L’Università dell’Arizona ha dato notizia che la sonda Osiris-REx è arrivata a destinazione e ha già trasmesso dati molto interessanti.
Ma cosa è la missione Osiris-REx? Dove è arrivata? E perché l’Università dell’Arizona?
Va bene iniziamo dall’ultima che è la più semplice, come si evince dai simboli nel sito ufficiale della missione Osiris-Rex è una missione NASA in collaborazione con l’Università dell’Arizona, il team che si occupa dello studio scientifico dell’obiettivo è della suddetta università.
Dove è arrivata? Il 3 dicembre scorso è arrivata a 19km da Bennu (l’obiettivo della missione) che è un piccolo asteroide (poco meno di 500 metri di diametro) di tipo carbonaceo classificato come near earth object, la distanza minima (480000 chilometri) è poco più della distanza Terra-Luna). L’asteroide presenta anche un rischio non insignificante di impatto con la Terra verso la fine del prossimo secolo.
La missione è davvero molto ambiziosa, dopo un viaggio di circa due anni ora la sonda studierà l’asteroide da vicino per un anno (prima di effettuare l’inserzione in orbita gli scienziati devono conoscerne perfettamente la massa perché condiziona l’attrazione gravitazionale sulla sonda), poi individuati i punti più promettenti per la raccolta di campioni si poserà e raccoglierà una quantità di materiale che potrà variare da un minimo di 60 grammi a un massimo di due chilogrammi e poi ripartirà, se tutto va bene, alla volta della Terra, la partenza è prevista per il 3 marzo 2021 quando si aprirà una finestra favorevole per il lancio, il viaggio di ritorno si dovrebbe concludere col rientro nell’atmosfera terrestre a settembre del 2023.
Scopo principale della missione è lo studio della storia del sistema solare, questo tipo di asteroidi sono praticamente dei fossili della formazione del sistema solare e quindi possono insegnarci tanto sulla sua storia.
Ma la missione Osiris-REx ha anche altri scopi, innanzitutto confrontare i dati (e dunque l’idea che ci siamo fatta di loro) degli asteroidi carbonacei rilevati con le osservazioni effettuate da Terra con quelli delle osservazioni fatte in loco e addirittura con l’esame di laboratorio di campioni riportati a Terra, pregando che la missione abbia pieno successo.
Il nome di sonda e missione è un acronimo, abbastanza autoesplicativo dei suoi obiettivi:
_ O sta per origin, cioè origine, proprio l’esame dei campioni servirà soprattutto allo scopo di studiare la storia di questo asteroide e quindi di tutti quelli della sua classe;
_ SI sta per spectral intepretation cioè confrontare i dati da osservazione diretta con quelli desunti dalle osservazioni coi telescopi;
_ RI sta per resource identification cioè studiare le proprietà, la chimica e la mineralogia anche al fine di identificare dove è più interessante raccogliere i campioni;
_ S sta per security, la sonda studierà l’effetto Yarkovsky e quali caratteristiche fisiche di un asteroide potenzialmente pericoloso influiscono sul fenomeno. L’effetto Yarkovsky è una forza generata dall’emissione di calore di un asteroide rotante che su lunghi tempi può cambiarne l’orbita, se mettete questo in relazione col fatto che è un oggetto vicino e il rischio di impatto capite il perché di “security”;
_REx sta per regolith explorer, la regolite e il materiale di superficie, la missione è indagarne morfologia e proprietà.
Che cosa ci hanno detto i primissimi dati arrivati da Osiris-REx?
Confortanti conferme e qualche sorpresa. Le conferme sono che l’occhiata data da vicino ha avvalorato l’idea dell’asteroide che ci eravamo fatta con l’immagine radar, ogni piccolo cratere e ogni roccia che avevamo “visto” da Terra sono lì, la sonda sta solo precisando le misure, questo è positivo per la missione (vuol dire che gli scienziati hanno scelto bene il bersaglio che volevano e che la sonda è pronta per quel che ha trovato) ed è positivo per le osservazioni fatte su altre asteroidi, se siamo stati bravi con questo è ragionevole sperare che anche l’idea che ci siamo fatti dagli altri sia accurata.
La sorpresa è stata trovare acqua mischiata con minerali simili all’argilla su tutto l’asteroide, un asteroide di queste dimensioni non dovrebbe presentare tracce d’acqua, mentre sappiamo che c’è acqua su quelli più grandi, questo vuol dire che Bennu era parte di un asteroide molto più grande che ospitava acqua (ovviamente ghiacciata).
Altra piccola sorpresa è stata che sulla superficie ci sono ancora più rocce di quante ce ne aspettassimo, ma secondo gli scienziati questa prima osservazione non ha rivelato nessun problema insormontabile od inaspettato in vista della discesa per la raccolta di campioni.
Fonte immagine: www.asteroidmission.org
Roberto Todini