del sapere etnologico”.
Roland Barthes, ne La camera chiara.
Quasi stupefatto di quanto una fotografia può rivelare, permettendo di accedere a un “infra-sapere” affollato di “oggetti parziali” … un sapere da assaporare con “gusto amoroso”.
“Nello stesso modo- continua- io amo certi aspetti biografici che, nella vita di uno scrittore, mi affascinano al pari di certe fotografie; ho chiamato questi aspetti biografemi; la Fotografia ha con la Storia lo stesso rapporto che il biografema ha con la biografia”.
Rileggo le pagine di Roland Barthes, dopo aver scorso le immagini di un “pantheon molto personale e democratico”. Quello che Pietro Basoccu, medico pediatra fotografo nato in terra d’Ogliastra, ha idealmente creato per gli artisti della sua terra. Gens Ilienses. Sessantacinque ritratti per un pantheon molto personale, certo, e davvero molto democratico: ci sono pittori, ceramisti, scultori, attori, scrittori, scrittrici, poeti, un tatuatore, una stilista …. qualcuno ben noto, qualcuno che noto non è se non per la propria gente… E cos’è l’arte, cos’è un artista… se ogni gesto, ogni cosa, ricomposti e restituiti nella bellezza possono essere arte… e sono mani e pensieri d’uomini e di donne…
E nei loro volti incorniciati nel riquadro di brevi sfondi, ricchi o scarni degli elementi che a quelle storie appartengono e le identificano, ritrovo l’infra-sapere di cui parla Barthes.
Un infra-sapere affollatissimo con il quale Pietro Basoccu racconta la sua terra. Che è sempre per lui anche un modo per raccontare il mondo.
Sono stati i volti, gli occhi, le ombre, ritratte nella quotidianità di dettagli di un carcere della Sardegna, a inchiodarmi per la prima volta, alcuni anni fa, davanti alle sue fotografie. Catturata, allora, da quelle immagini in bianco e nero che, pensai, meglio non avrebbero potuto dipingere un’ossessione fatta di ruggine, ferro e silenzi, e raccontare l’indecenza che è di tutte le carceri del mondo. Da subito affascinata dalla particolare e universale verità delle immagini di Pietro Basoccu, ho seguito per come ho potuto i suoi lavori, che instancabilmente, scatto su scatto, rigorosamente sempre in bianco e nero, narrano la sua terra ma anche il suo tempo tutto, attraverso storie, che sempre sono sguardi, volti, indimenticabili volti.
Come quando svelano l’intimità di una casa-famiglia che non riesce ad allontanare da chi vi abita il pensiero della prigione, profili intrappolati nel labirinto della vita, o come quando si offrono a chi osserva come gli splendidi centenari della terra d’Ogliastra. Un fotografo sociale, ho letto, ama definirsi Basoccu…
E questo suo ultimo pantheon, “volti di artisti, intellettuali alcuni conosciuti, altri meno ma per le comunità che abitano, grazie alle loro opere o al loro ingegno vengono riconosciuti come artisti, alcuni con cui ho collaborato, altri non ogliastrini che ho incontrato nel mio girovagare fotografico in terra sarda e che d’imperio sono finiti in questa galleria”… non può che essere letto come il seguito dei lavori precedenti.
Perché approdo di un cammino che tutto lega. Attraverso volti anche quando volti non ci sono, come la narrazione di casa Lola (“scavo” fotografico di qualche anno fa). Dove, presentissima assente, aleggia l’anima di quell’incredibile artista che è stata Maria Lai, con la sua arte tessuta di fili… Regina delle Janas, forse, come sorriso di jana (le fate dei boschi di Sardegna) svelano i volti delle artiste che Basoccu ferma nelle immagini della sua ultima ricerca.
E in queste ferie d’agosto, è possibile incontrarle, le janas di Basoccu, insieme a tutti gli altri artisti di questo suo pantheon arbitrario, sul lungomare di Santa Maria Navarrese, sulla cosa del nuorese… allestite lungo il muro ai piedi dell’antica chiesa della frazione a mare di Baunei.
E sorrido leggendo che Basoccu dichiara che di provocazione si tratta, a iniziare dal titolo, che farebbe storcere il naso ai dotti latinisti: l’avevate notato? “gens singolare (intendendo la famiglia tutta della gente d’ Ogliastra) e Ilienses plurale (come la varietà dei paesi ogliastrini con la varietà dei costumi dei loro abitanti)…”.
“E’ tutto un pretesto per raccontare che non esistono confini e, fotograficamente parlando, neppure gerarchie”. Ed è ancora narrazione che è sempre sguardo anche sul mondo attraverso quella briciola di segreto della vita che in ciascuno è. Ché nel particolare è il tutto. Ché “la Fotografia ha con la Storia lo stesso rapporto che il biografema ha con la biografia”, per tornare a Barthes…
Pensando all’Ogliastra che è isola nell’isola, che attraverso i suoi volti Pietro Basoccu così profondamente racconta. E non stupisce che mai, ma proprio mai, nelle sue immagini ci sia l’ombra di una briciola di quei luoghi comuni che fanno della Sardegna il folklore. E che dalla verità spesso allontanano. Pensando all’Ogliastra, che un po’ ho conosciuto, isola nell’isola, e come tutte le isole, ne sono da tempo convinta, hanno in sé tutto il mondo…
Un fotografo sociale, ho letto, ama definirsi Basoccu. Ma soprattutto mi viene da pensare al suo sguardo di medico pediatra. E che bella cosa per i suoi pazienti bambini avere di fronte lo sguardo di questo medico… che negli occhi di ciascuno sa vedere l’unicità di ognuno, che dal tutto si distingue e del tutto fa parte. E questa universale unicità a ciascuno sa restituire…