I pesci fanno meno pena degli altri animali quando muoiono, questa è la verità. Non urlano, non piangono, non si lamentano, i pesci.
Sommersione
Straniante e scarnificante. Ecco gli aggettivi giusti per descrivere il nuovo romanzo di Sandro Frizziero, Sommersione. Domina l’odio, accompagnato da un’angoscia senza forma.
Il libro, edito da Fazi editore, da voce a sentimenti primordiali, istinti bestiali che non possono, e non vogliono, essere repressi. Il protagonista, un vecchio pescatore senza nome, è un anti-eroe freudiano, macchiato dalla salsedine e dalle colpe.
La storia prende forma sull’Isola, un lembo di terra al largo della laguna veneziana, nelle acque del mar Adriatico. E’ un luogo solitario, monotono, dimenticato da Dio e dagli uomini. E’ un posto sciupato dal tempo, in cui la marea rivendica ogni giorno la propria supremazia;“quasi a voler ricordare che la vittoria dell’uomo sul mare è del tutto provvisoria.”
Gli isolani sono persone qualunque, hanno vizi comuni e colpe universali. E’ gente che subisce il lento sfacelo della propria anima, al passo con la terra che scompare, senza opporre alcuna resistenza. Non c’è perdono, nessuna redenzione né trasformazione. I vecchi, vincolati nel loro status di vecchi, non cercano alcun riscatto. Per loro la Croce di quel Cristo, tanto adorato dalle loro mogli, non può essere abbracciata.
Un personaggio da comprendere
Il protagonista di Sommersione è, se possibile, il più becero di tutti. Il più assuefatto ai suoi peccati, il più misero, il più odioso, il più rancoroso. La sua critica accanita non risparmia alcuno, nemmeno la moglie, Cinzia, morta di cancro e, forse, di malincuore. E’ un uomo senza volto e senza nome, come a voler sottolineare che la sua miseria, in fondo, può toccare a chiunque. Solo e vecchio, abbandonato anche dalla figlia, trascorre le sue giornate nella monotonia più totale, dedicandosi alla pesca o ubriacandosi alla Taverna. I suoi peccati, la brutalità dei suoi pensieri e delle sue azioni non generano alcun tipo di empatia. Ogni sua azione è dettata dall’invidia e ogni suo ragionamento è la fiera della cattiveria e del qualunquismo.
Convinto fino al midollo che la natura matrigna costringa i suoi figli a indicibili sofferenze, lui passa la vita a rendere un inferno la vita altrui. Odia. Niente supera il setaccio, nemmeno gli alberi, colpevoli di essere vitali, energici. Perché lui la vitalità l’ha persa. La sua condizione di vecchio bavoso lo rende impotente. Allora, nulla di ciò che lo circonda deve sopravvivere. Ogni cosa deve perire, lentamente o velocemente che sia, basta che appassisca, così che lui sia in pace. E’ un’odio viscerale verso la vita, non solo quella altrui, anche la propria. Quest’uomo odia se stesso, al pari di ogni altra cosa incontri.
tu non puoi lasciare l’Isola, lo sai bene. È il prezzo da pagare per il male che hai fatto. Questa sottile striscia di terra che emerge a malapena dalle acque per te è un penitenziario, un carcere di massima sicurezza.
La consapevolezza di non poter sfuggire al proprio destino lo atterra, piano, giorno dopo giorno. E’ un vecchio rancoroso a cui prima o poi verrà presentato il conto. Eppure, un uomo superbo, convinto di essere un gran conoscitore delle cose del mondo, non può aspettare che la natura faccia il suo corso. Da vero uomo, non può restare inerme, deve agire, portare con sé qualcuno o qualcosa prima di scomparire per sempre.
Lo sfacelo e la solitudine dell’Isola sono una condizione generale, a cui lui stesso e tutti i suoi compaesani sono assuefatti. Quel lembo di terra inghiottito dal mare diventa un’universo a sé stante, con regole e ritmi completamente autonomi. Gli abitanti sono vittime del proprio comportamento, abituati alla sopravvivenza, vivendo come bestie al pascolo, sottomesse ai propri istinti.
Sommersione è un capolavoro di finezze
Lo scrittore, Sandro Frizziero, è un maestro dell’immagine. Il lettore, attraverso l’uso magistrale delle parole, diventa uno spettatore inerme, vincolato al punto di vista del narratore che mai si mescola col tanghero protagonista. A confronto con la pochezza e la rozzezza del vecchio pescatore, i riferimenti letterari di cui il romanzo è colmo sono una finezza a cui ci si abitua volentieri.
Sarcasmo, ironia e una buona dose di irriverenza, aiutano a vedere quel mondo distorto con gli stessi occhi del protagonista, senza però spingere sull’identificazione. Nessun uomo civile vorrebbe essere paragonato a questo personaggio senza nome. Frizziero ci presenta la sua psicologia e la sua mentalità, aprendo un buco nero, un vuoto dell’anima con cui il lettore è costretto a fare i conti. Quella pochezza di spirito, tuttavia, viene esorcizzata. Il narratore, così come il lettore, prendono le distanze da quell’anima malata, in tempo per evitare l’oscurità.
Sommersione si svolge nell’acro di una sola giornata e tanto basta per entrare in contatto con quest’uomo malato, intossicato dalle scorie della vita. Insozzato dal suo stesso operato. Eppure leggendo, spesso di prova una pena inspiegabile. Alcune immutate verità sono innegabili, necessaria per fare i conti con sé stessi.
E’ davvero l’odio che muove il mondo, e non l’amore?
Il protagonista aspetta la sua fine, si lascia deteriorare delle colpe, dal tempo, dalla noia e dal rancore. Senza alcuna poesia o eroismo, finisce i suoi giorni così come li ha sempre vissuti: vuoti.
In fondo, dice Frizziero, non esiste fine eroica, esiste solo la fine.
Sai che il diavolo ce l’hai proprio in corpo e col diavolo ti tocca conviverci. Sai che l’inferno è questa terra, non ci sono dubbi, e l’Isola ne è una sorta di succursale; una filiale dell’Ade per gente di mare.
Antonia Galise