Ammirata da Napoleone Bonaparte, da Luigi XVIII, dall’aristocrazia e dal popolo di buona parte dell’Europa occidentale, Sophie Blanchard fu la prima donna aeronauta professionista. Solitaria e intrepida, iniziò a volare per amore e non smise più fino alla morte, avvenuta nel 1819 per un incidente. In molti – tra cui anche Charles Dickens – commentarono che se l’era cercata: le donne, si sa, non sono fatte per cose troppo alte. Parlava l’invidia: non era certo per tutti, specialmente allora, dimorare tra le stelle e contemplare incantati il mondo dall’alto. Né morire, cosa che prima o poi tocca a tutti, in una pioggia di fuochi d’artificio.
Parigi, 6 luglio 1819. Un pallone aerostatico in fiamme, lacerato, precipita a tutta velocità verso i tetti di Rue de Provence dopo una rocambolesca partenza dai Tivoli Gardens. A bordo, una donna lotta per liberarsi dal viluppo di corde che la intrappola: è Sophie Blanchard, la prima donna aeronauta professionista. Accade tutto in pochi secondi: la cesta colpisce un tetto e Sophie viene sbalzata fuori, atterrando dopo un volo di diversi metri sul selciato. I soccorritori e i curiosi che hanno visto il pallone prendere fuoco e sentito il rumore dell’urto le si fanno intorno veloci. Purtroppo, però, risulta subito evidente che non c’è nulla da fare: la donna è morta sul colpo. Nei suoi occhi spenti, il cielo splende dei fuochi d’artificio che portava con sé a bordo per lo spettacolo di quella sera, innescati dalle fiamme. Un ultimo tributo a un’eroina di Francia e d’Europa.
Ma chi era davvero Sophie Blanchard?
Nata a Trois Canons, vicino a La Rochelle, il 25 marzo 1778 in una famiglia protestante, della giovinezza di Sophie Blanchard si sa davvero poco. Forse diversi conoscenti dell’epoca erano convinti che Marie Madeleine Sophie Armant – il suo nome da nubile – fosse destinata al convento o a un’infelice zitellaggio. Infatti, esile com’era e coi tratti affilati, quasi da uccello, non era una bellezza; per giunta, non aveva nemmeno un carattere facile. Schiva e nervosa, si accendeva come una miccia assai di frequente; inoltre, la terrorizzavano le carrozze e i rumori forti e improvvisi. Magari qualche maligno, involontariamente profetico, si sarà addirittura spinto a dire che né le società né la Terra erano posto per lei. Sophie, complice un matrimonio tutt’altro che consueto, li avrebbe sorpresi (e zittiti) tutti quanti, preferendo al crocefisso l’idrogeno, la tela e una cesta. Sophie, insomma, scelse di volare.
Padrona dei cieli per uno scherzo del destino: il matrimonio con Jean Pierre Blanchard
Eppure, nella scelta di volare compiuta da Sophie non solo il suo carattere eccentrico ma anche il destino potrebbe aver giocato un ruolo non indifferente. Infatti, leggenda vuole che quando, nel 1794, a sedici anni la ragazza sposò il celebre inventore Jean Pierre Blanchard, insieme stessero onorando una promessa passata. Perché Sophie a Blanchard, in realtà, gli era promessa già da poco prima di nascere. Com’è possibile?
Prima di attraversare in volo per primo la Manica e compiere imprese ammirate perfino in America da George Washington, Blanchard era stato un infaticabile viaggiatore. Durante una delle sue peregrinazioni, essendosi ammalato, era stato costretto a fermarsi proprio a Trois Canon. Una contadina in avanzato stato di gravidanza, la madre di Sophie, si era presa cura di lui e Blanchard, guarito, le aveva fatto una promessa. Cioè che, se Madame Armant avesse partorito una bambina, lui l’avrebbe presa in sposa al compimento del sedicesimo anno di età. Probabilmente, Blanchard scherzava: del resto, poco tempo dopo avrebbe sposato Victoire Lebrun. Rimasto prematuramente vedovo, però, non si sa come, il destino bussò alla sua porta quando ormai era un aeronauta ammirato in Europa e oltreoceano. Tornato a Trois Canon, prese in moglie Sophie, facendola diventare una leggenda.
