Sette le costole rotte, molti i segni di scariche elettriche sul pene, diverse le ferite da traumi su tutto il corpo e ancora abrasioni, bruciature e un’emorragia cerebrale questo è il responso di quanto è risultato dall’autopsia effettuata dai medici egiziani sul cadavere di Giulio Regeni subito dopo il ritrovamento.
Per chi non lo ricordasse Giulio Regeni era un brillante ricercatore italiano che studiava all’Università di Cambridge che dopo aver lavorato per un periodo all’ONU nell’ambito dello sviluppo industriale, stava per conseguire un dottorato di ricerca al Girton College. Era in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani all’Università americana del Cairo e in alcuni articoli pubblicati dall’agenzia di stampa Nena raccontava la situazione instabile e difficile del Paese in seguito alla rivoluzione egiziana del 2011.
Il giovane ricercatore friulano è stato rapito il 25 gennaio scorso, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, e il suo corpo devastato è stato ritrovato il 3 febbraio in un fosso lungo l’autostrada Cairo-Alessandria che costeggia il deserto in circostanze ancora avvolte da un impenetrabile mistero.
La morte esiste solo quando la gente smette di essere ricordata e Giulio non può essere dimenticato, lo sa bene El Teneen, uno dei più importanti street artist egiziani, che ha realizzato uno spettacolare graffito ispirato al volto di Giulio per continuare a parlare di questo gesto feroce perché non venga sotterrato negli abissi di una memoria ignorata.
Accanto al viso sorridente del ricercatore compare una scritta in arabo di color rosso sangue affinché nessuno possa ignorare e tutti leggere “Giulio è uno di noi ed è stato ucciso come noi”, parole amare che lacerano fino alle viscere ma irrinunciabili per chiedere giustizia, lo street artist ha scelto di riprendere proprio questa frase perché la più popolare tra gli hashatg che circolavano durante i giorni della notizia dell’uccisione di Giulio, l’iniziativa del writer dall’Egitto arriverà anche nelle strade di Berlino.
Il caso Regeni purtroppo è tutt’altro che un caso isolato in Egitto e a dimostrarlo sono i dati dell’associazione Amnesty International, solo nel 2015 nel paese governato da al-Sisi ci sono stati 1100 casi di tortura, di cui 500 con conseguenze mortali, oltre a diverse centinaia di sequestri, e nel 2016 si sono registrati già 88 casi di tortura e 8 morti, l’associazione per non permettere che anche questo ennesimo omicidio finisca nell’oblio ha dato così inizio a una campagna mediatica Verità per Giulio.
Ecco perché in Egitto i graffiti diventano un indispensabile strumento di comunicazione per le persone, nonostante debbano fare continuamente i conti con serrati controlli della polizia in un clima di forte censura che vuole mortificare, umiliare e limitare le più grandi espressioni di libertà dell’essere umano, il genio creativo, la ricerca della verità, il desiderio di giustizia.
La libera espressione non è certo una priorità dell’attuale governo eppure la gente non si arrende continua la propria battaglia ed è raccontando e denunciando sui muri quello che accade che questa gente riconquista il potere della propria voce a colpi di creatività.