Mentre migliaia di persone soffrono tra cumuli e cumuli di macerie, altre migliaia elargiscono “solidarietà” poco solidale.
Mentre da Arquata del Tronto ad Amatrice le scosse vibrano ancora nelle ossa dei terremotati, sui social si scatena una solidarietà impregnata di ignoranza e di meschinità di individui che non sanno cogliere l’essenza di una tragedia, ma la strumentalizzano per dar voce alle loro credenze e convinzioni.
Credenti cattolici che vedono in questa disgrazia una punizione divina e richiamano l’Italia al suo Dio con frasi scioccanti:
“Nessun stupore da parte nostra dei cenacolidimaria, le profezie prima o poi si avvereranno. Utero in affitto, matrimonio omosessuale, attacco alla famiglia, ateismo diffuso ecc ecc. Le scosse servono per farci capire che bisogna tornare ai veri valori. La natura si ribellerà sempre alla contro natura. CONVERTITI ITALIA“.
Ecco che il Dio della misericordia e dell’amore non esiste più, al suo posto ora giace una divinità crudele e severa che punisce centinaia di vite innocenti perché altre vite si sono unite nel nome dell’amore e del rispetto reciproco.
Bravi cattolici che vogliono essere solidali con le famiglie distrutte e offrire la loro carità, mostrano solo l’orrore di un’arroganza ingiustificata, come se fossero stati mandati direttamente sulla Terra per redimere noi poveri peccatori incapaci di comprendere le ferree regole che agiscono attorno a noi, a salvarci da noi stessi mentre loro sono angeli divini privi di peccato legati direttamente al volere di Dio.
Oltre alle visioni profetiche di un qualche timorato di Dio, sui social si scatenano anche bravi cittadini divenuti giudici morali, amanti della propria patria, che sanno ciò che è giusto senza alcuna ombra di dubbio e invocano a gran voce che tale giustizia venga fatta: i profughi immeritevoli di ogni cosa devono lasciare i lussuosissimi alberghi che con tanta insolenza occupano per lasciarle a chi veramente ne ha bisogno, ossia i cittadini italiani rimasti senza casa.
Senza nemmeno provare ad immaginare il dolore e la disperazione di coloro che hanno perso la casa e insieme ad essa anche le persone care, non sono giustificabili certe sentenze emesse da chi dimostra avere delle conoscenze assai limitate riguardo alla questione profughi e ai famigerati hotel a 5 stelle che di lussuoso hanno solo il passato.
Di nuovo il “prima gli italiani e poi gli altri” che è la contraddizione perfetta del “siamo tutti uguali” di una democrazia vera. Tutti uguali nella tragedia,
In un momento di dolore come questo, deve esserci solo solidarietà profonda e sincera, non odio e discriminazioni, siano essi legati ai presunti peccati contro Dio o alla nazionalità e alla sofferenza di chi ha realmente bisogno.
Credo che questi comportamenti, che stimolano anche in me sentimenti così spiacevoli, derivino da una cultura plurimillenaria che non educa all’empatia ma istruisce a un moralismo che aliena dalla vita. Il mio auspicio per le generazioni future è che possano essere educate alla comunicazione empatica nonviolenta e al dialogo co-creativo, di modo che solidarietà e collaborazione non restino atteggiamenti della domenica, da sfoggiare solo occasionalmente in presenza di disgrazie e catastrofi per sentirsi persone perbene, quando normalmente, a tutti i livelli della nostra vita sociale, si praticano invece l’insulto e la contrapposizione confutativa come forme istituzionalizzate di interazione. Avremmo bisogno di renderci conto, credo, che questi sono gli esiti inevitabili del modello culturale dominante, per altro funzionale al mantenimento di certi poteri forti (questo è il problema) e del relativo pensiero unico. Discriminare (moralisticamente, appunto) i comportamenti morali e quelli immorali, pretendendo in sovrappiù che i primi siano messi in atto con “profonda e sincera” convinzione, non è molto diverso dalla pura propaganda confessionale dei cenacolidimaria e sul piano linguistico (e quindi intellettuale e culturale) rappresenta lo stesso tipo di argomentazione conflittuale e confutativa. Il classico “muro contro muro”, del tutto improduttivo, che l’establishment ci dipinge come il modo naturale e spontaneo nel quale le persone sono in grado comunicare tra di loro. Per uscire dal paradosso e provare a lavorare tutti insieme a un mondo in cui tutti possano trovare più piacevole vivere, occorre a mio avviso una profonda presa di coscienza, un salto culturale, un altro linguaggio, e un modo radicalmente diverso di rapportarsi, da parte di tutti, a chi fa o dice qualcosa che non è in sintonia con i propri principi, valori, o credenze.