Il primo volo e tutti gli altri: come Sophie Blanchard divenne Sophie Blanchard
Il matrimonio fu felice, ma scalcagnato. Il pioniere dell’aeronautica, infatti, era abilissimo nel farsi pubblicità e ottenere appannaggi, ma aveva un disastroso senso degli affari. Tra spese per le ascensioni e investimenti in invenzioni fallimentari, la coppia era perennemente sull’orlo della bancarotta. Alla fine del 1804, in particolare, il tracollo sembrava ormai inevitabile, quando a Jean Pierre venne l’idea di rendere la moglie un’aeronauta. Vedere una donna a bordo di un pallone aerostatico, infatti, all’epoca era cosa rarissima, capace di attirare vere e proprie folle. Del resto, solo Citoyenne Henri ed Élisa Garnerin avevano osato cimentarsi, dopo Madame de Lagarde, la Contessa di Podenas e la Marchesa di Montalembert, nell’aeronautica. Così, il 27 dicembre 1804 per la prima volta Sophie Blanchard accompagnò il marito, sorvolando con lui Marsiglia. E scoprendo, con sorpresa di entrambi, di trovarsi molto più a proprio agio nel cielo che a terra.
Sapientemente addestrata dal marito, Sophie compì una seconda ascensione con lui nella primavera del 1805. E nell’estate dello stesso anno Jean Pierre la ritenne ormai pronta per volare da sola. Il 18 agosto, Sophie Blanchard ascendeva in solitaria dal chiostro della chiesa dei Giacobini a Tolosa, inaugurando la propria carriera da aeronauta professionista. Con Jean Pierre, che la considerava sua pari, da lì al 1808 avrebbe compiuto numerosi esperimenti, come spettacoli pirotecnici aerei e lanci con il paracadute. Tale sodalizio, però, s’interruppe con un incidente che Jean Pierre ebbe con il suo pallone a L’Aia per una celebrazione alla presenza di Luigi Bonaparte. Prontamente soccorso dai medici del Re d’Olanda dopo essere precipitato, Blanchard rimase gravemente menomato. Pur venendo assistito amorevolmente da Sophie, che diede fondo a tutti i risparmi per trovare una cura, Jean Pierre sarebbe morto il 7 marzo 1809.
Una donna che guardava, sola, il mondo dall’alto
In severe difficoltà economiche dopo la morte di Jean Pierre, Sophie Blanchard aguzzò l’ingegno e tirò la cinghia per continuare a volare. Anzitutto, ai palloni ad aria calda preferì la soluzione, più frugale, di un piccolo pallone a idrogeno. Inoltre, per ascendere più velocemente, si costruì una cesta a misura del suo fisico minuto, poco più grande di una sedia e leggerissima. La velocità era un fattore cruciale: il suo, Sophie lo sapeva bene, era un mestiere di spettacolo. Il pubblico accorreva (e pagava) per vedere azione, non per annoiarsi con bibliche attese. Del resto, a più d’uno dei suoi colleghi era capitato di rischiare il linciaggio quando c’erano stati problemi tecnici a rallentare la performance. Un’esperienza che l’aeronauta non era affatto ansiosa di provare.
Del resto, quando il suo vascello volante si staccava dal suolo, per Sophie era un autentico sollievo: ritrovava il silenzio e la pace. Il mondo, che da terra le sembrava così frenetico e rozzo, in volo acquisiva una dimensione sopportabile: da quella prospettiva, le era possibile contemplarlo. Né, peraltro, interessante era soltanto ciò che si trovava in basso. A poco a poco, anche a causa delle laute entrate che le garantivano gli spettacoli pirotecnici, Sophie Blanchard si era specializzata nel volo in notturna. Cioè, in fin dei conti, nell’arte di dimorare tra le stelle navigando oltre un mare di nubi.
