Jeanne Moreau (1928) era con Anna Magnani la più grande attrice al mondo. Sfolgorante nell’età d’oro del cinema la diva francese, venuta a mancare proprio il 31 luglio di quest’anno, era conosciuta per la sua potenza e versatilità. Fu regista anche di due film e autrice delle sceneggiature di entrambi. Una porta però le fu preclusa: quella del libro di Joyce Carol Oates (1938), Solstizio.
Il libro della scrittrice statunitense era uscito nel 1985. La Moreau non aveva fatto un film dal 1979, anno in cui era uscita la sua seconda opera, L’adolescente.
L’interesse dell’attrice per il mondo femminile s’esprimeva in questo modo attraverso il racconto del passaggio dall’innocenza alla maturità di una ragazza, Marie, che nel 1939 vicino Avignone scopre l’amore e i suoi turbamenti.
Nel cast, la Moreau aveva fatto entrare un mito del cinema francese: Simone Signoret.
C’è da dire però che Solstice della Oates era molto più cupo e crudo, un racconto di un’amicizia tra donne, cosa che ricorda anche l’opera prima della Moreau, Lumiére, ma che si distanzia per la svolta tragica della trama.
Sheila Trask, una delle protagoniste del romanzo, è una pittrice appassionata, indipendente, con una volontà di ferro estrema ma oscillante. Il suo contraltare, Monica Jensen, è invece una figura remissiva, pacata, uscita fuori da un matrimonio sbagliato, rovinoso e con una femminilità ferita.
Le due si compenetrano, si attraggono in una simbiosi in cui la sessualità ha poco a che fare. La ragnatela che loro si costruiscono attorno è tutta frutto della mente.
La fine è tragica, sfogo degno di una relazione opprimente costruita con pazienza e lentezza.
La Moreau si gettò così tanto nel sogno di realizzare il film da contattare personalmente la Oates nel 1996. La scrittrice si ritrovò in un uragano, come era prevedibile.
Jeanne la spinse a riscrivere continuamente, perennemente insoddisfatta del risultato ma senza mai imporsi in maniera tirannica. La volontà dell’attrice era forte e marchiante, ma delicata nell’approccio.
Inutile dire quanto il legame tra le due si sia fatto stretto. La Moreau ricompensò l’Oates con regali (una sciarpa di seta rossa molto apprezzata, per esempio), gentilezze, fiori e confidenze ma la pacata signora della Costa Est cominciò a capire che il progetto non poteva essere portato a termine e che non sarebbe stata al passo della nuova amica.
Le perlustrazioni per il set fanno soffermare le due donne sulle coste del Delaware, i cui albergatori vicini rimangono abbagliati dalla Moreau. Lei promette ad ognuno di loro che il film verrà girato lì, salvo poi cambiare idea appena uscita o all’ultimo momento.
Il tour de force più estremo per la Oates fu di sicuro quando la Moreau le disse: Andiamo a girare in New England!
Naturalmente, a parte lo choc della scrittrice, nulla fece seguito a questa troppo fiduciosa affermazione. Le due avevano già superato i termini del contratto con la casa di produzione Merchant and Ivory non solo per scrittura ma anche per la ricerca del décor, che aveva coinvolto pure il marito della Oates.
La scrittrice ricorda ancora le gite in macchina alla ricerca della mobilia, quando lei stava nei sedili posteriori con suo marito alla guida e la Moreau accanto.
Arrivò così il momento della confessione e di mostrare bandiera bianca ma Jeanne capì perfettamente. In effetti l’attrice aveva provato senza successo a chiedere appoggi per i finanziamenti perfino alla Disney e la Merchant and Ivory avrebbe di lì a poco chiuso i battenti.
Di questo progetto rimasero quindi i sogni, i ricordi di un grande incontro nel New Jersey: quello di una grande scrittrice e di una grande attrice che avevano messo in pratica (ma non in senso tragico) una storia che entrambe avevano amato.
Antonio Canzoniere