Il favore dei sovrani
Come ha potuto – è legittimo chiedersi – una donna tanto schiva ottenere il favore di Napoleone Bonaparte e, successivamente, dei fautori della Restaurazione? Anche in questo caso il destino sembra aver cospirato a favore di Sophie Blanchard. Prima ancora della morte di Jean Pierre, infatti, Sophie aveva potuto beneficiare delle disgrazie di un rivale, André-Jacques Garnerin. Costui era costato a Napoleone una figuraccia che aveva fatto morire dal ridere i suoi detrattori. Infatti, incaricato di celebrare l’incoronazione a Parigi con un’ascensione, non riuscendo a controllare il proprio pallone era scomparso, andando a precipitare nel lago di Bracciano. Così, informato della perizia della moglie di Blanchard, Bonaparte volle subito avere al proprio servizio la prima donna aeronauta professionista della Storia. Che, divenuta Aeronauta delle celebrazioni ufficiali, si esibì in occasione del matrimonio con Maria Teresa D’Austria, nonché per la nascita e il battesimo del primogenito.
Del resto, sembra che la natura dell’incarico di Sophie Blanchard sotto Napoleone andasse ben oltre le celebrazioni ufficiali. In qualità di Capo Ministro dell’Aeronautica, la donna avrebbe dovuto aiutare il sovrano a pianificare una invasione aerea dell’Inghilterra. Piano che, con scorno di Bonaparte, non poteva concretizzarsi perché – come Sophie fece notare – i venti che spiravano sulla Manica rendevano impossibile una simile impresa.
Questi incarichi, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non resero Sophie Blanchard invisa alla Restaurazione. Anche perché quando Luigi XVIII, il 4 maggio 1814, entrò a Parigi per essere reinsediato sul trono, lei fece l’unica cosa che c’era da fare. Da navigata donna di spettacolo qual era, si sistemò su Pont Neuf e accompagnò con un’ascensione il corteo trionfale. Inutile dire che Luigi rimase tanto colpito dalla sua performance da averla nominata Aeronauta Ufficiale della Restaurazione prima ancora di smontare da cavallo.
L’ultimo volo
Probabilmente, il destino che l’accompagnava dalla nascita quella sera del 6 luglio 1819 l’attendeva già accucciato nella cesta accanto ai fuochi d’artificio. O forse era portato dal vento che, soffiando insolitamente vigoroso, rendeva irriconoscibile l’arena in cui Sophie Blanchard si esibiva due volte a settimana da anni. Alcuni spettatori le avevano sconsigliato l’ascensione, pregandola almeno di non salire con tutti quei fuochi d’artificio. Molti altri, però, la incalzavano desiderosi di assistere allo spettacolo. Così, alla fine la donna montò sulla cesta e, preparandosi ad accendere alcuni bengala per rendere spettacolare l’ascensione, si staccò da terra. Curiosamente, stando ad alcuni testimoni, aveva detto: «Avanti, questa sarà l’ultima volta!».
Conosciamo già il tragico epilogo di questa storia; forse, ciò a cui dovremmo badare è a non tratteggiarne troppo in fretta la morale. A non fare, insomma, come fecero lo scrittore Charles Dickens e il poeta Grenville Mellen. I quali ritennero doveroso sottolineare come “una donna nei cieli non sia nel suo elemento, perché decisamente troppo in alto”. Meglio ricordare ciò che diceva Stanley Kubrick a proposito del mito di Icaro, che la vicenda di Sophie Blanchard irresistibilmente richiama:
Non sono mai stato sicuro che la morale della storia di Icaro dovesse essere: “Non tentare di volare troppo in alto”, come viene intesa in genere, e mi sono chiesto se non si potesse interpretarla invece in un modo diverso: “Dimentica la cera e le piume, e costruisci ali più solide”.
L’essere umano, oggi, ha “ali” molto più solide di allora e le donne hanno molta meno paura di volare, letteralmente e metaforicamente. Per aver mostrato che era possibile, per quanto difficile e pericoloso, Sophie Blanchard è una figura che ancora oggi andrebbe ricordata. E ringraziata.
Valeria Meazza